Dopo Ignazio Marino, il nulla. Nel Partito democratico giurano che sia ancora presto per questa riflessione. Il primo cittadino di Roma resta al suo posto, ha il sostegno del presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Quella delle dimissioni del sindaco è un’ipotesi che non esiste e che non è mai esistita» conferma il commissario del Pd romano Matteo Orfini. La verità è che, anche volendo, non ci sono possibili sostituti. Se la Città Eterna travolta dallo scandalo di Mafia Capitale dovesse tornare al voto, i dem sarebbero in grande difficoltà a trovare un nuovo candidato.
Al momento nessuno può dire quando ci saranno nuove elezioni. Al netto di clamorose novità giudiziarie sembra difficile che il Consiglio dei ministri possa sciogliere l’assemblea capitolina per infiltrazioni mafiose. «Ma anche questo non è detto – racconta un deputato che segue da vicino la situazione – Molto dipenderà dalla relazione del prefetto». In ogni caso anche i più convinti sostenitori di Marino mettono in conto un termine anticipato della consiliatura. Al massimo tra un anno, magari dopo l’avvio del Giubileo, è probabile che al sindaco venga chiesto un passo indietro. Ecco allora che il problema si ripropone. Alle elezioni chi ci mette la faccia? La questione è ingarbugliata. L’identikit del perfetto candidato non esiste. Il terremoto di Mafia Capitale sembra aver fatto piazza pulita di nomi. Il punto di partenza di qualsiasi ragionamento è sempre lo stesso: chi correrà dopo Marino non può provenire dall’attuale classe dirigente cittadina. Troppo gravi le ripercussioni mediatiche dello scandalo. Un problema che non riguarda solo le personalità direttamente coinvolte nell’inchiesta.
Per vincere la concorrenza degli avversari – Cinque Stelle in testa – bisogna candidare un esponente distante dal vecchio sistema. Il nome che gira parecchio in città è quello di Fabrizio Barca. All’ex ministro è stato affidato un ruolo che sembra fatto apposta. Da qualche tempo il commissario Orfini gli ha chiesto di mappare i punti di forza e di debolezza del Pd romano. Una lunga ricognizione nei circoli cittadini che sarà presentata il 19 giugno. È stato un viaggio faticoso, necessario e non banale. Già le prime indiscrezioni presentate a metà dell’opera hanno evidenziato diversi problemi. Alcune realtà, ad esempio, hanno spinto Barca a descrivere il Pd romano come un partito «non solo cattivo, ma pericoloso e dannoso: dove non c’è trasparenza e neppure attività». È lui il candidato sindaco perfetto? Non proprio, almeno a sentire qualche dirigente locale. Barca rischia di essere percepito come un candidato troppo di sinistra. «E se non ci allarghiamo anche al centro, a Roma si perde» raccontano. Senza considerare un altro dato. Più di qualcuno teme che il profilo “alto” dell’ex ministro possa mal conciliarsi con alcune realtà dell’elettorato. Insomma, Barca sarebbe davvero in grado di parlare alle periferie? «A Marino gli è stato imputato di tutto, ma almeno in campagna elettorale era riuscito a rivolgersi anche a quei romani».
E riproporre Ignazio Marino? A Roma qualcuno ci pensa. Dopotutto finora il sindaco è uscito più che pulito dalle inchieste. Non solo estraneo alla criminalità che si era infiltrata in Campidoglio, ma persino ostacolo ai tentativi di corruzione. Un suo passo indietro e l’immediata ricandidatura? «Da persona onesta qual è – ha spiegato stamattina Gianni Cuperlo – Marino potrebbe dire: “Io sono arrivato a scoperchiare tutto questo, mi fermo qui, ridatemi la fiducia”». Sondaggi alla mano, l’ipotesi pare davvero complicata. Il sindaco non sembra incontrare il favore di molti elettori romani, anche tra chi lo ha già votato una volta. Mafia Capitale a parte, la sua gestione della Città Eterna ha evidenziato numerose criticità. Forse troppe per tentare una rielezione.
La rassegna dei papabili prosegue, una bocciatura dopo l’altra. Tra i possibili candidati a sindaco c’è chi indica Roberto Giachetti. Vicepresidente della Camera, renziano, già radicale. Dalla sua ha l’esperienza. La macchina del Campidoglio la conosce bene: a Roma è stato il capo di Gabinetto del sindaco Francesco Rutelli. Eppure, si racconta in Transatlantico, avrebbe un problema simile, ma politicamente opposto, a quello di Fabrizio Barca. I duri scontri con esponenti della minoranza Pd – basta ricordare i più recenti con Pierluigi Bersani e Stefano Fassina durante la direzione Pd – rischiano di mettere in difficoltà l’elettorato più di sinistra. «Insomma, se poi viene fuori un candidato forte, espressione di un movimento di sinistra, rischiamo di perdere» ragionano alcuni deputati. La vicenda delle Regionali in Liguria insegna.
Il nome perfetto, si dice a Roma, sarebbe quello di Nicola Zingaretti. Autorevole esponente del partito, anche lui finora estraneo alle vicende di Mafia Capitale. Amministratore apprezzato e rispettato. Non solo, al Campidoglio doveva andare proprio lui. Peccato che quando Renata Polverini lasciò la Regione, il partito chiese all’allora presidente della Provincia di sacrificarsi e correre per la meno ambita poltrona. Zingaretti ha obbedito agli ordini e ora sembra rimanere bloccato in quella posizione. «Mi dite voi come potrebbe lasciare a metà il suo mandato per candidarsi in Campidoglio?» si chiede qualcuno nel Pd romano. Il dubbio sembra fondato, abbastanza per depennare un altro nome. Senza considerare che lo scandalo di Mafia Capitale si sta allargando a macchia d’olio anche dalle parti della Pisana.
Non mancano le suggestioni. C’è chi è pronto a scommettere sulla candidatura di Marianna Madia, ministro per la Pubblica amministrazione. Giovane, mediaticamente spendibile, romana e renziana. Romano e renziano, del resto, è anche il titolare degli Esteri Paolo Gentiloni. Lui alle scorse primarie aveva persino sfidato Marino, senza successo. Entrambi hanno un peccato originale. Sono esponenti dell’esecutivo. Lasciare un incarico per candidarsi a un altro ruolo non sempre paga. Basta chiedere ad Alessandra Moretti, l’ex europarlamentare duramente sconfitta alle Regionali in Veneto. Al netto di questo ragionamento, i due sarebbero in grado di scaldare l’elettorato in quella che si immagina una delle campagne elettorali più dure nella storia della Capitale?
All’appello manca Matteo Orfini. Quando sarà il momento di sostituire Marino, il presidente del Pd avrebbe tutte le carte in regola per farsi avanti. Romano, commissario del partito in città, scelto da Renzi proprio per far pulizia dopo gli scandali di Mafia Capitale. Il primo dubbio riguarda la sua ferma difesa del sindaco. Come può candidarsi per il dopo Marino, chi rifiuta con tanta convinzione l’ipotesi di un suo passo indietro? I più dubbiosi sostengono che Orfini è uno che “non buca” lo schermo. Poco adatto a una lunga campagna elettorale. Chissà. Gli estimatori del presidente la raccontano diversamente. «Ma chi glielo fa fare di lasciare un importante ruolo nazionale per correre una partita tutta in salita?». Il rebus resta complicato, a tratti irrisolvibile. Forse la soluzione è individuare un Papa straniero. Un amministratore apprezzato, magari reduce da qualche esperienza politica geograficamente lontana. Anche qui gli interrogativi non mancano. I romani sarebbero disposti a votare un non romano? Dopo il “genovese” Marino si rischia di scegliere un candidato sbagliato. «Ma queste sono tutte parole al vento» ostenta tranquillità un deputato democrat. «Per il momento il partito è stretto attorno a Marino, il sindaco di Roma è lui». Sindaco per convinzione, sia chiaro. E per mancanza di alternative.