Nel nostro Paese il mercato dei prodotti alimentari halal, quelli leciti secondo le prescrizioni della religione islamica, è ancora ridotto e risponde a meno del 10% del potenziale. «Le aziende che in Italia certificano prodotti “leciti” da un punto di vista religioso, conformi alle regole islamiche, esportano per il 90%» spiega l’amministratore delegato di Halalitalia Hamid ‘Abd al-Qadir Distefano. Eppure anche in Italia qualcosa si muove.
Del resto, spiegano da HalalItalia, «l’Islam costituisce attualmente la religione più diffusa nel mondo per numero di fedeli, una comunità transnazionale che raggiunge quasi 2 miliardi di unità (1,83 miliardi nel 2009), con un ritmo di crescita costante ed elevato (tasso medio di crescita annua pari all’1,8%, rispetto all’1,2 % della popolazione non musulmana)». Non si tratta di un “settore di nicchia”: circa il 20% della popolazione mondiale fa riferimento alla religione islamica e alimenta un mercato di circa 2.300 miliardi di dollari (fonte: World Halal Forum, KL, 2010) considerando insieme food, cosmesi, farmaceutica e turismo. Prendendo in esame il solo comparto agro-alimentare i dati parlano di un valore stimato di circa 700 mld usd con fattori di crescita costanti nell’ordine del 16% annuo negli ultimi 5 anni.
Non solo. I musulmani, soprattutto a livello europeo, «stanno acquisendo un potere d’acquisto sempre maggiore e tutto ciò rende estremamente interessante il potenziale di questo settore di mercato, costituito essenzialmente dai prodotti alimentari “halal”, vale a dire “leciti” da un punto di vista religioso (dunque i prodotti conformi alle regole islamiche che disciplinano il rapporto tra l’uomo e il nutrimento) e dalla finanza “halal” (vale a dire la finanza conforme alle prescrizioni religiose che regolano per i musulmani il corretto rapporto tra l’uomo ed il denaro)». Se andiamo a considerare l’Europa dove vivono circa 50 milioni di musulmani (il 2,70% della popolazione islamica mondiale) scopriamo che lo stesso comparto halal food vale circa 70 mld di dollari ovvero ben il 10% del mercato globale: questo significa che la propensione e il potere di acquisto della comunità islamica in Europa è quasi 4 volte superiore ai valori medi del resto del mondo.
Il 20% della popolazione mondiale fa riferimento alla religione islamica, alimentando un mercato da 2.300 miliardi di dollari
D’altra parte «molte delle normative europee in materia alimentare e di benessere animale ricalcano quasi esattamente alcuni principi delle prescrizioni islamiche in materia halal». La prospettiva islamica dell’alimentazione «non è qualche cosa di completamente estraneo alla cultura europea, e non merita quindi di diventare una causa di ghettizzazione o auto-ghettizzazione delle comunità islamiche, tendenza che a volte sembra invece purtroppo delinearsi». Si tratta, spiegano da HalalItalia, «invece di un valore “etico” aggiunto che si pone come strumento di integrazione ed interazione dei musulmani nella società europea contemporanea». Per questo motivo, proprio nel senso di stabilire delle buone pratiche in ambito socio-economico« da estendere su scala globale e costituire un esempio di eccellenza nell’interazione costruttiva tra la minoranza islamica in Europa e le Istituzioni nazionali e internazionali, il 30 giugno 2010 è stata firmata alla Farnesina una Convenzione interministeriale promossa dal Ministero degli Affari Esteri con lo Sviluppo Economico, la Salute e le Politiche Agricole a sostegno del progetto “HalalItalia” in collaborazione con la Co.Re.Is (Comunità Religiosa Islamica) Italiana».
