Una firma di tutto riposoGiornalisti e politici, basta coi numeri a caso!

La polemica

Andiamo subito al sodo: sembra proprio che giornalisti e politici – non tutti, ma una buona maggioranza di loro – non si facciano nessun problema a riempire i loro articoli e discorsi, con numeri che non hanno alcun sensoIl punto sostanziale è che spesso – e forse anche volentieri – i numeri vengano menzionati in articoli e discorsi con il solo fine di fare notizia e/o scalpore, senza nessuna riflessione accurata su quanto questi numeri siano plausibili, su quanto credibile sia la loro fonte, e su quanto sensato sia il collegamento tra un numero e l’altro.

Bisogna senz’altro fare una distinzione di base tra i numeri che provengono da una fonte specifica esterna, e i numeri che sono farina dal sacco del giornalista e del politico stesso, ma in entrambi i casi è fondamentale capire l’ordine di grandezza del numero stesso, e se questo ordine di grandezza sia ragionevole. Avviso ai naviganti: “Ordine di grandezza” è espressione da ingegneri che si può tuttavia facilmente tradurre con «quanti zeri ha quel numero?»: un ordine di grandezza in più significa banalmente uno zero in più. E qui cominciano i dolori, dolori cronici per tutte le volte in cui è capitato di leggere o sentire qualcuno che confondesse i milioni con i miliardi, o viceversa. Il riferimento è naturalmente a numeri che rappresentano somme di denaro, di solito in euro. 

Il modo più semplice per ragionare sulle grandezze economiche italiane consiste nel confrontare qualsiasi ammontare con l’un percento del Pil, che vale circa 16 miliardi di euro

Mettiamo i puntini sulle i, e gli zeri giusti ai numeri: un miliardo è un milione moltiplicato mille, un milione è un miliardo diviso mille. Un tizio che ha un patrimonio totale di un milione di euro è sicuramente benestante, ma potrebbe raggiungere quella cifra semplicemente possedendo una casa nel centro di una città medio-grande, e in aggiunta dei titoli finanziari. Un tizio che ha un patrimonio di un miliardo di euro è un riccone che ha costruito una grande impresa oppure l’ha ereditata. E tutto dovrebbe essere raffrontato a una grandezza che funzioni come metro di paragone: nella prassi si usa il Prodotto Interno Lordo (Pil), che annualmente per l’Italia è tra i 1600 e i 1700 miliardi di euro. A parte i ragionamenti sui patrimoni e i redditi degli individui, il modo più semplice per ragionare sulle grandezze economiche italiane – tasse e spesa pubblica, ad esempio – consiste nel confrontare qualsiasi ammontare con l’un percento del Pil, che vale all’incirca 16 miliardi di euro. Così si può cominciare a farsi un’idea delle grandezze in gioco: un intervento sul bilancio pubblico di 10 miliardi è tanto, perché vale all’incirca lo 0,6% del Pil, mentre un intervento di 10 milioni di euro è praticamente un nulla, perché vale lo 0,0006% del Pil.

La regina degli ordini di grandezza completamente sballati è l’economista Loretta Napoleoni, prolifica autrice di bestseller, blogger per il Fatto Quotidiano e titolare di una colonna settimanale sul Venerdì di Repubblica. Ad esempio in un’intervista con Barbara Palombelli durante la trasmissione radiofonica “28 minuti” (per l’esattezza: il 20 marzo 2015) la Napoleoni ha sostenuto che in un mese il debito pubblico italiano fosse cresciuto di duecento miliardi duecento: peccato che l’aumento vero fosse da 2000 a 2022 miliardi, cioè 22 miliardi, non 200, cioè quasi dieci volte tanto, per un fantasmagorico aumento del 10% in un mese. Caro lettore, secondo te la giornalista Barbara Palombelli ha obiettato qualcosa di fronte alla bomba sparata dalla Napoleoni? Esatto.

Intendiamoci: dal momento che i giornalisti devono “fare notizia”, cioè raccontare qualcosa che si ritiene degno di essere raccontato, la tendenza spontanea sta nell’esagerare coi numeri, facendoli sembrare più grandi. A volte si supera la frontiera del ridicolo senza nemmeno accorgersene, oppure sperando che nessuno se ne accorga. Qualche mese fa, durante il Tg1 delle 13:30 il presentatore menzionava l’andamento dell’indice di fiducia dei consumatori, che in un mese era passato da 101,9 a 102, cioè un quasi impercettibile aumento di circa lo 0,1%: peccato che nell’infografica che riportava queste due cifre teneramente vicine appariva anche un freccione gigante inclinato a 45 gradi verso l’alto, a indicare un ubriacante aumento della fiducia. La piaggeria verso il governo in carica è una brutta bestia (specialmente in Rai) ma diventa ancora più sgradevole quando essa si esercita nel completo sprezzo dei poveri numeri. 

