Da Mitterrand a Hollande, il soft power europeo della Francia

Da Mitterrand a Hollande, il soft power europeo della Francia

PARIGI – «Per il cuore e per lo spirito di un uomo civilizzato non esiste emozione più grande di quella che si prova entrando in questa città. Ci vengo in nome del popolo francese, come studente, come amico, come partner. Come studente perché ci siamo formati tutti nello studio dell’ammirevole civiltà greca, come amico per dirvi come gioiamo di vedere la democrazia restaurata sul suolo in cui è nata, come partner in quanto è naturale che la Grecia entri in Europa di cui fa parte e che l’Europa accolga la Grecia dalla quale essa nasce». Era un mercoledì, il 17 settembre 1975, ed il presidente francese dell’epoca Valéry Giscard d’Estaing si trovava ad Atene, all’inizio di uno storico viaggio per celebrare il ritorno della democrazia nella città che ne fu la culla e per spingere per un ingresso della Grecia nella CEE.

È soprattutto grazie agli sforzi di Valéry Giscard d’Estaing che l’adesione della Grecia nella CEE viene accettata, nonostante le riserve tedesche

È infatti soprattutto grazie ai suoi sforzi che l’adesione della Grecia nella CEE viene accettata nonostante gli iniziali dubbi e le riserve, neanche troppo velate, dell’allora cancelliere tedesco Helmut Schmidt. «Non si chiude la porta in faccia a Platone», avrebbe risposto Valéry Giscard d’Estaing, allontanando con un gesto della mano il peso, sempre preponderante in ambito comunitario, degli argomenti economici avanzati dagli dirigenti europei, preoccupati dallo stato economico della Grecia, un paese sotto-industrializzato e fondamentalmente agricolo – un quarto della popolazione attiva – e relativamente povero (il Pil greco dell’epoca era inferiore del 50 per cento alla media della Comunità Europea).

È la Francia a mediare, attraverso l’opera preziosa e paziente di Giscard, anche coi negoziatori greci che si dimostrano intrattabili sul prezzo dei prodotti agricoli, così vitali per l’economia greca. La costruzione europea, sin dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, diventa una priorità per la Francia ed il suo peso risulta fondamentale nelle decisioni nevralgiche sul futuro dell’Europa.

La spinta europeista di Giscard prosegue idealmente e raggiunge il suo apogeo con il successore François Mitterrand. Per lui l’Europa non è solo un’idea culturale o politica da realizzare, è innanzitutto una necessità storica: evitare di riprodurre il “male assoluto” delle due guerre mondiali. «Sono nato durante la Prima Guerra Mondiale – raccontava – e ho combattuto nella Seconda. Ho visto cosa significa. Ho visto due grandi popoli ricchi di cultura e storia distruggersi». Il riferimento è alla Francia e alla Germania. Mitterrand durante la guerra viene fatto prigioniero in Germania per 18 mesi, riesce ad evadere e alla Liberazione visita il campo di concentramento di Lanzberg nel maggio del 1945. Così scopre l’orrore dei campi di sterminio e in lui matura l’idea di creare una piattaforma di pace e condivisione politica che unisca le grandi nazioni europee. Durante il corso di tutta la sua carriera politica non cesserà di rendere omaggio a personaggi come Adenauer, De Gasperi, Schumann, Jean Monnet. Uomini «che rifiutavano il meccanismo dell’odio e la fatalità del declino».

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Con l’aiuto del cancelliere Helmut Kohl, Mitterrand riannoda i fili sciolti dell’antica amicizia Francia-Germania ponendo le basi per l’asse franco-tedesco che sarà il vero motore della costruzione europea negli anni ‘80 e ’90. «Sogno che la Germania e la Francia, che la geografia e la loro antica rivalità avvicinano, diventino le predestinate per dare un segnale all’Europa». Il tempo gli darà ragione. Da segretario del Partito Socialista in verità già aveva imposto la sua linea europeista. Il progetto di una Francia socialista doveva, per forza di cose, andare di passo con la realizzazione di un progetto europeo socialista. Nel 1983, da Presidente della Repubblica, sceglie di mantenere la Francia nel sistema monetario europeo contro coloro che professavano il diniego nazionalista e preferivano la soluzione protezionista. Alla sua rielezione nel maggio del 1988 rilancia subito tre grandi cantieri europei: la moneta unica, l’armonizzazione sociale e quella fiscale.

Il suo capolavoro politico resta il Trattato di Maastricht che istituisce un’Unione economica e monetaria ed il referendum del 1992 per legittimarlo agli occhi dei francesi. Un duplice successo. Col tempo, nella mistica europeista di Mitterrand, il mito della costruzione europea si sostituisce addirittura al progetto di trasformazione sociale che lo aveva portato alla presidenza nel 1981. Nel tempo la realizzazione di un “mercato unico dei capitali” sostituisce l’idea d’imporre in Francia il socialismo. Quando Mitterrand lascia, nel maggio del 1995, Helmut Kohl pubblica su Le Monde un editoriale dal titolo emblematico: “Il Grande Europeo che se ne va”. Dalla conferenza di Fontainebleau a Maastricht, grazie anche al supporto di Helmut Kohl e Jacques Delors, nessuno ha lavorato più alacremente alla costruzione europea di François Mitterrand.

