«Fare il sindaco in Sardegna è diventato pericoloso, ma non mi arrendo»

«Fare il sindaco in Sardegna è diventato pericoloso, ma non mi arrendo»

«Ormai fare il sindaco in Sardegna è diventato pericoloso». Romina Mura non ci gira troppo attorno. Giovane deputata del Partito democratico, lo scorso maggio è stata rieletta primo cittadino di Sadali, un piccolo paese della Barbagia. «Mi sono candidata per necessità, non per scelta» racconta. In assenza di avversari, alle elezioni si è presentata da sola. Pur di evitare il commissariamento del Comune. «In questi paesi gli amministratori locali mettono a rischio la propria incolumità – continua – Arrivano lettere, intimidazioni. Ci si sente sempre sotto tiro». Mura non esagera e non parla per sentito dire. Certe dinamiche le ha vissute in prima persona. Pochi giorni prima delle ultime elezioni, a una sua consigliera è stata bruciata la macchina. «Le indagini sono in corso. Ma non si è ancora scoperto nulla, come succede quasi sempre in questi casi». Un attentato senza colpevole che l’aveva quasi spinta a ritirare la propria candidatura. Almeno fino a quando non ha trovato il coraggio di andare avanti.  

Sindaco per missione, come racconta. Allo stipendio di 600 euro Romina Mura ha rinunciato già da qualche anno, con l’elezione a Montecitorio. Ma fino al 2013 era costretta a fare due lavori: «Perché con la sola indennità di amministratore locale non si vive». Una stranezza su cui riesce ancora scherzare. «Eppure fare il sindaco è molto faticoso – ride – mica come il parlamentare». Nonostante tutto, alla sua terra rimane legatissima. Un migliaio di abitanti alle pendici del Gennargentu, dove l’ultimo lembo della provincia di Cagliari è già in Barbagia. Sadali è un paese ricco d’acqua, pieno di sorgenti e fontane. Conosciuto in tutta l’Isola per l’antica tradizione dei culurgionis, i ravioli di patate, pecorino e mentuccia. E più di recente per le intimidazioni che hanno preceduto le amministrative dello scorso maggio. 

A una sua consigliera è stata bruciata la macchina. «Le indagini sono in corso. Ma non si è ancora scoperto nulla, come succede quasi sempre in questi casi»

Ma Sadali non è l’unico paese finito sui giornali. Romina Mura elenca gli ultimi attentati quasi a memoria. Dai proiettili ricevuti il 15 maggio scorso dal sindaco di Nurri, nel cagliaritano, all’incendio che il giorno dopo ha bruciato l’ingresso di casa del presidente del Consiglio comunale di Carbonia. Poche settimane prima un’esplosione aveva gravemente danneggiato l’abitazione del sindaco di Bultei, in provincia di Sassari. Lettere anonime, minacce scritte sui muri. Il copione è sempre lo stesso. Altre volte per intimidire un amministratore si ricorre alle carcasse di animali, lasciate davanti la porta di casa. «Atti che restano quasi sempre impuniti» continua la deputata. «Durante le ultime elezioni c’è stato un aumento impressionante della violenza. L’Unione Sarda era diventato un bollettino di guerra». Colpiscono le cifre del fenomeno. Tra il 2013 e il 2014 in Sardegna si sono registrati 136 atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali. Il 10,8 per cento del dato nazionale. «Ma se rapportiamo questi numeri alla popolazione – continua Mura – la nostra Regione ha la percentuale più alta di attentati. Superando aree del Paese dove storicamente sono presenti gravi fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso». 

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

E così la battaglia di Romina Mura si è spostata da Sadali a Roma. Per mesi l’esponente Pd ha presentato una serie di interrogazioni parlamentari al ministro degli Interni, una per ogni atto di violenza subìto da un amministratore sardo. Più di recente ha depositato una proposta di legge per introdurre un reato specifico. Un provvedimento – uno simile è stato presentato dal deputato Pd Francesco Sanna – che estende l’ambito di applicazione dell’articolo 338 del codice penale, punendo fino a otto anni di reclusione chiunque usi violenza o minaccia contro un sindaco, un assessore o un consigliere comunale per impedirne l’attività. È un intervento legislativo importante, ma non ancora sufficiente. «So benissimo che questa proposta di legge, da sola, non risolve il problema» racconta la parlamentare. «Gli strumenti repressivi servono, ma sono inutili se prima non si riesce a costruire un contesto in cui amministrare un comune in maniera serena, utile e produttiva».

Tra il 2013 e il 2014 in Sardegna si sono registrati 136 atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali. «La percentuale più alta di attentati, superiamo anche aree del Paese dove c’è la criminalità organizzata di stampo mafioso»

Il ruolo dello Stato resta centrale. In molte zone della Sardegna, negli ultimi anni, la presenza delle forze dell’ordine è stata fortemente ridimensionata. È la conseguenza spesso obbligata della riorganizzazione della spesa pubblica, che ha finito per interessare anche altri servizi pubblici essenziali, come la scuola e la sanità. «Io sono d’accordo con la spending review – spiega la deputata – ma in certi territori la presenza di una caserma dei carabinieri è un simbolo a cui non si può rinunciare». Il fenomeno delle intimidazioni ai sindaci è strettamente legato a queste dinamiche. Come racconta Romina Mura, dopo la chiusura di molti presìdi di pubblica sicurezza, i municipi sono rimasti gli unici rappresentanti dello Stato sul territorio. Realtà in prima linea, che spesso finiscono per diventare l’obiettivo di malesseri e proteste. Fino ai casi di minacce e violenza. E quasi sempre succede nei paesi più piccoli, sotto i 5mila abitanti, come ha recentemente dimostrato la commissione parlamentare di inchiesta sulle intimidazioni agli amministratori locali.

«A giudicare dal diffuso astensionismo alle ultime amministrative credo che il problema non riguardi solo la Sardegna – racconta Mura – Fino a poco tempo fa noi sindaci eravamo considerati l’unica istituzione vicina ai cittadini. Ormai non c’è più fiducia. C’è un malessere diffuso che a volte finisce per agevolare il radicamento della criminalità». Anche per questo, da qualche anno Romina Mura ha lanciato una sfida per ripopolare il suo Paese. Come molti altri centri della Sardegna, Sadali era in via di spopolamento costante fin dagli anni Sessanta. «Adesso siamo riusciti a bloccare questa emorragia demografica, invertendo la tendenza». È un progetto interessante. Mentre a Montecitorio la deputata ha depositato una proposta di legge per introdurre un reddito di insediamento nei piccoli comuni, in Sardegna è passata dalla teoria alla pratica. Da qualche anno nel comune barbaricino è stato introdotto un incentivo alla natalità. Un bonus bebè di 200 euro al mese, valido per due anni. «Ma non si tratta di erogazioni in denaro – spiega il sindaco – Il comune fornisce dei ticket per acquistare prodotti per neonati presso gli esercizi commerciali del paese». In questo modo oltre al supporto per i neo-genitori si sostiene l’economia della comunità. E poi c’è un bonus residenza. Un altro incentivo, anche questo valido 24 mesi, per chi si trasferisce in paese. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nonostante le difficoltà, la comunità ha cominciato a crescere. Una ripresa lenta ma sorprendente. Nel 2011 la popolazione aveva toccato il minimo storico, 911 abitanti. Due anni dopo gli abitanti erano già una cinquantina in più.

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