Unioni civili, Pacs, Dico: 30 anni di acronimi e polemiche

Unioni civili, Pacs, Dico: 30 anni di acronimi e polemiche

Doveva risvegliarsi la cattolicissima Irlanda per riaccendere in Italia l’ennesimo dibattito sulle unioni civili. Dopo la vittoria del sì nel referendum irlandese sui matrimoni omosessuali, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si è subito precipitato a promettere: “Il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili sarà in aula a luglio”. Il premier in realtà lo aveva promesso già nell’assemblea nazionale del Pd di giugno 2014: «Nel mese di settembre il Parlamento sarà chiamato a lavorare sulla proposta del Pd che peraltro è già in fase avanzata di discussione». Poi settembre è passato, di referendum in Irlanda non si parlava, e tutti ce ne siamo dimenticati.

Sono trent’anni che nel nostro Paese si parla di unioni civili. Nel frattempo le coppie italiane che vivono nello stesso tetto senza essere sposate sono oltre 900mila (dati Istat). Siamo passati per le famiglie di fatto, le coppie di fatto, i Pacs, i Dico e persino i Didore. Tanti acronomi, ma i diritti al di fuori del matrimonio non sono mai stati ratificati. E, ad oggi, nel 2015, una legge sulle unioni civili ancora non esiste. Un primato che vede l’Italia in compagnia di Albania, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia, Polonia, Romania, Ucraina, Slovacchia, Serbia e Turchia. 

I primi segnali di un dibattito sul tema risalgono a metà anni Ottanta, su iniziativa di Arcigay e della Interparlamentare delle donne comuniste. Nel 1988 arriva la prima proposta di legge della parlamentare socialista Alma Agata Cappiello per il riconoscimento della convivenza (senza specificare il genere). Ma il testo non viene mai neanche calendarizzato per la discussione in Parlamento.

Una legge sulle unioni civili ancora non esiste. Un primato che vede l’Italia in compagnia di Albania, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia, Polonia, Romania, Ucraina, Slovacchia, Serbia e Turchia

Dagli anni Novanta in poi a occuparsi del tema è anche il Parlamento europeo, che con una risoluzione del 1994 invita la Commissione a rimuovere gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali o a un istituto giuridico simile. Intanto in Italia, durante i governi di centrosinistra tra il 1996 e il 2001, vengono presentati numerosi disegni di legge da parte di diversi parlamentari, da Nichi Vendola a Luigi Manconi. Ma anche in questo caso nessun testo viene mai messo all’ordine del giorno nella discussione delle Camere.

Nella legislatura successiva spunta il primo acronimo, Pacs, Patti civili di solidarietà, sul modello francese e scandinavo. Nel 2002, a presentare la proposta di legge, è Franco Grillini, che riesce anche a iscrivere la discussione del testo all’ordine del giorno della commissione Giustizia della Camera. Ma l’allora governo Berlusconi dribbla la questione e tira avanti. Cinque anni dopo, 2007, governo Prodi: su proposta dell’allora ministro della Famiglia Rosy Bindi e di quello delle Pari opportunità Barbara Pollastrini, l’esecutivo approva un disegno di legge sui cosiddetti Dico, Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, che prevedono il riconoscimento di nuovi diritti alle coppie etero e omosessuali non sposate. Anche in questo caso il dibattito si risolve nella polemica tra schieramenti opposti. Il disegno di legge non piace né agli attivisti per i diritti omosessuali né ai cattolici, per motivi opposti. Nel 2007 a Roma si organizza addirittura il “Family Day” alla presenza di Berlusconi, Fini e Casini. Ma poi la caduta del governo dà il colpo di grazia all’iter del testo.

