La storia che vi vogliamo raccontare oggi ha tutti gli ingredienti per diventare un tormentone web letterario: abbiamo le liste di libri da leggere, il vecchio critico fermo sulle sue posizioni da decenni, i book blogger più geek sul piede di guerra…
Ma andiamo con ordine. È uscito il 12 maggio negli Stati Uniti il nuovo libro di Harold Bloom, uno dei più influenti critici letterari viventi, conosciuto sopratutto per il suo Canone Occidentale (1994) – l’antenato di tutti i listoni letterari, per dirla in modalità da bar – nel quale identificava i 26 autori maestri, ovvero quelli sui quali la civiltà occidentale ha edificato la sua letteratura, Shakespeare e Whitman uber alles. Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro. Ma non solo: agli autori secondo lui non rilevanti, inclusi parecchi premi Nobel, Bloom non ha mai risparmiato stoccate al vetriolo e giudizi tranchant, approccio grazie al quale si è costruito la fama di personaggio controverso.
Nel suo nuovo libro, dal titolo The Daemon Knows: Literary Greatness and the American Sublime, Bloom si concentra su alcuni scrittori della letteratura statunitense, mettendo le loro opere in conversazione tra loro e in relazione al concetto di demone (lo spirito creativo), soffermandosi su quegli autori che meglio rappresentano quello che egli definisce “the American Sublime”.
Non si tratta di un buzzfeediano listone dei suoi autori americani preferiti, ma è così che il libro viene presentato da Vanity Fair in un articolo il cui titolo va a caccia di click facili
Non si tratta quindi di un buzzfeediano listone dei suoi autori americani preferiti, ma è così che il libro viene presentato da Vanity Fair in un articolo il cui titolo va a caccia di click facili: How Harold Bloom Selected His Top 12 American Authors . Ad una brevissima introduzione al nuovo lavoro del critico ultraottantenne segue una lista dei 12 autori citati da Bloom, per ognuno dei quali vengono estratte dal libro poche righe dalle quali emerge il perché quell’autore è “entrato” nella cerchia degli eletti.
Ogni lista, si sa, chiama una contro-lista, così come dopo il Canone di Bloom si sono visti proliferare gli anti-canone
Ma ogni lista, si sa, chiama una contro-lista, così come dopo il Canone di Bloom si sono visti proliferare gli anti-canone. Ed è così che un paio di giorni fa sulle pagine di Book Riot, seguitissimo book blog statunitense, un’indignata Rachel Cordasco risponde alla lista di Bloom (anzi no, a quella di Vanity Fair!) pubblicando le liste dei 12 autori americani più autorevoli, stilate dall’autrice e da altri redattori del blog.
La Cordasco e gli altri Rioters si dichiarano disturbati dalla lista di Bloom, colpevole di essere caduto in qualche trappola temporale e di aver dimenticato tutti gli scrittori dalla seconda metà del Ventestimo secolo in avanti. E ancora, sottolineano il fatto che la sua lista escluda qualunque autore che non sia bianco e preferibilmente maschio. In effetti Bloom non ha mai fatto mistero di fregarsene altamente del politically correct e di non amare praticamente nessuno degli scrittori contemporanei, salvando solo Cormac McCarthy, Philip Roth, Don DeLillo e Thomas Pynchon e condannando senza appello David Foster Wallace (definito uno scrittore di un livello talmente basso da far sembrare Stephen King Cervantes ) e Jonathan Franzen, un’imitazione di Charles Dickens.
Bloom non aveva alcuna intenzione di scrivere un nuovo canone degli autori americani più importanti, né poteva essere sapere che così sarebbe stato attaccato sul web da persone che, per stessa ammissione della Cordasco, il libro non lo hanno nemmeno letto
Ma il punto è, come sottolinea Laura Miller in questa bella fotografia della situazione uscita ieri su Salon, che Bloom non aveva alcuna intenzione di scrivere un nuovo canone degli autori americani più importanti, né poteva essere consapevole che così sarebbe stato commentato e rimbalzato sul web da persone che, per stessa ammissione della Cordasco, il libro non lo hanno nemmeno letto. Se la Cordasco avesse letto il libro, continua la Miller, saprebbe infatti che sin dalla prima pagina Bloom afferma che «Whether these are our most enduring authors may be disputable, but then this book does not attempt to present an American canon.»
Che poi se Bloom avesse voluto fare una lista dei migliori scrittori americani quella lista non sarebbe stata molto diversa, e che non avrebbe incluso nessun autore contemporaneo, è assai probabile. Tuttavia, se partiamo dall’affermazione della Cordasco, ovvero di non aver mai letto il libro di Bloom, è altresì evidente che il suo articolo non è una risposta al libro di Bloom, ma alla versione (semplificata) che del libro di Bloom viene fatta da Vanity Fair. Una banalizzazione giustificata solo in parte dall’entusiasmo di un giovane lettore – la maggior parte degli autori di Book Riot sono under 30 – che si indigna davanti allo snobismo di un critico passatista.