Gorky ParkLe sanzioni alla Russia fanno più male all’Europa che a Putin

L’analisi

Vladimir Putin in Italia e in Vaticano. All’Expo, dal premier Matteo Renzi e da Papa Francesco. Programma denso per una visita lampo che arriva in un momento delicato sulla scacchiera internazionale. Al G7 tedesco di Elmau l’Occidente ha ribadito di voler continuare a mantenere la linea dura con il Cremlino e prolungare le sanzioni comminate un anno fa a causa della crisi ucraina. Le decisioni ufficiali devono ancora arrivare, ma l’atteggiamento di Stati Uniti ed Europa è chiaro: la pressione sul Cremlino deve essere mantenuta, dato che nel Donbass la questione è ancora tutta da risolvere e gli accordi di Minsk sono appesi a un filo. E la causa del disordine è russa.

L’Occidente, al G7, ha ribadito di voler continuare a mantenere la linea dura con il Cremlino

Per Barack Obama e Angela Merkel non c’è ombra di dubbio che la Russia stia giocando sporco in Ucraina e di Putin ci sia poco da fidarsi. La strategia è quindi la medesima, quella di mantenere in vigore i provvedimenti ristrettivi e tentare di isolare sempre di più il presidente russo, con il proseguimento dell’ostracismo da quello che fino a un anno fa è stato il G8. La realtà è però un po’ diversa da quella rappresentata da Washington e Berlino e le posizioni dei singoli paesi europei sono molto più diversificate di quanto alla fine dei conti non si esterni a Bruxelles. Senza contare che il presunto cordone sanitario intorno al Cremlino non solo è bucherellato sul versante occidentale, ma proprio inesistente su quello orientale. Basta dare un’occhiata all’agenda di Putin per rendersene conto: oggi in Italia, fra un paio di giorni in Azerbaigian, all’inizio luglio gran cerimoniere a Ufa, in Baschiria, del summit dei Brics che quest’anno ingloba quello della Sco, l’Organizzazione di Shanghai che comprende oltre alla Cina quasi tutte le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale e come osservatori India, Pakistan e Iran. La Russia guarda insomma più a Oriente che verso l’Europa e resta ancora da vedere chi ci perde o ci guadagna nello spostamento dei vecchi equilibri.

Putin: «gli americani non vogliono tanto il ravvicinamento tra la Russia e l’Europa. Non lo affermo, lo dico solo come ipotesi»

Visto da Mosca il quadro è semplice e l’ha descritto lo stesso Vladimir Putin nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera proprio alla vigilia del suo arrivo a Milano: la crisi ucraina è stata costruita ad hoc e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. «Gli americani non vogliono tanto il ravvicinamento tra la Russia e l’Europa. Non lo affermo, lo dico solo come ipotesi. Supponiamo che gli Usa vogliano mantenere la propria leadership nella comunità atlantica. Hanno bisogno di una minaccia esterna, di un nemico per garantirla. E l’Iran chiaramente non è una minaccia in grado di intimidire abbastanza. Con chi mettere paura? Improvvisamente sopraggiunge la crisi ucraina. La Russia è costretta a reagire. Forse tutto è fatto apposta, non lo so. Ma non siamo noi a farlo. Voglio dirvi: non bisogna aver paura della Russia. Il mondo è talmente cambiato, che oggi le persone ragionevoli non possono immaginare un conflitto militare su scala così vasta. Noi abbiamo altre cose da fare, ve lo posso assicurare». Paradossalmente, dopo le parole di Putin e la mano tesa verso l’Europa, ennesimo esempio dei segnali che arrivano da Mosca e a Occidente vengono ignorati o nemmeno capiti, Obama e Merkel dalla Germania hanno pensato bene di mantenere le distanze: il primo ha affermato che «Vladimir Putin deve decidere se continuare a distruggere l’economia del suo Paese e mantenere la Russia nell’isolamento nel tentativo di ricreare le glorie dell’impero sovietico», la seconda che «se la situazione lo dovesse richiedere le sanzioni potrebbero essere rafforzate».

La deposizione violenta a Kiev di Victor Yanukovich, l’annessione della Crimea da parte della Russia e il conflitto del Donbass, in parte guerra civile, in parte proxy war, hanno scavato un largo fossato tra Russia e Occidente e fatto sì che l’aquila a due teste da Mosca si sia girata quasi completamente verso Oriente. Gli accordi di Minsk, chiamati in causa anche nella dichiarazione finale del G7 di Elmau, continuano ad essere un punto di disaccordo più che una piattaforma per il processo di pace e se Stati Uniti ed Europa richiamano alla responsabilità Putin, quest’ultimo fa notare che un paio di elementi non certo secondari dell’intesa devono essere soddisfatti da Kiev, dove però il presidente Petro Poroshenko e il premier Arseni Yatseniuk paiono fare di tutto, tranne che voler iniziare quel dialogo tra centro e periferia come previsto. Non si tratta di errori di prospettiva, il tema è però centrale per capire come sia da una parte che dall’altra la diplomazia sia sopraffatta dal posizionamento ideologico. L’Ucraina uscita dalla rivoluzione del 2014 si sta avviando a diventare un failed state nel cuore del continente, sacrificato alle logiche geopolitiche dettate dai rigurgiti della Guerra fredda. E il conto lo sta pagando soprattutto l’Europa.

Le sanzioni imposte da Washington sono più controproducenti che altro

Le sanzioni hanno fatto il solletico alla Russia, che è in difficoltà per calo del prezzo del petrolio, il rublo debole e i soliti problemi di un’economia poco diversificata, e hanno influenzato negativamente certi settori dell’export europeo molto meno di come abbiano intaccato quello americano. Il muso duro imposto da Washington anche all’Europa è più controproducente che altro, visto che se lo scopo era quello di far mollare la presa russa sull’Ucraina, la strategia si è rivelata un fallimento. Mosca continua ad avere ottimi legami con diversi stati europei: l’Italia, la Germania (nonostante Merkel), l’Austria, la Francia, la Grecia, quella vecchia Europa insomma alla quale si contrappone la nuova, dalla Polonia ai Paesi baltici e, ovviamente, alla Gran Bretagna quasi in dirittura d’uscita e geopoliticamente vassalla di Washington. Vladimir Putin, anche se ha spostato già il baricentro della Russia a est, vuole continuare a tenere aperta la finestra occidentale: sbatterla non conviene a nessuno.