I guai del cardinale Pell, il superministro alle finanze vaticane

Il problema pedofilia

Lo sceriffo delle finanze vaticane ha un problema in Australia. Il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia – il nuovo superministero vaticano creato di recente nell’ambito della riforma finanziaria della Santa Sede – è stato chiamato in causa nelle inchieste governative che stanno da tempo scoperchiando la piaga mai rimarginata degli abusi sessuali commessi da esponenti del clero. Pell è stato alla guida delle diocesi di Melbourne e di Sidney. Le accuse sono più o meno le stesse capitate già a molti vescovi e arcivescovi in passato: ovvero di aver coperto e insabbiato casi specifici, cioè di aver protetto i colpevoli, di non aver agevolato i risarcimenti alle vittime, di aver insomma fatto di tutto per occultare le vicende.

Si tratta di episodi e storie dolorose risalenti in là negli anni ma che hanno lasciato ferite profonde sulle vittime alcune delle quali – guardando nel dossier australiano in senso complessivo – hanno avuto problemi di carattere psicologico anche gravi: ci sono stati numerosi suicidi, vicende personali complicate e via dicendo.

«Il cardinale Pell? È un insabbiatore, un cinico. Un sociopatico. È cruciale che venga accantonato e rimandato in Australia e che il Papa prenda contro di lui l’azione più forte»

Di fatto, tuttavia, il cardinale aveva già testimoniato davanti alla commissione dello Stato di Victoria nel maggio 2013 dando risposte ampie in merito a diverse contestazioni; nell’occasione si era esposto in pubblico, non aveva soddisfatto tutte le richieste dei gruppi di vittime (anche sul tema dei risarcimenti economici) ma aveva ammesso le responsabilità diffuse della Chiesa. Di lì a poco entrava a far parte del C9, il gruppo ristretto di cardinali che coadiuva il papa nel governo della Chiesa. Nel frattempo, poi, ha assunto un incarico decisivo in Vaticano: quello di prefetto della Segreteria per l’economia, il superdicastero che controlla bilanci, personale e gestione finanziaria di ogni altro dicastero. Una cosa che in Vaticano non si era mai vista, alla quale ancora in molti non si abituano e che spaventa quanti confidavano sul mantenimento dello status quo.

Tuttavia nelle ultime settimane dall’Australia sono giunte brutte notizie per Pell. Peter Saunders, che oltre ad essere stato una vittima di abusi sessuali fa parte della Pontificia commissione per la tutela dei minori istituita da papa Francesco – in sostanza il dicastero che dovrà mettere mano allo scandalo pedofilia devastante per la Chiesa in tanti Paesi del mondo – lo ha accusato pesantemente. Gli ha dato del cinico, dell’insabbiatore e ne ha chiesto l’allontanamento a Bergoglio («è cruciale che venga accantonato e rimandato in Australia e che il Papa prenda contro di lui l’azione più forte», ha poi definito il porporato «un sociopatico») . Al centro della vicenda c’è un caso specifico, quello di Gerald Ridsdale, sacerdote, abusatore pericoloso, che sarebbe stato protetto da Pell in passato; su questo caso fra l’altro sta indagando la Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse (Commissione reale sulle Risposte istituzionali agli Abusi sessuali sui Minori) . Dalla vicenda è nata una polemica a più voci.

Lo stesso cardinale Pell ha replicato attraverso una serie di comunicati di essersi impegnato con forza contro gli abusi, quindi un secondo fronte è stato aperto contro “60 minutes”, la trasmissione televisiva che aveva mandato in onda le affermazioni di Saunders. «Accuse false» quelle del programma, ha fatto sapere la portavoce del cardinale; “60 minutes” ha risposto a sua volta con puntiglio confermando la fondatezza delle informazioni trasmesse. Nel frattempo anche padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede è intervenuto precisando: «Il cardinale Pell ha sempre risposto attentamente e in modo argomentato alle accuse e alle domande formulate dalle autorità australiane competenti e la sua posizione è stata resa nota ancora nei giorni scorsi da una sua dichiarazione pubblica, che deve essere considerata attendibile e meritevole di rispetto e di attenzione». Non solo: Lombardi ha precisato che la commissione vaticana sui minori non può formulare accuse su casi specifici ma indicare criteri generali di condotta e di risposta alla crisi abusi da parte delle conferenze episcopali. E a questo punto, chiamata in causa, ha preso la parola anche la commissione guidata dal cardinale statunitense Sean O’ Malley, arcivescovo di Boston (anch’egli membro del C9).