Un altro errore tipico sta nel non prestare la dovuta attenzione alla fonte del numero e al modo in cui esso è calcolato

Un altro errore tipico sta nel non prestare la dovuta attenzione alla fonte del numero, e al modo in cui esso è calcolato: un esempio eclatante si è avuto qualche mese fa, quando parecchi giornali nazionali e persino “Porta a Porta” hanno ripreso lo “studio” di Nicola Ferrigni sull’andamento dei suicidi per cause economiche negli ultimi anni. Nessuno dei giornalisti che ha citato lo studio si è preso la briga di verificare la metodologia utilizzata dall’autore per calcolare il dato mese per mese dei suicidi per causa economica: la verità è stata immodestamente smascherata da chi vi scrive e da altri su Twitter, dopo avere sottoposto a un fuoco di fila di domande l’autore: si è banalmente scoperto che il numero di suicidi nello studio di Ferrigni non è ricavato da statistiche ufficiali ma è ottenuto andando a contare gli episodi di suicidio menzionati dalla stampa, e classificandone il motivo. La piccola nota ottimistica è che – dopo la discussione su Twitter e l’articolo su Linkiesta – tutti i media nazionali si sono ben guardati dal citare ulteriormente lo studio di cui sopra.

Simile al precedente, ma non esattamente coincidente è l’errore cbe si fa nel prendere per oro colato un certo numero – in particolare una certa previsione – senza tenere conto del fatto che quel dato numero vale soltanto al verificarsi di molteplici condizioni esterne. Si badi bene: solitamente la fonte esterna chiarisce bene l’esistenza di condizioni necessarie perché quella data previsione sia sensata, mentre il politico o il giornalista che la riprende si guarda bene dal dare peso a queste condizioni. Un esempio notevole di questa tendenza si è avuto con le recenti previsioni del Centro Studi di Confindustria sulla crescita del Pil italiano nel 2015 e nel 2016: il messaggio centrale di questo studio è che l’aumento del commercio internazionale, il calo dell’euro rispetto al dollaro, i tassi di interesse minimali e il basso prezzo del petrolio potevano portare congiuntamente a un aumento del nostro prodotto interno lordo del 2,1% nel 2015 e del 2,5% nel 2016. Un contributo corposo, forse un po’ tendente all’ottimismo, ma comunque dipende dal manifestarsi contemporaneo dei fattori favorevoli di cui sopra. Come è stata raccontata questa previsione da parte di giornali e telegiornali? Nella maniera più diretta – e sbagliata – possibile: titoloni su Confindustria che prevede un crescita del Pil del 2% nel 2015, senza se e senza ma. Nei pezzi più accorti si poteva leggere qualche riferimento alle condizioni favorevoli citate sopra, ma comunque dando poco peso al fatto che esse non fossero (e non siano) per nulla certe.

Il terzo errore tipico commesso da politici e giornalisti (ma non solo!) consiste nel fraintendere il legame tra due variabili, dando per scontata l’esistenza di un legame di causazione. Il mondo è complicato e fa dunque piacere trovare ordine al suo interno immaginandosi che il fenomeno X abbia un effetto sul fenomeno Y: tuttavia, potrebbe accadere che entrambi i fenomeni vadano nella stessa direzione perché c’è un altro fattore Z che spinge entrambi, oppure è il fenomeno Y che contemporaneamente influenza X. Il mantra che tutti dovrebbero imparare è questo: correlazione non è causazione. Se chi ha avuto un’istruzione formale per più anni di un altro guadagna di più, non è necessariamente vero che l’istruzione (cioè l’accumulazione di capitale umano) aumenta il reddito in quella misura: potrebbe esservi un terzo fattore come l’abilità dell’individuo che gli rende più facile la frequenza scolastica e universitaria e nel contempo lo rende più produttivo sul posto di lavoro. Se non si tiene presente questa “variabile omessa” il rischio concretissimo è di sovrastimare l’effetto dell’istruzione sul reddito.

Parliamoci chiaro: è facile riempirsi la bocca con paroloni provenienti dal mondo anglosassone come data journalism. Tuttavia, l’occhio attento di chi è abituato a lavorare quotidianamente con numeri, dati e statistiche è capace di smascherare in pochi minuti chi bluffa e millanta conoscenze che non ha. Si potrebbe naturalmente obiettare che la competenza matematica dal lato della domanda – cioè dal lato di lettori, ascoltatori e cittadini votanti – sia altrettanto bassa per cui giornalisti e politici trovano comodo ammannire loro “la solita storia”. Siamo dunque condannati a una situazione senza miglioramenti? Non necessariamente, perché la concorrenza tra fonti di informazione diverse, tra partiti politici diversi, può creare lo spazio per un lavoro di controllo dei numeri – già ci sono realtà che lo fanno – che induce a una maggiore attenzione e a un maggiore impegno per evitare di perdere audience, copie e voti. Non succedesse, fate di questo articolo un vademecum. Riconoscere i numeri a caso è più semplice di quanto si creda. 

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