I salari medi dei nuovi contratti sono la miglior misura delle tendenze in atto nel mercato del lavoro. In un determinato istante, infatti, nello stock di occupati convivono sia contratti in essere a condizioni contrattuali passate – che in Paesi con una contrattazione collettiva poco flessibile, come l’Italia, tendono ad essere una quota elevata del totale – sia nuovi contratti rinegoziati in tempi recenti, che rispecchiano più da vicino le dinamiche economiche recenti.
Dai dati Inps dell’Osservatorio sul Precariato, presentati nel grafico sottostante, si può notare come nel primo trimestre 2015 i nuovi contratti a tempo indeterminato abbiamo un salario medio inferiore del 1,1% rispetto allo stesso trimestre del 2014. Ciò segue una crescita registrata l’anno prima, che era però relativamente maggiore per i contratti a tempo determinato.
Grafico 1: Livello medio di retribuzione mensile dei nuovi contratti attivati – Dati Inps
Lo stesso si può dire dei contratti a tempo determinato, che scontano – come si può notare dal grafico 2 – una penalità media superiore al 2% rispetto ai corrispettivi a tempo indeterminato. Nell’ultimo anno sono in calo più marcato, vicino al 2%.
Cosa sta accadendo? È chiaro, dai primi dati dei flussi contrattuali, che nel 2015, anche grazie ai corposi incentivi alle assunzioni, una gran parte dei contratti a tempo indeterminato – che nei due anni precedenti erano stati sostituiti da contratti a tempo fisso, a causa delle incerte aspettative sullo stato dell’economia – sono oggi invece di nuovo preferiti dalle imprese. Questo spiega anche la differente dinamica, in parte dovuta ad effetti di composizione, dei salari medi. Nel 2013, la retribuzione media dei nuovi contratti a tempo determinato era aumentata di più, proprio grazie a questo effetto. Contratti solitamente più pagati, come quelli a tempo indeterminato, erano stati momentaneamente rimpiazzati da contratti simili in quanto a retribuzioni, ma solo a tempo determinato.
Oggi, con un’inversione di tendenza nella domanda attesa, il trend è inverso e il gap salariale torna ad aumentare, come ne mostrato nel grafico 2. In realtà, se misurato con metodologie di stima diverse, che tengano conto delle differenze caratteristiche dei lavoratori e delle imprese, tale scarto è vicino al 10%.
Grafico 2: Gap salariale dei contratti a termine in % del salario medio a tempo indeterminato per i nuovi contratti attivati – Dati Inps
Il problema dei problemi, la scarsa dinamica della produttività italiana, è sempre presente
Ciò che accomuna le due tipologie contrattuali, comunque, è il trend negativo del salario medio, anche in termini reali, essendo l’inflazione molto vicina allo zero. La necessaria correzione salariale, frutto di un lungo disallineamento relativo fra dinamiche di produttività e salari (in parte esacerbato da una moderazione salariale molto pronunciata in Germania), è infine in atto, ma in assenza di aumenti sensibili di produttività porta con sé, purtroppo, un calo reale delle retribuzioni.
Il problema dei problemi, la scarsa dinamica della produttività italiana, è sempre presente ed è il nemico pubblico da contrastare e combattere.Serve un ripensamento della contrattazione collettiva, che non è immune da critiche e anzi, negli anni precedenti alla crisi, ha contribuito negativamente alla riallocazione del lavoro che, in ultima istanza, è guidata nel medio periodo dai segnali dei prezzi relativi.
È altrettanto scontato che servano improrogabili investimenti in ricerca e sviluppo e in formazione professionale, lungo tutto l’arco di vita professionale dei lavoratori.