In Italia ci sono 340mila casi di lavoro minorile, spesso è sfruttamento

In Italia ci sono 340mila casi di lavoro minorile, spesso è sfruttamento

In Italia ci sono 340mila bambini e adolescenti costretti a lavorare. Minori di sedici anni che hanno dovuto abbandonare gli studi, in quasi 30mila casi sono impiegati in attività pericolose per la loro salute e sicurezza. Numeri sconvolgenti, presentati da Save the Children e Ilo – l’organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite – in occasione della recente giornata mondiale contro il lavoro minorile. Nel 2006 la legge italiana ha fissato a 16 anni l’età minima di accesso al lavoro. Eppure secondo la ricerca “Game Over” nel nostro Paese il 7 per cento dei minori nella fascia di età tra i 7 e i 15 anni è coinvolto nel fenomeno. Più in generale «il picco di lavoro minorile si registra tra gli adolescenti – spiega Raffaella Milano, direttore Programmi Italia-Europa Save the Children – In quell’età di passaggio dalla scuola media alla superiore, che vede in Italia uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d’Europa e pari al 18,2 per cento». Ecco perché per intervenire concretamente sul problema è necessario «intervenire per spezzare il circuito perverso tra disaffezione scolastica e lavoro minorile – continua la dirigente di Save the Children – rafforzando i progetti contro la dispersione scolastica, gli interventi di sostegno formativo per i ragazzi che hanno prematuramente abbandonato gli studi e favorendo una maggiore continuità fra scuola e lavoro attraverso percorsi protetti di inserimento lavorativo».

In quasi 30mila casi sono impiegati in attività pericolose per la loro salute e sicurezza

Per un bambino su dieci la situazione è particolarmente grave. Circa 28mila adolescenti sono coinvolti nelle forme più drammatiche di lavoro minorile. Non è scorretto parlare di sfruttamento. «Con orari notturni – si legge nella ricerca – o con un impegno continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, di non avere neanche uno spazio minimo per il gioco e il divertimento o per il necessario riposo». Spesso è difficile vederli. Nel 44,9 per cento dei casi i minori sono impegnati in attività di famiglia. Per gli altri, il settore di lavoro più comune è quello della ristorazione (43 per cento). Ma non mancano impieghi nell’artigianato (20 per cento) e in campagna (20 per cento).  Dati preoccupanti, che a causa della crisi economica rischiano persino di peggiorare. Anche per questo le organizzazioni impegnate in questa battaglia chiedono l’adozione urgente di un piano nazionale sul lavoro minorile nel nostro Paese. Anche attraverso un programma in grado di contrastare e prevenire lo sfruttamento lavorativo di bambini e adolescenti.

Fuori dall’Italia la situazione è anche più grave. Nel mondo, stando alle cifre di Save the Children e dell’Ilo, i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare sono 168 milioni. Circa 120 milioni di minori, prendendo in considerazione solo la fascia di età tra i 5 e i 14 anni. Ragazzi e ragazze in uguale misura. Per 85 milioni di loro, si tratta di lavori altamente rischiosi. L’area più colpita? L’Africa sub sahariana. Diversi i settori economici direttamente interessati dal fenomeno. Almeno 98 milioni di minori sono impiegati in agricoltura. «Ma bambini e adolescenti – si legge nella ricerca – sono coinvolti anche in attività domestiche, nel lavoro in miniera o nelle fabbriche, spesso in condizioni di estremo pericolo e sfruttamento». 

Nel mondo i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare sono 168 milioni

Una realtà drammatica per il presente, ma anche per il futuro dei minori coinvolti. Lo racconta Furio Rosati dell’Ilo, direttore del programma di ricerca Ilo-Unicef- Banca Mondiale Understanding Children’s Work. «Come emerge dal Rapporto mondiale sul lavoro minorile 2015 – spiega – un bambino costretto a lavorare prima del tempo avrà il doppio delle difficoltà dei suoi coetanei ad accedere ad un lavoro dignitoso in età più adulta. E correrà molti più rischi di rimanere ai margini della società, in condizioni di sfruttamento». La scuola può essere la risposta. «È cruciale assicurare ai minori una istruzione di qualità – continua Rosati – almeno fino all’età minima di accesso al mercato del lavoro, per garantire l’acquisizione delle conoscenze di base e delle competenze adeguate alle necessità del mercato del lavoro. Dobbiamo impedire che il lavoro minorile comprometta il presente e il futuro dei bambini e agire perché non accada, sia nei paesi in via di sviluppo che nei paesi più benestanti. Italia inclusa».

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