Una firma di tutto riposoSe Dio non gioca a dadi, perché deve farlo la Consulta?

Giustizia

Questa volta la Corte Costituzionale ha deciso che la sua sentenza di incostituzionalità sul blocco degli scatti per inflazione dentro la Pubblica Amministrazione non ha effetti retroattivi. Il governo tira un sospiro di sollievo. E i cittadini pagatori di tasse gli fanno buona compagnia, perché una sentenza con effetti retroattivi sarebbe costata 35 miliardi di euro, come premurosamente fatto presente dall’Avvocatura dello Stato (che non aveva avuto la stessa premura prima dell’analoga sentenza relativa alle pensioni).

Vi sono tre aspetti da sottolineare a proposito di queste decisioni della Consulta su provvedimenti di contenimento della spesa pubblica corrente, tipicamente presi in condizioni di emergenza da parte del governo in carica

La posizione della Corte Costituzionale è marcatamente politica

Primo punto: la posizione della Corte Costituzionale è marcatamente politica, in quanto – per gli effetti futuri delle proprie sentenze – sia nel caso delle pensioni che degli scatti stipendiali nella Pubblica Amministrazione prende le difese di chi beneficia della spesa pubblica corrente, mentre sembra preoccuparsi molto meno dei pagatori di tasse che queste spese aggiuntive dovranno finanziare. La nuova versione dell’articolo 81 della Costituzione prevede il pareggio di bilancio, ma dalle sue sentenze sembra che la Consulta preferisca largamente un aggiustamento dei conti pubblici che passa attraverso un incremento della tassazione, e non un contenimento della spesa.

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Secondo punto, più roseo: la pressione dei media e dell’opinione pubblica a proposito del modo in cui l’Avvocatura dello Stato difende gli interessi della Presidenza del Consiglio davanti alla Consulta sembra aver sortito qualche piccolo effetto positivo. Questa volta l’Avvocatura dello Stato ha fornito una stima precisa dell’onere per i conti pubblici di un’eventuale pronuncia d’incostituzionalità, sia riguardo al passato che al futuro. Dopo tutto, la Ragioneria Generale dello Stato è perfettamente in grado di fornire queste stime all’Avvocatura stessa.

Non si riesce davvero a capire quale criterio utilizzi la Consulta per decidere se le sue sentenze che fanno male ai conti pubblici risparmino il passato

Terzo punto, molto meno roseo: come efficacemente messo in evidenza da Thomas Manfredi su Twitter (“Ma hanno introdotto le targhe alterne per l’art 81?”) non si riesce davvero a capire quale criterio utilizzi la Consulta per decidere se il pareggio di bilancio – così come previsto dall’articolo 81 della Costituzione – imponga che le sue sentenze che fanno male ai conti pubblici risparmino il passato, cioè non abbiano effetti retroattivi. Nel caso della sentenza sulla Robin Tax si decise per l’assenza di effetti retroattivi, mentre nella sentenza sulle pensioni l’articolo 81 non venne nemmanco citato nella decisione stessa e si decise per una sentenza con effetti retroattivi; ora con il blocco degli scatti nella PA si decide per la non retroattività. Il mondo è difficile e incerto: perché mai la Consulta deve aggiungere incertezza all’incertezza? Come mai la presenza di effetti retroattivi nelle sue sentenze sembra affidata al caso? Parafrasando uno scienziato abbastanza noto: se Dio non gioca a dadi, perché mai dovrebbe farlo la nostra Consulta?

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