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Il lavoro di “traduzione” dei principi islamici nel contesto della produzione agro-alimentare moderna è stato svolto dalla Co.Re.Is (Comunità Religiosa Islamica) Italiana nell’ambito di un “Progetto pilota halal”, promosso nel 2008 dalla Regione Lombardia, UnionCamere Lombardia e dalla Camera di Commercio di Milano tramite la Promos, Azienda per l’internazionalizzazione della Camera di Commercio di Milano. Nel progetto, che aveva l’obiettivo di accompagnare le aziende italiane ad ottenere una certificazione halal che le rendesse competitive sui mercati islamici, la Co.Re.Is Italiana ha realizzato un apposito Disciplinare Tecnico di certificazionehalal per il settore agro- alimentare, registrando un proprio marchio di certificazione, “Halal Italia”, presentato a marzo del 2009.
Su questa base, sono stati messi a punto gli adattamenti necessari, «integrando gli standard halal ai criteri di igiene, sicurezza e qualità più elevati già presenti nei sistemi di produzione secondo la legislazione cogente e volontaria vigente. n generale questo significa escludere i derivati da animali non leciti (ad esempio il suino), dagli animali leciti non macellati ritualmente, dal sangue e dalle sostanze alcoliche». Ma questo non riguarda solo le materie prime bensì anche «gli altri ingredienti, gli additivi, i conservanti, i coloranti, gli aromi, i coadiuvanti tecnologici, compresi anche tutti gli additivi nascosti non dichiarati in etichetta ma che non di meno entrano in contatto con il prodotto o i suoi ingredienti».
Dunque dal punto di vista della composizione del prodotto le criticità più significative emergono in presenza di qualsiasi elemento di origine animale o alcolico (più precisamente, etanolo). In molti casi eventuali ingredienti non conformi possono essere sostituiti con «succedanei di origine vegetale, microbica o sintetica che l’Azienda ricerca sul mercato. Parallelamente, dal punto di vista del processo produttivo, l’Azienda deve assicurare soluzioni tali per cui le sostanze halal non possano venire a contatto con sostanze haram: ciò può avvenire per contatto diretto tra le sostanze o indiretto tramite utensili, strumenti, macchinari, superfici di lavorazione, ecc. Si parla in tale caso di escludere dunque possibilità di contaminazione in senso tecnico».
Non riguarda solo le materie prime bensì anche «gli altri ingredienti, gli additivi, i conservanti, i coloranti, gli aromi, i coadiuvanti tecnologici»
Le categorie di prodotto più interessate nei processi di certificazione halal sono queste: carni e prodotti base carne, pasticceria e gelateria, grain products, seconde lavorazioni frutta e verdura, piatti pronti, enzimi/additivi, lattiero-caseario, bevande, grassi e olii. Secondo i dati di HalanItalia «le aziende italiane coinvolte in processi di certificazione halal superano le 300 unità: si tratta di grandi imprese nel 24% dei casi, aziende di media dimensione 63%; piccole imprese e imprese familiari 13%. Un terzo (31%) opera nel settore delle carni e dei prodotti base carne. Si concentrano per la maggior parte nel Nord Italia (55% del totale) e particolarmente in Lombardia ed Emilia Romagna, 20% al Centro, 10% al Sud e 15% nelle isole».
Si tratta principalmente di aziende, quale ne sia la dimensione, con una consolidata propensione all’export che individuano nella «certificazione halal un plus valore per consolidarsi sui mercati esteri o aggredirne di nuovi e, al tempo stesso, rafforzare la propria posizione sul mercato domestico intercettando la crescente domanda di prodotti certificati da parte della comunità islamica nazionale». Considerando il quinquennio 2010-2015 si stima una crescita della domanda di servizi di certificazione piuttosto costante: nel 2012 (su 2011) +150%; nel 2013 (su 2012) +80%, nel 2014 (su 2013) +90%, nel 2015 la stima (su 2014) è di +60%. Questo significa che la cifra di aziende certificate e di prodotti disponibili, pur partendo da un livello molto basso ha una crescita ormai consolidata e importante a testimonianza dell’interesse crescente che la certificazione halal riveste nell’ambito produttivo alimentare italiano.