Questo articolo è una risposta a quello di Marco Ponti originariamente pubblicato sulla testata ArcipelagoMilano e rilanciato da Linkiesta lo scorso 7 maggio
L’eloquente articolo di Marco Ponti sulla Carta di Milano merita un’attenta considerazione. Ponti è convinto che le questioni e le indicazioni contenute nella Carta siano irrilevanti e che le uniche questioni rilevanti siano quelle assenti. L’irrilevanza dei contenuti della Carta è esemplificata, secondo Ponti, dalla natura lapalissiana dei suoi enunciati, a partire dall’assunzione relativa al diritto al cibo inteso come diritto umano fondamentale. Sono convinto che l’assunzione relativa al diritto al cibo sia sfortunatamente ben lungi dall’essere lapalissiana e mi auguro che il difficile lavoro in cui è impegnata Livia Pomodoro con il suo Centro per il diritto al cibo consegua i risultati normativi auspicati in sede internazionale. Asserire o ascrivere un diritto non equivale a renderlo esigibile in modo cogente.
Ma non è di questo che mi interessa discutere a proposito delle tesi di Marco Ponti sull’irrilevanza dei contenuti della Carta. Vorrei difendere la rilevanza della Carta proprio muovendo dall’ipotesi che i suoi contenuti siano lapalissiani. Mostrerò in che senso Jacques de la Palice non è vissuto invano. La Carta di Milano è l’esito di un processo di elaborazione, cui hanno partecipato un gran numero di istituzioni, centri e agenzie, che ha avuto come scopo principale quello di predisporre un documento di cittadinanza globale che prevede e chiede assunzioni di responsabilità nei confronti del tema di Expo 2015, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.
È una proposta rivolta ai cittadini e alle cittadine del mondo che possono sottoscriverla esercitando la voice, per dirla con Albert Hirschman. Non è un protocollo intergovernativo, né un’agenda di policies. Questo rende conto del fatto elementare che mancano nella Carta “quantificazioni” o “priorità”, come osserva Ponti. E rende anche conto del fatto che espressioni come “difesa del suolo”, “difesa del reddito degli agricoltori” e “uso di fonti energetiche pulite” siano inevitabilmente vaghe ed esposte a interpretazioni controverse, come sottolinea Ponti (solo il suo riferimento ironico ai pescatori che distruggono la fauna ittica è infelice, dato che nella Carta è lapalissianamente definito inaccettabile che “più del 30% del pescato soggetto al commercio sia sfruttato oltre la sua capacità di rigenerazione”).
In parole povere, la Carta mira a mettere a fuoco le nostre responsabilità elementari per delineare un futuro sostenibile e più equo. Ecco perché il nostro Jacques de la Palice è all’opera: proprio perché proposte e misure e provvedimenti alternativi siano messi al centro della discussione pubblica e del confronto globale delle idee e delle pratiche. Marco Ponti ce ne dà un ottimo esempio nella sua risoluta critica dell’agricoltura tradizionale e nella sua difesa, senza se e senza ma, degli OGM. Ma ciò è sorprendentemente una prova della rilevanza della Carta.