Tra il 1883 e il 1998, un sistema di istituti scolastici canadesi dedicati ai figli delle tribù native ha attivamente cercato di distruggere la cultura e la struttura sociale delle popolazioni pre-colombiane del Paese. Migliaia di bambini sono morti mentre erano sotto la tutela statale, spesso a causa di incuria e maltrattamenti. Nelle scuole, finanziate dal governo e gestite di solito dalle autorità religiose, erano endemiche la violenza fisica e l’abuso sessuale.
Sono le conclusioni a cui è giunta la Commissione per la verità e la riconciliazione del Canada, che ha rilasciato un primo rapporto dei suoi lavori dopo circa sette anni di indagini. Ha raccolto migliaia di testimonianze di persone coinvolte nelle attività governative verso gli aborigeni, ovvero gli appartenenti alle minoranze native delle tribù indiane e degli Inuit.
«Per oltre un secolo – scrive il rapporto, pubblicato il 2 giugno nella versione inglese – gli obbiettivi centrale della politica canadese nei confronti degli aborigeni sono stati di eliminare i governi aborigeni; ignorare i loro diritti; porre fine ai trattati; e, attraverso un processo di assimilazione, causare la fine dell’esistenza dei popoli aborigeni come entità legali, sociali, culturali, religiose e razziali distinte in Canada».
Le scuole residenziali, che per decenni hanno ospitato una percentuale rilevante dei bambini aborigeni in età scolare, sono state uno strumento fondamentale per portare avanti questo progetto, «che può essere meglio descritto come “genocidio culturale”».
Cento anni di discriminazione
Il rapporto inserisce il caso degli istituti scolastici nel quadro delle politiche nei confronti delle minoranze indiane e Inuit. Una serie di azioni attivamente discriminatorie e spesso criminali: per quanto riguarda le proprietà degli aborigeni, ad esempio, il governo canadese ha sistematicamente requisito e occupato le loro terre, disattendendo o non applicando i trattati stipulati con le cosiddette First Nations.
Gruppo di studenti alla Alert Bay Mission School, Columbia Britannica, 1885
(George M. Dawson / Library and Archives Canada / PA-037934)
Con una serie di misure come l’Indian Act del 1876, gli aborigeni vennero di fatto confinati nelle riserve, con trasferimenti forzati nel caso si trattasse di territori strategici o ricchi di risorse naturali. I loro leader spirituali furono incarcerati e le loro pratiche (dalle danze tradizionali al Potlach molto famoso presso gli antropologi) vennero messe fuori legge, rendendo cittadini di seconda classe chi rifiutava di abbandonare la propria identità aborigena.
Ma lo strumento principale per la politica razzista e discriminatoria furono le scuole residenziali, attive per oltre cento anni, in cui vennero inviati in totale circa 150 mila bambini e ragazzi. La motivazione principale per togliere i bambini alle loro famiglie e destinarli a scuole in località lontane – gestite dalle chiese cattoliche e protestanti – non era di tipo educativo, scrive il rapporto, ma economico e politico.
Fin dalla fine dell’Ottocento, e ancora alla fine degli anni Sessanta, i rappresentanti governativi dichiaravano che l’obbiettivo nella gestione degli affari indiani era quello di annullarne completamente l’identità e assorbirli nelle strutture dello stato canadese: il governo seguiva quella strada «perché desiderava liberarsi degli obblighi legali e finanziari verso i popoli aborigeni e ottenere il controllo delle loro terre e risorse».
Le scuole
«Incuria dei minori istituzionalizzata»
Le strutture che ospitavano le scuole erano per lo più inadeguate sotto tutti gli aspetti: dalla qualità del cibo al sovraffollamento e al personale, scarso di numero e poco preparato. Quando si cominciò a promuoverle negli anni Ottanta dell’Ottocento, «il modello – scrive il rapporto – veniva dai riformatori e dalle scuole industriali che stavano venendo costruite in Europa e in Nord America per i figli dei poveri». Il programma educativo si basava sull’assunto che le culture native fossero inferiori e da cancellare.
