Una nuova ricerca dimostra che due teste sono, in effetti, meglio di una, per lo meno nella realizzazione di alcuni semplici esercizi di computazione.
Lo studio dimostra, per la prima volta, che più cervelli animali possono essere connessi in una rete e imbrigliati allo scopo di provocare determinati comportamenti, racconta Miguel Nicolelis, professore di neurobiologia e ingegneria biomedica alla Duke University, nonché esperto di interfacce macchina-cervello. Nicolelis racconta che questo tipo di “interfaccia macchina-cervello condivisa” potrebbe tornare utile a pazienti con danni cerebrali, oltre a gettar luce sul funzionamento dei cervelli di animali uniti nell’esecuzione di comportamenti collettivi.
Due studi: uno sui ratti e il secondo sulle scimmie per studiare e descrivere una “rete di cervelli”
Nicolelis e colleghi hanno recentemente pubblicato due studi distinti, uno sui ratti, l’altro sulle scimmie, per descrivere esperimenti condotti su cervelli connessi in una rete ed illustrare in quali modi tali “reti di cervelli” (brainets), potrebbero essere utilizzate per combinare segnali elettrici prodotti dai neuroni di più animali allo scopo di eseguire determinati compiti. La rete di cervelli dei ratti ha spesso dato risultati migliori rispetto ad un singolo cervello, riportano nel loro studio i ricercatori, mentre nel caso dell’esperimento sulle scimmie, i cervelli di tre individui hanno “collaborato” al completamento di un compito virtuale ispirato alla realtà che sarebbe stato troppo complesso per uno solo di loro.
Per la costruzione di reti di cervelli, i ricercatori hanno prima impiantano una schiera di elettrodi costruiti in microcavi in grado di registrare segnali, così come inviare impulsi di stimolazioni elettriche ai neuroni della stessa regione nei cervelli di più ratti. Nel caso dell’esperimento sui ratti, coppie di cervelli di ratto sono state poi connesse fisicamente per mezzo di un’interfaccia “cervello-cervello” (vedi “ Rats Communicate Through Brain Chips“).
Una volta connessi gruppi di tre o quattro ratti, i ricercatori hanno inviato impulsi elettrici ben definiti sia ai singoli individui che a parti del gruppo, o al gruppo intero, per poi registrare le reazioni ottenute.
I ricercatori hanno testato l’abilità delle reti nell’eseguire semplici esercizi di computazione. Ad esempio, hanno inviato ai cervelli alcuni schemi di impulsi elettrici ottenuti da un’immagine digitale, per poi registrare i segnali elettrici risultanti e misurare con quanta precisione i neuroni connessi in rete avessero decodificato l’immagine. In un altro test, i ricercatori hanno inviato informazioni sulla pressione barometrica e la temperatura ambientale e i cervelli in rete sono riusciti a formulare una previsione di pioggia. Le reti di cervelli si sono dimostrate ripetutamente migliori del singolo cervello, specialmente quando il compito richiedeva più di un passaggio di computazione.
Nel caso dell’esperimento sulle scimmie, i ricercatori hanno connesso due o tre cervelli per la eseguire compiti motori virtuali a tre dimensioni. Dopo l’impianto di elettrodi, le singole scimmie sono state addestrate a muovere un braccio virtuale verso un obiettivo su di uno schermo. Il cervello di una singola scimmia non ha la capacità di muovere un braccio in tre dimensioni, racconta Nicolelis, per cui ciascuna scimmia ha imparato a manipolare il braccio entro i confini di un certo “subspazio” dello spazio virtuale tridimensionale.
Le tre scimmie sono state lasciate sole in tre stanze separate dotate di schermi. Non sapevano di collaborare ma i loro cervelli si sono sincronizzati
Inoltre, Nicolelis racconta che la versione più complessa del compito non poteva essere portata a termine se non da almeno due cervelli che lavorassero insieme avendo raggiunto un livello di sincronizzazione relativamente alto.
I ricercatori hanno lasciato tre scimmie in stanze separate dotate di schermi e registrato gli impulsi elettrici prodotti dagli animali mentre portavano a termine i loro rispettivi compiti, per poi combinarli in un quadro d’insieme facendo uso di un computer. Anche se le scimmie non sapevano di collaborare, afferma Nicolelis, i loro cervelli si sono sincronizzati molto velocemente, migliorando progressivamente la loro capacità di muovere il braccio.
Secondo Nicolelis, il fenomeno che ha condotto a questa sincronizzazione potrebbe avere importanti implicazioni biomediche. Interfacce cervello-macchina condivise, come quelle sopra descritte, permetteranno di raggiungere “nuovi orizzonti nel campo delle applicazioni cliniche,” dichiara Nicolelis. Secondo lui, ad esempio, persone affette da disabilità neurologiche potrebbero condividere con altri porzioni di attività cerebrali sane e compiere in forma collettiva esercizi di neuroriabilitazione virtuale ispirati alla realtà.