Brucia la sconfitta a Venezia, colpisce quella ad Arezzo. I risultati dei ballottaggi consegnano nuove preoccupazioni al Partito democratico. Sia chiaro, le giustificazioni sono diverse e in alcuni casi ben fondate. Anzitutto il significato del voto: le amministrative fanno storia a sé. Salvo eccezioni, non rappresentano un test per il governo. Queste elezioni hanno un valore locale. Ad essere giudicati sono i candidati a sindaco, non i leader nazionali. Senza considerare che Felice Casson, esponente dem sconfitto in Laguna, non è mai stato un renziano di ferro.
Eppure dalle parti di Palazzo Chigi il risultato elettorale deve aprire un’attenta riflessione. Perché al netto di tutte le spiegazioni, il presidente del Consiglio non può dirsi estraneo alla sconfitta. Per coerenza, soprattutto. Se un anno fa Matteo Renzi si è orgogliosamente intestato il successo alle Europee, adesso deve farsi carico di questa battuta di arresto. Il 41 per cento di allora era merito suo? Le difficoltà elettorali di oggi non possono essere solo colpa di qualcun altro. Più di un anno fa il premier si è insediato lanciando una scommessa agli italiani, promettendo di voltare pagina con la “vecchia politica”. Si è presentato come il principale avversario dell’astensionismo. Se gli elettori continuano a disertare le urne, la responsabilità non può non ricadere anche sul suo governo. Da questo punto di vista i dati sono allarmanti. Ai ballottaggi l’affluenza si è fermata al 47 per cento. Ormai un italiano su due non ha neppure voglia di andare a votare.
Complessivamente negli 85 comuni interessati dal voto il centrodestra ottiene 32 sindaci, il centrosinistra 30
Questioni locali, si diceva. Ma non solo. La geografia delle ultime amministrative racconta una tendenza diffusa. Dopotutto gli italiani chiamati al voto sono stati oltre due milioni in poco meno di cento Comuni. Non proprio una realtà trascurabile. Come sottolinea il senatore della minoranza Pd Federico Fornaro, attento conoscitore dei flussi elettorali, le ultime elezioni confermano un dato omogeneo. «Nei tredici comuni capoluogo il centrosinistra passa da sette sindaci uscenti a quattro». Il centrosinistra conferma solo Lecco e Macerata. Conquista Trani e Mantova, ma perde a Venezia, Arezzo, Nuoro, Fermo e Matera. «Al primo turno in questi comuni il Pd era già sceso dal 23 per cento delle precedenti comunali al 19,1 per cento – continua Fornaro – e i candidati del centrosinistra dal 41,4 per cento al 36 per cento». A questi dati si accompagna la crescita del centrodestra. Dato frettolosamente per spacciato, il fronte berlusconiano conferma che, se unito, può ancora rappresentare un avversario temibile. Anche se in buona parte per merito della Lega Nord. Complessivamente negli 85 comuni interessati dal voto il centrodestra ottiene 32 sindaci, il centrosinistra 30 e le liste civiche ben 17.
L’impressione è che le responsabilità di governo abbiano avuto evidenti ripercussioni sull’immagine del premier. Il Partito democratico di Renzi ha fatto il pieno di voti all’inizio della sua esperienza a Palazzo Chigi. Adesso paga le conseguenze delle aspettative create. Dopo un anno e mezzo iniziano a trasparire le difficoltà dell’esecutivo. L’accelerazione riformatrice impressa da Renzi ha perso slancio, l’incubo della palude tanto temuta è dietro l’angolo. Non a caso due delle riforme sbandierate con più entusiasmo hanno rallentato vistosamente il proprio iter. Complici i delicati equilibri al Senato, la “Buona scuola” sembra essersi arenata. I dubbi della minoranza dem e delle opposizioni hanno costretto il premier a prendere tempo. Il provvedimento, che doveva essere approvato entro la metà di giugno, è ancora fermo in commissione. E la vicenda giudiziaria del senatore di Ncd Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio, rischia di rallentare ancora di più il percorso. E la riforma del Senato? Anche qui il governo ha dovuto saggiamente prendere tempo. Invece di rischiare in Aula, meglio cercare un’intesa all’interno del Partito democratico. Intanto il nuovo passaggio parlamentare del provvedimento potrebbe slittare a dopo l’estate.
I ballottaggi l’affluenza si è fermata al 47 per cento. Ormai un italiano su due non ha neppure voglia di andare a votare
Di fronte al risultato elettorale è difficile non tenere conto di tutte queste variabili. Nel frattempo l’esito del voto rischia di lasciare conseguenze rilevanti. Venezia passa al centrodestra dopo oltre un ventennio di sindaci di sinistra. E torna agli avversari anche Arezzo, roccaforte di uno dei protagonisti dell’esperienza renziana: il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Ma in Toscana il centrosinistra perde ovunque. Nei tre ballottaggi in programma – oltre Arezzo andavano al voto Viareggio e Pietrasanta – la spunta ovunque il candidato di centrodestra.
Resta una curiosità per i curatori di immagine. Alle ultime Regionali – dove il centrosinistra ha vinto in cinque regioni su sette – la sconfitta più bruciante e imprevista è arrivata in Liguria. Proprio dove Renzi si era speso con maggiore entusiasmo a sostegno della candidata Raffaella Paita. Oggi la principale débâcle democrat si registra a Venezia, dove in campagna elettorale il premier si è presentato due volte assieme a Felice Casson. L’incantesimo del premier imbattibile sta iniziando a svanire? Forse è presto per dirlo. Si tratta solo di coincidenze, che pure a Palazzo Chigi dovrebbero aprire qualche riflessione.