Nel successivo governo Berlusconi, le cose si complicano. I Dico, in una nuova proposta di legge presentata, tra gli altri, da Alessandra Mussolini e Beatrice Lorenzin, nel 2008 si trasformano in Didore. Tradotto: Diritti e doveri si reciprocità dei conviventi. Sette articoli con pochi diritti essenziali, tra cui le decisioni in materia di salute e la successione nei contratti di affitto. Anche in questo caso la proposta resta una proposta 

Nel frattempo nel 2010 la Corte costituzionale in una sentenza afferma che in base all’articolo 2 della Costituzione va riconosciuto anche alle coppie omosessuali «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone … il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». E dal 2013 il Consiglio nazionale del notariato permette la stipula dei cosiddetti “contratti di convivenza”: chi vuole può andare davanti al notaio e stabilire le regole della propria convivenza, soprattutto dal punto di vista patrimoniale. 

Intanto, anche gli enti locali si sono attrezzati da sé. Oltre 200 Comuni di tutta Italia in questi anni hanno istituito i registri delle unioni civili per permettere l’accesso ai servizi. Tra i primi a farlo, i Comuni di Empoli e di Firenze nel 1993. A Milano il registro è stato istituito solo nel 2012, a Roma a gennaio 2015. La polemica è scoppiata nel 2014 quando a Bologna, Roma e Milano i sindaci hanno tentato di iscrivere nei registri anche i matrimoni omosessuali celebrati all’estero. In una circolare il ministro dell’Interno Angelino Alfano chiede subito la cancellazione delle trascrizioni. Ma il sindaco di Roma Ignazio Marino sfida la circolare e trascrive i matrimoni. Interviene il prefetto di Roma che dispone l’annullamento. Stessa cosa accade a Bologna. Ma alcune coppie fanno ricorso al Tar del Lazio e vincono.

Così, tra scontri e ricorsi, si è arrivati all’attuale legislatura. Di unioni civili si torna a parlare con il governo Letta, ma senza arrivare a una proposta definitiva. Matteo Renzi, nella campagna elettorale per le primarie aveva promesso di occuparsi delle unioni civili. E dopo il risultato del referendum irlandese ha reintrodotto il tema in agenda.

Il disegno di legge Cirinnà non avrà vita facile. Ad aspettarlo in Senato ci sono oltre 4mila emendamenti, molti dei quali destinati solo a fare solo ostruzionismo

I disegni di legge di iniziativa parlamentare sul tavolo sono tanti. Ma il testo che convince è quello presentato dalla senatrice del Partito democratico Monica Cirinnà e approvato in commissione Giustizia al Senato. Eliminato ogni riferimento al matrimonio per mantenere la pax di governo, i 19 articoli del testo sono divisi in due parti: unioni civili e disciplina della convivenza tra persone dello stesso sesso. Si prevede di estendere tutti i benefici riservati alle coppie sposate (assistenza sanitaria, subentro nel contratto d’affitto, pensione di reversibilità ecc.) alle coppie di fatto, anche omosessuali, riproponendo il modello della legge approvata in Germania nel 2011. I matrimoni celebrati all’estero potranno essere trascritti in Italia come unioni civili. Non è consentita l’adozione, ma solo la stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio di uno dei membri della coppie.

Al momento non sono stati coniati acronimi. Ma anche questo disegno di legge non avrà vita facile. Ad aspettarlo in Senato ci sono oltre 4mila emendamenti, molti dei quali destinati solo a fare solo ostruzionismo. Carlo Giovanardi, Ncd, propone di modificare la definizione di unione civile come «amicizia civilmente rilevante» e che ci siano almeno dieci testimoni durante la celebrazione, vietandola però alle «persone del segno del toro». In un emendamento presentato dal senatore di Scelta civica Mario Mauro si chiede che i contraenti abbiano almeno 25 anni. Il forzista Lucio Malan si spinge più in là e propone di sostituire “unione civile” con “unione renziana”.

Intanto, tra una goliardia e l’altra, l’ultima classifica dell’Ilga sul riconoscimento dei diritti per le persone omosessuali posiziona l’Italia al 34esimo posto su 49. E non c’è proprio nulla da ridere.

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