Siamo tutti peruviani? Un po’ sì. Almeno per la cucina, dove tra gli appassionati è un continuo parlare di ceviche, il piatto simbolo a base di pesce marinato nel succo di limone o di agrumi, o di pisco sour, il cocktail più consumato (con il liquore nazionale, simile a un’acquavite, unito a limone e zucchero) o ancora di quinoa, amaranto o di mais delle Ande. Ora, al di là, che il Paese della pizza e della pasta fatica a esportare il suo meglio ma è bravissimo nell’amare il meglio degli altri – non solo nel cibo, ahinoi – il fenomeno resta decisamente sorprendente. Ma non incredibile, in quanto il Perù si distingue da sempre in Sud America per la sua cucina originale, basata sulla mestizaje (incrocio, mescolanza, contaminazione). Un esempio fra tutti è la cucina nikkei – i più famosi esponenti sono Mitsuharu Tsumura del Maido e Gastón Acurio di Astrid y Gastòn – che rappresenta l’incontro tra la cucina peruviana e quella giapponese, nato dalla necessità degli immigrati del Sol Levante di sfruttare i prodotti disponibili sul posto, e che poi ha assunto una propria identità. Tanto da diventare una cucina d’esportazione, amata dai peruviani ma anche dagli europei e dagli asiatici.
Dettaglio di un festival dedicato alla cucina peruviana a Miami Beach (Sergi Alexander/Getty Images for Food Network SoBe Wine & Food Festival)
Il Perù si distingue da sempre in Sud America per la sua cucina originale, basata sulla mestizaje: incrocio, mescolanza, contaminazione
Acurio è stato prima il profeta e poi l’artefice del boom. «Nessuno ha fatto così tanto per il Perù come lui» lo definisce Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura 2010 nel presentare questo cuoco rivoluzionario (nell’anima prima che nei fatti), classe 1967, che sognava di difendere i campesinos ma finì per abbandonare gli studi in legge per seguire i corsi della scuola di formazione Cordon Bleu di Parigi. Acquisita l’ortodossia, tornò a casa con la futura sposa tedesca Astrid e diede vita a Astrid y Gastón, la prima di una lunga serie di insegne di cocina peruana aperte negli anni. «All’inizio facevamo cucina classica francese, eravamo sempre pieni, ma che senso poteva avere?». Nessuno. «Di qui la repentina virata autoctona: fare leva sull’infinita biodiversità di un paese che vanta un’ampia vista oceano da altissime terrazze andine, sprofondate nel retro in umidi anfratti amazzonici – spiega Gabriele Zanatta di Identità Golose –. In più Acurio è un genio: ha illustrato i 25 modi con cui si possono fare gli spiedini anticuchos, catalogato 4mila specie di patate diverse, studiato il ceviche, simbolo nazionale, per scombinarlo in sette maniere, dal classico con ippoglosso mais e patata dolce alle sterzate fusion».
Lo chef Gastón Acurio del ristorante Astrid y Gastòn di Lima (ERNESTO BENAVIDES/AFP/Getty Images)
La filosofia colpisce tanti paesi vicini e lontani, stregati via via dalla cucina di Acurio: Perù, Cile, Colombia, Ecuador, Venezuela, Spagna, Messico, Argentina, persino gli Stati Uniti
La filosofia colpisce tanti paesi vicini e lontani, stregati via via dalla sua cucina: Perù, Cile, Colombia, Ecuador, Venezuela, Spagna, Messico, Argentina, persino gli Stati Uniti. Lì nascono Insegne dal nome suggestivo come La Mar Cebicheria Peruana, Tanta, Panchita, Chicha, Madam Tusan. Un impero alimentato da decine di iniziative collaterali: comparsate televisive, bestseller in libreria (una ventina, ultimo il famoso “Cinquecento anni di fusion”, 2008), la fondazione del popolare festival Mistura dove non mancano mai i top chef europei, la membership del Basque Culinary Center, chiamato da Ferran Adrià. E un occhio sempre aperto sui problemi interni: ha fondato la Pachacutec School of cuisine per aiutare i ragazzi poveri della capitale. Tutto, con un pensiero costante: «Con un ceviche in una mano e un Pisco Sour nell’altra, posso convincere chiunque».
