Lavoro, il Jobs Act non ha fatto nessun miracolo

Lavoro, il Jobs Act non ha fatto nessun miracolo

Con i dati sul primo trimestre 2015 delle comunicazioni obbligatorie pubblicati ieri è finalmente possibile farsi una prima, sommaria, idea sugli effetti degli incentivi alle assunzioni che hanno accompagnato il Jobs Act, i cui cambiamenti alle tutele contrattuali sono entrati in vigore solo da Marzo 2015. I dati di ieri, perciò, possono al massimo gettare un po’ di luce sui trend recenti in tema di assunzioni, separazioni e sulla loro relazione con la crescita. Per una valutazione iniziale del Jobs Act, perciò, meglio attendere un paio di trimestri di dati.

Se confrontato con i primi trimestri di ogni anno, si può notare come il saldo netto dell’anno in corso sia lontano dall’essere eccezionale

Il primo grafico mostra il numero assoluto di attivazioni e cessazioni contrattuali, e il loro saldo netto, dal 2012 in avanti. Nel primo trimestre del 2015, i 2 milioni e mezzo di contratti attivati si accompagnano a 2 milioni scarsi di attivazioni, per un valore netto nel trimestre pari a 610 mila. Come si può notare, la serie è altamente stagionale, fatto che, se non fosse tenuto in considerazione, falserebbe l’analisi. Se confrontato, come andrebbe fatto, con i primi trimestri di ogni anno, si può notare come il saldo netto dell’anno in corso sia lontano dall’essere eccezionale: un anno fa era pari a 580 mila contratti. Prima evidenza empirica chiara: un aumento di 30 mila unità mostra come la domanda di lavoro resti fiacca, anche al netto degli incentivi alle assunzioni.

Figura 1, Attivazioni, cessazioni e saldo netto

Ricordiamo, tra l’altro, che l’unità di osservazione del sistema informativo SISCO sono i contratti. Il saldo netto si riferisce perciò a unità contrattuali, non direttamente a lavoratori aggiuntivi. Considerando i dati sul numero medio di attivazioni per lavoratore, mostrati nel grafico 2, si può notare come rispetto al 2014 la situazione sia leggermente migliorata: le attivazioni medie per lavoratore sono in discesa, segno che il mercato del lavoro è meno sofferente di un anno fa, e i lavori leggermente più stabili. Il fatto che il rapporto sia in discesa per ogni gruppo di età è un’indicazione chiara che sono le condizioni economiche generali ad essere meno incerte.

Con un rapporto medio di attivazioni per lavoratore vicino a 1.4, significa che nel trimestre sono stati attivati in realtà 1 milione e 850 mila lavoratori. Lo stesso rapporto per le cessazioni è pari a 1.5, ovvero in media nel trimestre 1 milione e 310 mila lavoratori hanno sperimentato almeno una cessazione di contratto. Il saldo netto corretto è, perciò, uguale a +530 mila lavoratori nel trimestre. Era pari a 480 mila nello stesso trimestre del 2014. Il saldo netto corretto è, dunque, aumentato di 50 mila lavoratori in un anno, dato compatibile con le statistiche Istat. Buone notizie, ma lontane dal boom di cui continuamente si legge sui nostri giornali, o sulle bocche dei politici di governo.

Figura 2; Numero medio di attivazioni per lavoratore, per gruppo di età

Figura 3; Quote relative delle tipologie contrattuali sul % del totale

Sembrerebbe che i ghiotti sussidi abbiano convinto parte delle imprese a stabilizzare più personale. L’aumento percentuale è sinora modesto: per la “fine del dualismo” del mercato del lavoro è meglio attendere dati più robusti

Obiettivo dichiarato degli incentivi era dare più stabilità contrattuale ai neoassunti. Il grafico 3 mostra la quota di contratti – rispettivamente attivati e cessati – a tempo indeterminato e a termine. I sussidi alle assunzioni hanno per ora contribuito a far aumentare la quota dei contratti a tempo indeterminato di 3.6 punti percentuali. L’aumento, come mostrato nel grafico 4, è dovuto per la metà a minori contratti a termine, mentre il restante è da divedersi fra minori contratti di collaborazione, oramai dei veri e propri “paria”, e minori apprendistati, in parte cannibalizzati dagli incentivi. Le quote relative alle cessazioni, invece, sono inalterate, rispetto allo stesso periodo di un anno prima.

Figura 4; Cambiamenti nelle quote relative delle tipologie contrattuali I trimestre 2015 versus I trimestre 2014

Figura 5; Distribuzione della durata media dei contratti cessati

Prima facie, sembrerebbe che i ghiotti sussidi abbiano convinto parte delle imprese a stabilizzare più personale. L’aumento percentuale è, comunque, sinora modesto; per la “fine del dualismo” del mercato del lavoro, meglio attendere dati più robusti anche sull’impatto delle nuove tutele introdotte dal Jobs Act.

Un aumento di nemmeno 4 punti percentuali nella quota di attivazioni a tempo indeterminato è, per il momento, un risultato certamente positivo, ma non eclatante, soprattutto se confrontato con i costi dell’intera operazione sussidiante. Sarà determinante, da questo punto di vista, monitorare le statistiche sulla durata media dei contratti. Il grafico 5 mostra come, ad oggi, sia troppo presto per sbilanciarsi su eventuali effetti di vera e persistente stabilizzazione contrattuale.

La quota di contratti cessati con una durata media superiore a un anno è ferma a un poco desiderabile 21%. Ogni passo in avanti verso un mercato del lavoro meno duale, che produca lavori di migliore qualità, sarà misurato con gli indicatori qui citati. Per le valutazioni miracolistiche, meglio rivolgersi ai tanti aruspici etruschi che quasi giornalmente inondano le cronache economiche dei nostri giornali.

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