Bambine nei loro letti con due suore alla Turquetil Hall Residence, Chesterfield Inlet (Igluligaarjuk), Nunavut, 5 settembre 1958
(Charles Gimpel / Library and Archives Canada / PA-210885)
I bambini erano tolti alle famiglie spesso contro la loro volontà, anche se il quadro legale era poco chiaro e non tutti vennero inviati nelle scuole residenziali. «Molti bambini vennero nutriti con una dieta sotto gli standard e venne data loro una educazione insufficiente», scrive il rapporto. «La disciplina era severa e arbitraria; l’abuso era diffuso e non denunciato. Si trattava, come minimo, di incuria dei minori istituzionalizzata».
L’uso delle lingue indigene, per molti bambini l’unica lingua fino ad allora, era scoraggiato o apertamente vietato. Le pratiche religiose tradizionali erano ugualmente proibite. L’assunto era che i bambini dovessero essere «civilizzati» e «cristianizzati». Ma si trattò di uno sforzo vano: «i popoli aborigeni hanno rifiutato di rinunciare alla propria identità». Quel che è peggio, fu uno sforzo che fece anche molte vittime.
Il programma educativo si basava sull’assunto che le culture native fossero inferiori e da cancellare
Almeno 3201 bambini e ragazzi sono morti mentre erano negli istituti, scrive il rapporto: è la prima stima ufficiale di questo tipo, dopo che per anni erano circolate stime di assai minore affidabilità che ponevano la cifra fino a 50 mila vittime. Il rapporto ha sottolineato che si tratta di un tasso di mortalità parecchie volte superiore a quello delle epoche considerate, e il presidente della commissione Sinclair ha puntualizzato che la stima è quasi certamente per difetto, con il conto finale che potrebbe essere intorno alle seimila morti.
Il picco nel numero di minori ospitati nelle scuole si raggiunse nell’anno scolastico 1956-1957, con oltre 11 mila alunni. Le convenzioni con le chiese locali – principalmente cattoliche, della Chiesa unita protestante, anglicane, metodiste e presbiteriane – finirono ufficialmente nel 1969. Da allora il numero delle scuole – un’ottantina nel 1930 – calò drasticamente. Gran parte venne chiusa nel corso degli anni Ottanta, anche se l’ultima che riceveva sussidi governativi rimase attiva fino al 1998.
I difficili conti con il passato
La commissione, creata nel 2007, è presieduta da Murray Sinclair, un indiano Ojibwa che è stato il primo giudice di origine nativa nello stato canadese di Manitoba. Il suo rapporto è l’ultimo atto di un lungo processo di riconoscimento delle ingiustizie fatte nei confronti delle minoranze indigene e della crescente attenzione pubblica verso gli errori del passato.
La reazione delle autorità, negli ultimi anni, è stata comunque insufficiente e parziale nel percorso per ottenere una vera riconciliazione con le minoranze aborigene, nonostante siano già stati destinati circa 4 miliardi di dollari in compensazioni.
Il governo canadese ha formalmente chiesto scusa per le scuole residenziali solo nel 2008
La commissione denuncia che le raccomandazioni fatte fin dal 1996 dalla Royal Commission on Aboriginal Peoples, che chiedeva l’apertura di una nuova fase nei rapporti tra il governo e i suoi cittadini appartenenti alle minoranze native, sono state largamente ignorate. Oggi, aggiunge, le ferite non sono ancora sanate, e la relazione tra le popolazioni aborigene e le autorità canadesi rimangono improntate a una profonda sfiducia.
Qualche passo avanti è stato fatto negli ultimi anni: i rappresentanti delle chiese coinvolte nel processo di scolarizzazione forzata hanno presentato le proprie scuse, mentre nel 2008 il governo canadese – guidato, allora come oggi, dal conservatore Stephen Harper – ha formalmente chiesto perdono per il sistema degli istituti, un gesto richiesto per anni dai sopravvissuti.
In quell’occasione Phil Fontaine, capo dell’Assemblea delle First Nations, ha detto davanti al parlamento canadese che «i ricordi delle scuole residenziali, a volte, tagliano le nostre anime come spietati coltelli». Fontaine, nel 1990, era stato tra i primi capi indiani a riconoscere di essere stato vittima di abusi sessuali mentre era alunno di una scuola residenziale.
Proprio i conservatori di Harper, nonostante le scuse ufficiali, si sono dimostrati riluttanti a fare passi avanti più concreti. I partiti di opposizione hanno chiesto che si mettano in atto le 94 raccomandazioni finali del rapporto, ma il governo canadese si è limitato a dire che terrà conto delle conclusioni della commissione e che di recente sono già state prese molte iniziative che riguardano le popolazioni aborigene.