Con un comunicato, l’organismo vaticano ha chiarito che in effetti il proprio ruolo istituzionale non è certo quello di fare considerazioni su singoli episodi singoli di abusi (il riferimento era alle parole di Saunders contro Pell), tuttavia veniva toccato un punto chiave: «La pontificia commissione per la protezione dei minori – si affermava – rimane impegnata nella sua missione che, come sottolineato negli statuti provvisori recentemente approvati, è quella di aiutare la Chiesa in tutto il mondo a proteggere i minori e assicurare che gli interessi dei sopravvissuti e delle vittime degli abusi sia primario. A questo fine la commissione considera essenziale che coloro che sono in posizioni di autorità nella Chiesa rispondano tempestivamente, trasparentemente e con il chiaro intento di permettere il raggiungimento della giustizia». Insomma, anche i cardinali rispondano nel merito alle accuse per chiarire ogni aspetto.

Pell, del resto, è una pedina chiave dei nuovi assetti bergogliani, ma la vicenda che lo riguarda è senza dubbio delicata. Peraltro tocca un nervo scoperto della Chiesa. Il porporato ha già testimoniato davanti a una commissione governativa; forse però quel passo oggi non è più sufficiente ed è probabile che il cardinale dovrà dare ulteriori risposte (egli stesso nei vari comunicati si è impegnato a farlo e ha chiesto di essere convocato). Di fatto è comunque fra i pochi cardinali ad aver affrontato un’indagine governativa ad alto livello su un tema difficile e carico di incognite.

«Il cardinal George Pell non è mai stato l’uomo più popolare d’Australia: il che significa che papa Francesco è stato straordinariamente accorto nell’affidargli la responsabilità delle finanze vaticane. Serviva qualcuno disposto a pestare i piedi a qualcun altro e non troppo preoccupato della propria popolarità»

Se si volesse tracciare un suo profilo, Pell, dal punto di vista dottrinario, è un conservatore vicino all’Opus Dei, non condivide le aperture del papa su temi come le coppie non sposate, la comunione ai divorziati risposati e via dicendo. Ancora: è un sostenitore convinto di quel capitalismo globale sulle virtù salvifiche del quale il papa ha mostrato di aver assai poca fiducia. Sulla stessa questione ambientale Pell è decisamente meno sensibile di papa Francesco.

Eppure è lui l’uomo scelto da Francesco per imporre una svolta nella gestione finanziaria della curia vaticana; Pell rappresenta, sotto il profilo finanziario, il nuovo corso segnato – almeno in prospettiva – da una gestione corretta dei bilanci e del personale, da voci di spesa verificabili, dal superamento delle inefficienze, degli sprechi, delle pratiche sottogoverno. La Segreteria per l’economia è stata dotata in tal senso di ampi poteri. È stato il cardinale australiano, fra l’altro, a rivelare che nei vari dicasteri vaticani, in seguito a una prima verifica (febbraio 2015), erano stati “trovati” oltre un miliardo e 400 milioni mai registrati in nessun bilancio e tenuti da parte per eventuali emergenze. C’è dunque attesa per la pubblicazione dei prossimi bilanci della Santa sede che dovrebbero mettere finalmente in luce un quadro assai più dettagliato e completo di quanto sia avvenuto in passato. Di certo, però, le accuse provenienti dall’Australia costituiscono una tegola non da poco; allo stesso tempo va sottolineato come in soccorso di Pell sia andata, inaspettatamente, una testata tradizionalmente liberal e progressista del cattolicesimo inglese come The Tablet.

«Il cardinal George Pell – scriveva la rivista nel marzo scorso – non è mai stato l’uomo più popolare d’Australia, nemmeno tra i suoi confratelli vescovi – il che significa che papa Francesco è stato straordinariamente accorto nell’affidargli la responsabilità delle finanze vaticane. Queste erano in un tale stato, e bisognose a tal punto di essere riordinate, che solamente qualcuno disposto a pestare i piedi a qualcun altro e non troppo preoccupato della propria popolarità poteva essere all’altezza del compito». 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter