Comincia tutto con le migliori intenzioni. Non c’è niente che possa andare storto. Se l’esperimento è controllato e il team di ricerca è preparato come l’equipaggio ben addestrato di una missione spaziale, per quanto delicata, non c’è niente che possa sfuggire di mano. Poi, puntualmente, tutta l’imprevedibilità della scienza si fa carico della percentuale minima di rischio e manda alla deriva calcoli e probabilità. In gioco c’è quasi sempre la sicurezza di una regione, di una Nazione o dell’umanità e, anche nei casi in cui la premessa è che tutto si possa rimettere a posto, non va mai a finire veramente bene.
Negli ultimi mesi la fiction — il cinema in particolare, con film come Interstellar, di Christopher Nolan, e Gravity, di Alfonso Cuarón, ma anche la letteratura, rimane un bellissimo esempio L’uomo di Marte, di Andy Wier, che non a caso è stato tradotto in pellicola da poco per la regia di Ridley Scott — si è incrociata con le recenti esplorazioni e ha rivolto la propria attenzione all’immensamente grande. Il pubblico alza il naso al cielo per guardare quell’universo nel quale tutto pare succedere per fisiche misteriose e in nome di un futuro non troppo lontano. L’esplorazione spaziale è al centro della nostra fantasia da decenni, a volte si intensifica, a volte si sgonfia, ma rimane la fonte principale per l’invenzione fantascientifica. È semplice fantasticare su quanto è ancora misterioso, più difficile occuparsi del contrario. Questa è la storia della fantasia attorno all’infinitamente piccolo: il contrario dell’universo, il contrario dell’infinito, il contrario dello spazio sconosciuto.
Nel documentario del 2013 Particle Fever, di Mark Levinson, si racconta la storia degli ultimi anni di una ricerca finita bene, che a più riprese ha rischiato di fare impazzire le persone che si sono trovate ad averci a che fare. L’esistenza del bosone di Higgs era stata ipotizzata nel 1964, ma la particella è stata riconosciuta per la prima volta soltanto nel 2012. Non a caso è stata soprannominata “particella di Dio”, traducendo l’inglese “God Particle” che dava il titolo a un saggio di Leon Lederman del 1993 che avrebbe in realtà dovuto chiamarsi Goddam Particle: la particella maledetta. Come il film che se le cose fossero andate storte avrebbe potuto ispirare. Il bosone di Higgs, per farla breve e semplice, è la componente fondamentale della materia che occupa tutto il vuoto dell’universo in qualsiasi istante. È il responsabile dello spazio, in pratica, e malgrado questo non ha meritato un posto in nessuna distopia recente. È facile ipotizzare il perché: se ne sta lì senza fare nulla, o meglio facendo quello per cui esiste. Il nulla. Non può sbagliare nel compiere il suo mestiere e per questo non è molto interessante. Però, appena prima che la febbre spaziale scoppiasse, sembrava dovesse diventare lui il protagonista di tutta la fantascienza a venire.
La fantascienza arriva prima della scienza e si trova a fare previsioni fin troppo vicine alla realtà
Una delle premesse per chiamare in causa la fisica molecolare o la genetica in film e romanzi è che un loro utilizzo scriteriato possa causare una catastrofe di proporzioni milioni di volte più grandi delle dimensioni degli agenti manomessi. L’altra premessa è che non ci si debba perdere troppo in spiegazioni complicate. Il mondo nuovo, capolavoro di Aldus Huxley del 1932, è uno dei primi esempi di ipotesi sui danni che l’umanità potrebbe fare a se stessa manomettendo la propria natura. Sarebbero passati più di vent’anni prima che James Watson e Francis Crick potessero descrivere per un filamento di DNA, isolandone la struttura e consegnando nelle mani dell’uomo gli strumenti per la manipolazione genetica vera e propria, ma Huxley aveva comunque potuto fantasticare attorno a colture extra-uterine e selezione degli esseri umani in vitro. Qualcosa di simile all’umanità post-atomica del Matrix dei fratelli Wachowski (1999), ma più grossolano. Quello che gli scienziati nazisti avevano in mente durante la Seconda Guerra mondiale mentre pensavano alla creazione di supersoldati e macchine da guerra “prodotte” attraverso la ricerca su cavie umane nei campi di concentramento. Di solito la fantascienza arriva prima della scienza — o di ciò che più le assomiglia — e si trova a fare previsioni fin troppo vicine alla realtà.
Dopo che la struttura genetica degli organismi è diventata cosa nota e comprensibile, la sua rappresentazione fantascientifica ha cominciato a popolare i peggiori incubi di lettori, scrittori, spettatori e registi. Watson e Crick avevano fornito a una spiegazione attendibile e una base scientifica alFrankenstein di Mary Shelley (1818), più o meno come la sperimentazione nucleare avrebbe giustificato l’esistenza del Mostro della laguna nera di Jack Arnold (1954). Il Wellcome Trust Sanger Instutute e il National Human Research Institute hanno compilato una lista di tutti i film, i romanzi e le serie tv che fanno uso della genetica e della manipolazione molecolare. È interessante notare come con l’acquisizione di una maggiore consapevolezza scientifica si riduca la spettacolarità delle trame. Negli ultimi venticinque anni sembra che solo un paio di opere — I ragazzi venuti dal Brasile, di Ira Levin del 1978, poi adattato per il cinema da Franklin J. Schaffner e Jurassic Park di Michael Crichton del 1990, secondo Wellcome Trust — siano fondate su teorie scientifiche al passo coi tempi, delegate a una spiegazione semplice infarcita di parole complicate e alla sua immediata applicazione pratica. John Hammond che, nell’adattamento cinematografico del capolavoro di Crichton, diretto nel 1993 da Steven Spielberg, completa la sequenza genetica fossile di un dinosauro con quella viva di un rospo, in un azzardo sottolineato dalla casualità della tragedia meno di venti minuti più tardi.
Per diventare materia da fiction, la “vera scienza” deve andare a rotoli, eccedendo a se stessa. La genetica deve creare mostri ributtanti o riportare in vita dinosauri scaltrissimi, la ricerca sui vaccini deve sfociare in un ecatombe batteriologica che metta a repentaglio l’esistenza dell’umanità e naturalmente la fisica molecolare deve per lo meno rovinare una vita. Quando nel 1986 Seth Brundel, qui con il volto di Jeff Goldblum abilmente diretto da David Cronenberg, è riuscito a mettere a punto un aggeggio per il teletrasporto basato sulla dissociazione delle particelle e il loro riassemblaggio, non poteva immaginare che bastasse una mosca a cambiargli per sempre i connotati e il senso del dolce. L’idea viene da L’esperimento del dottor K, un film del 1958 a sua volta tratto dal racconto dell’anno prima La mosca, di George Langelaan. Cronenberg non fa lo sforzo di adattare le proprie basi scientifiche ai tempi e lascia che sia l’equazione elementare “uomo + insetto” a trascinare la narrazione in una logica deviata per cui più il risultato è spettacolarmente mostruoso, meno sono necessarie spiegazioni. Lo stesso motivo per cui il bosone di Higgs non diventerà mai una star del cinema: non può, da solo, deviare il corso della vita sulla terra e se anche decidesse di smettere di esistere non ci sarebbe il tempo di rendersene il conto né la remota possibilità che qualcuno rimanga per raccontare la storia della fine dell’uomo.
I viaggi intergalattici funzionano bene perché sono tanto vicini a noi quanto lontani dalla nostra immaginazione. Si basano sull’equilibrio tra ingegneria e abilità che passa tra chi ha progettato la macchina e chi deve pilotarla. Si aprono al mistero quanto all’errore umano, ma generalmente riguardano solo chi è strettamente coinvolto nella missione. La scienza microscopica è un agente universale che non ha conseguenze se non inimmaginabili, per questo è più difficile da enfatizzare: la spiegazione reale del danno che può provocare fa più paura e nessuno di noi è ancora pronto.