Seymour Hersh è uno dei più famosi giornalisti statunitensi, da molto tempo collaboratore fisso del New Yorker e premio Pulitzer nel 1970 per aver rivelato al mondo il massacro di My Lai in Vietnam e i successivi tentativi di insabbiamento da parte delle autorità militari statunitensi.
Nell’ultimo numero della London Review of Books, Hersh ha pubblicato un lungo articolo intitolato L’uccisione di Osama bin Laden, che deriva dai materiali a cui sta lavorando per il suo progetto di scrivere «una storia alternativa della Guerra al terrore», la campagna militare e di intelligence contro il terrorismo lanciata dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Il 2 maggio 2011 Osama bin Laden, il leader di al-Qaida, venne ucciso da un’operazione delle forze speciali della Marina statunitense ad Abbottabad, in Pakistan, dove viveva da tempo in un complesso residenziale chiuso.
Nell’articolo, Hersh sostiene che punti fondamentali della ricostruzione ufficiale dell’amministrazione Obama sono falsi: «la Casa Bianca – scrive – sostiene ancora che la missione è stata un affare tutto americano, e che i vertici dell’esercito e dei servizi segreti pakistani non erano stati informati in anticipo. Questo è falso, come lo sono molti altri elementi nella ricostruzione dell’amministrazione Obama».
Gran parte delle informazioni alla base dell’articolo vengono da una singola fonte all’interno dell’intelligence statunitense, di cui non viene rivelato il nome: «un importante membro dei servizi segreti in pensione che era a conoscenza del lavoro iniziale di intelligence sulla presenza di bin Laden ad Abbottabad», lo definisce Hersh. A questa fonte se ne aggiungono altre in Pakistan e alcuni consulenti del Comando Operazioni Speciali statunitense, ma la provenienza anonima di una ricostruzione così lontana da quella ufficiale è stata sottolineata da molti media americani, che hanno notato come ciò potrebbe metterne a rischio l’affidabilità.
Oltre a sostenere che i vertici militari pakistani sapessero dell’operazione – e si siano assicurati che gli elicotteri dei Navy Seals attraversassero lo spazio aereo del Paese senza conseguenze – la rivelazione maggiore, nella ricostruzione di Hersh, è quella che riguarda il modo in cui si è arrivati a Osama bin Laden. Secondo la versione ufficiale, il leader di al-Qaida venne individuato dalla Cia grazie a un lungo e complesso lavoro di investigazione che alla fine riuscì a individuare il suo corriere.
Secondo Hersh, invece, Osama era in mano ai servizi segreti pakistani (l’Inter-Services Intelligence, Isi) almeno dal 2006. Da tempo questi lo tenevano di fatto prigioniero nel complesso residenziale di Abbottabad, una città a soli 50 km dalla capitale pakistana Islamabad. Poi, nell’estate del 2010, un ex ufficiale dell’Isi vendette Osama agli Stati Uniti in cambio di una larga parte dei 25 milioni di dollari che gli Usa offrivano da tempo in cambio di informazioni decisive per arrivare al leader di al-Qaida.
Gli Stati Uniti informarono il Pakistan del raid e i servizi segreti lasciarono la struttura di Abbottabad. Di conseguenza «non ci fu uno scontro a fuoco» quando le forze speciali entrarono nella struttura. E questo mette in dubbio un altro punto della versione dell’amministrazione Obama: la volontà di prendere Osama bin Laden vivo, che solo le circostanze esterne avrebbero impedito.
Infine, Hersh dice che non è vero neppure che Osama fu seppellito in mare, con una cerimonia funebre che seguiva il rito islamico. I Navy Seals che condussero l’operazione avrebbero gettato parti del corpo di Osama sulle montagne dell’Hindu Kush durante il viaggio in elicottero di ritorno da Abbottabad.
L’articolo integrale, in inglese, si trova a questo link.