Nella 50 Best, il ranking che disegna la geografia dell’alta cucina del pianeta, sono ormai tre i ristoranti peruviani in classifica, tanto quanto quelli italiani. Meditate gourmet meditate
Nel frattempo nella 50 Best, il ranking che disegna la geografia dell’alta cucina del pianeta, sono ormai tre i ristoranti peruviani in classifica — tanto quanto quelli italiani. Meditate gourmet meditate — e tutti di Lima. Il Central, quarto nel mondo e miglior ristorante di tutto il Sudamerica, guidato da Virgilio Martinez; il già citato Astrid y Gastòn – 14° che Acurio ha affidato a Diego Muñoz – e Maido, 44°. E le giovani leve non sono male. Sul secondo gradino del podio del prestigioso premio San Pellegrino Young Chef è salito il giovane Maria José Jordan del ristorante Amaz, ancora una volta a Lima.
Sotto la Madonnina, da sempre culla della cucina etnica in Italia, iniziano a vedersi locali di alta cucina peruviana. Quelli, semplici, degli immigrati c’erano da tempo
In Italia, loro e altri bravi colleghi hanno trovato terreno fertile: vengono ai congressi, hanno parecchi amici, stanno animando manifestazioni molto valide come quella presso il ristorante di Daniel Canzian, a Milano, dove ruotano a turno. «Perché è una cucina che piace tanto? È incredibilmente ricca di sapori e di prodotti naturali, molti di questi ancora tutti da scoprire. Si percepisce l’influsso di tutte le culture straniere che hanno avuto un peso in Sudamerica. E questo mix è molto interessante in cucina» spiega lo chef veneto che è stato «tirato dentro» da un collega esperto come Giancarlo Morelli. «La cucina dei peruviani è sana e sostenibile, come piace oggi – è il suo parere – basti pensare che molte materie prime arrivano dalla foresta amazzonica: sono, cioè, prodotti che si possono solamente raccogliere quando disponibili, non coltivare. Sono stato tra i primi italiani a trovarla interessante e sono contento che oggi se ne riconosca il valore». Non a caso, sotto la Madonnina, da sempre culla della cucina etnica in Italia, iniziano a vedersi locali di alta cucina peruviana – quelli, semplici, degli immigrati c’erano da tempo – e bar dedicati al pisco. In futuro scopriremo anche altro. «Dalla maca alle noci Sacha Inchi — sostiene Amora Carbajal Schumacher, direttrice dell’Ufficio commerciale del Perù a Milano — dalla lucuma, il cosiddetto oro degli Inca, ai duemila tipi di zuppe preparati solo lungo la costa del Perù e ancora vegetali e frutti a voi sconosciuti. Sarà divertente farveli scoprire». E anche remunerativo.
Il Perù è l’unico paese al mondo in cui si sia puntato sulla valorizzazione della gastronomia come processo di riscatto sociale ed economico
In definitiva, il Perù è l’unico paese al mondo in cui si sia puntato sulla valorizzazione della gastronomia come processo di riscatto sociale ed economico. Negli ultimi dieci anni il numero di ristoranti e il loro fatturato è raddoppiato come Il turismo gastronomico è cresciuto del 12% solo nel 2014. Non a caso, l’istituto Nazionale di Statistica e Informatica (Inei) indica che sette, su cento ragazzi che lavorano, lo fanno nel campo della ristorazione. Questo però è avvenuto sulle spalle dei cuochi che non occupano le copertine dei giornali e non appaiono in televisione. Persone che lavorano dalle nove alle quindici ore al giorno per sei giorni alla settimana e guadagnano in media tra gli 800 e i 1500 soles (217-407 euro) mentre le donne non vanno oltre i 936 soles (254 euro): vale anche nei locali di alto livello, perchè il sogno motiva i stagisti ben oltre lo scarso pagamento. Nè l’abbandono di uno viene preso come un dramma dal patron: altri venti sono pronti a prendere quel posto: il ministero del Lavoro ha comunicato che nel 2014 sono stati assunti meno di mille cuochi, nonostante il numero di laureati nel settore sia di 15 mila. Anche questo fa pensare che lo sviluppo non indifferente dei ristoranti peruviani all’estero, farà sempre più riflettere i cuochi di Lima e dintorni ad emigrare, attratti da stipendi più gratificanti.
Quindi preparatevi ad allargare l’iconografia delle professioni tipiche sudamericane: calciatori argentini, modelle brasiliane, fattorini ecuadoriani e cuochi peruviani. Quando a un matrimonio vip (o paravip), vedrete il ceviche fare capolino al buffet freddo e lo spritz avere una nota dominante di pisco, sarà fatta per il rivoluzionario Gaston ( a quel punto ex) e i suoi figli. E noi penseremo ancora che l’unica speranza per diffondere la cucina tricolore resta Oscar Farinetti, con le trattorie dentro i vari Eataly. Mah.