Le influenze di presidenti e responsabili politici francesi non sempre hanno avuto buon esito sui destini dell’Europa

Ma le influenze di presidenti e responsabili politici francesi non sempre hanno avuto buon esito sui destini dell’Europa. Basti pensare a quello che accadde dopo i tranquilli anni europeisti di Jacques Chirac, anni in cui la Francia appoggia silenziosamente e sistematicamente l’allargamento ad Est e s’interpone all’assolutismo americano in nome di un’idea di una “vecchia Europa”, per dirla alla Donald Rumsfeld. L’europeismo un po’ buonista e pacifista s’interrompe bruscamente nell’impatto con la politica di “rupture” di Nicolas Sarkozy, e nell’intercapedine di una grave crisi finanziaria che scuote l’Europa e in special modo la Grecia e l’Italia.

In un periodo così tormentato la Francia sarkozista gioca un ruolo fondamentale nell’incarnare politicamente l’oltranzismo finanziario e contribuisce ad abbattere, neanche tanto discretamente, governi giudicati deboli ed inefficaci dai mercati e dalle istituzioni finanziarie mettendo in piedi governi tecnici diretti da personalità del mondo della finanza. Succede in Grecia ma anche in Italia e forse, chissà, la storia continua a ripetersi.

Il capolavoro di Realpolitik sarkozista al servizio delle istituzioni finanziarie avviene durante il summit europeo del G20 a Cannes, nel novembre del 2011. La Francia e la Germania, con un’operazione che definire opaca sarebbe eufemismo, decidono che l’unico modo per fare uscire l’Italia dalla tormenta è quella di costringere Berlusconi a farsi da parte, dato che il suo governo e la sua figura politica sono giudicati molto negativamente dagli altri partner europei e dai mercati. Con la destituzione dell’ex Cavaliere e l’arrivo di Monti i mercati si placano e l’Italia esce finalmente dalla bufera.

Con Strauss-Kahn al comando, presso l’FMI i piani di salvataggio diventano una routine e sfociano pure nella macelleria sociale

Ma il “soft power” della Francia è utilizzato non solo per generare cambi politici artificiali, anche bruschi, ma anche per dirigere dall’interno il percorso delle istituzioni finanziarie spingendo ad esempio la Troika verso l’elargizione di aiuti massicci in cambio di una rigida austerità. Un esempio è quello di Dominique Strauss-Kahn. Con lui al comando presso l’FMI i piani di salvataggio diventano una routine e sfociano pure nella macelleria sociale.

Si sborsano nondimeno cifre esorbitanti. Per il salvataggio della Grecia 110 miliardi di euro, per quello dell’Irlanda 85 e per il Portogallo 78. DSK riesce pure a ottenere l’allungamento di un anno del periodo accordato all’Irlanda per riportare il suo deficit dal 32 al 3 per cento del Pil che fa quasi pensare che il capitalismo del FMI di DSK subisca addirittura influenze dalla socialdemocrazia europea. Ma è fumo negli occhi. Gli aiuti finanziari a paesi indebitati hanno conseguenze sociali drammatiche: riduzione drastica dei sussidi di disoccupazione, degli stipendi dei funzionari pubblici, tasse che schizzano e migliaia di impieghi nel settore pubblico soppressi.

E così veniamo ai giorni nostri, ai giorni di Christine Lagarde, François Hollande. Della Lagarde si è già detto. Mentre su di lei piovono forti critiche dalla Grecia (Tsipras parla senza mezzi termini di «responsabilità criminale del Fmi» per i negoziati falliti) la Lagarde, col piglio del poliziotto cattivo gioca su due fronti (quello interno alla Francia in ottica presidenziale) e quello interno all’FMI (per garantirsi una continuità). La sua durezza nella trattativa con Atene le fa guadagnare molti consensi, soprattutto tra coloro che vogliono recuperare tutto quello che la Grecia deve restituire ai suoi creditori, circa 40 miliardi.

Su Hollande, da anni in crisi nei sondaggi, il caso greco ha avuto l’effetto di una panacea universale

Su Hollande il caso greco ha l’effetto di una panacea universale. Da anni oramai giù nei sondaggi e criticato a destra e a sinistra, grazie alla sua preziosa mediazione per evitare in extremis la Grexit si guadagna il plauso di tutta la sinistra socialista, che si ricompatta dietro il proprio capo-negoziatore, ma anche di una certa destra neo-gollista, memore delle gloriose gesta di Valéry Giscard d’Estaing quarant’anni prima. E proprio quest’ultimo lascia più perplessi quando dice, in una recente intervista, che non c’è altra scelta che un «congedo progressivo della Grecia», una Grexit progressiva ed indolore dall’euro basandosi sugli articoli 108 e 109 del trattato di Maastricht.

Ma in fondo il vecchio presidente si riferisce sempre all’uscita dall’euro e non dall’Europa, ricordando bene quei sotterfugi (l’aver inserito le lettere greche sulla moneta ancor prima dell’adesione), quei discorsi altisonanti pronunciati da lui stesso davanti al Partenone, quella difesa ottimistica del paese di Platone davanti al pessimismo tedesco, in breve tutta quella retorica europeista con cui la Francia, ed il resto d’Europa, ha condotto la povera Grecia verso l’euro-baratro.