Enrico Letta saluta tutti e se ne va. Quindici anni dopo il suo ingresso alla Camera, l’ex presidente del Consiglio lascia il Parlamento. L’aveva annunciato qualche settimana fa. È stato di parola. Dopo la brusca sostituzione di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, a Montecitorio si consuma l’ultimo strappo. Stavolta Letta se ne va davvero, senza troppe polemiche. Toglie il disturbo in punta di piedi, come è nel suo stile. Si trasferirà in Francia, dove è stato chiamato per dirigere la Scuola di Affari Internazionali dell’Università di Parigi.
Quando alla Camera dei deputati pronuncia l’ultimo discorso da parlamentare, i banchi della maggioranza esplodono in un appaluso fragoroso. È labile il confine tra educazione e ipocrisia. Il governo ha preferito disertare in massa l’appuntamento. A rappresentare l’esecutivo in Aula ci sono solo i sottosegretari Sesa Amici e Ivan Scalfarotto. Neppure un ministro. Nell’impeccabile completo blu, Letta legge poche righe di commiato dal suo iPad. «È per me una scelta sofferta e doverosa» annuncia. Poco prima si era persino sorpreso della presenza di tanti giornalisti in tribuna stampa, salutando i cronisti con un sorriso divertito. «Mi dimetto dal Parlamento, ma non mi dimetto dalla politica» spiega ancora l’ex premier. «Non mollo quella passione che ha accompagnato tutta la mia vita da quel giorno di aprile del 1978, in cui i miei genitori da Pisa mi portarono in via Fani. Per insegnare a un ragazzino a rendere omaggio a chi aveva sacrificato la propria vita per difendere le istituzioni della nostra Repubblica».
«Mi dimetto dal Parlamento, ma non mi dimetto dalla politica» spiega in Aula l’ex premier
Eppure dopo i ringraziamenti di rito, un sassolino dalla scarpa se lo toglie anche lui. Sempre con stile. Dietro alla volontà di dimettersi da parlamentare «c’è soprattutto l’aspirazione a una politica diversa» racconta. «Nella quale l’andare insieme, il Noi, conti sempre più dell’Io. Dove il senso della comunità prevalga sulle aspirazioni individuali». A voler essere maliziosi non è difficile individuare l’interlocutore, anche se assente. Mentre alla Camera si svolge il dibattito, inizia la processione al seggio di Enrico Letta. Improvvisamente tutti sentono il bisogno di dimostrargli il proprio affetto. Baci, abbracci, strette di mano. Qualcuno azzarda una foto ricordo. Il berlusconiano Rocco Palese si fa persino firmare un autografo. Più tardi, prendendo la parola, il grillino Alessandro Di Battista descriverà così la scena: «Prima i deputati del Pd l’hanno pugnalato alle spalle, e poi gli hanno fatto la standing ovation. Degni rappresentanti di una Repubblica fondata sull’ipocrisia».
Nel frattempo una delegazione di Sinistra Ecologia e Libertà rende l’onore delle armi. Fiera opposizione al governo delle larghe intese, adesso i rappresentanti di sinistra salutano Letta con affetto. Poco prima il capogruppo Arturo Scotto ne aveva pubblicamente riconosciuto lo stile. «Tanto di cappello Letta. Anzi, visto che vai in Francia, chapeau». Ma l’abbraccio più sentito è quello di Pierluigi Bersani, l’altro grande sconfitto dal renzismo. In Aula i due si stringono a lungo, l’ex segretario democrat nasconde a stento la commozione.
Per Di Battista, «prima i deputati del Pd l’hanno pugnalato alle spalle, e poi gli hanno fatto la standing ovation. Degni rappresentanti di una Repubblica fondata sull’ipocrisia»
Ma l’addio del deputato Enrico Letta non è un capitolo del libro Cuore. A Montecitorio non mancano le polemiche. È difficile non notare i mancati applausi di Cinque stelle e leghisti. Ad accendere gli animi, poco dopo, è l’intervento del berlusconiano Renato Brunetta. L’esponente di Forza Italia conferma all’ex premier la sua «stima, affetto e amicizia». Poi attacca: l’avvicendamento a Palazzo Chigi resta un pagina da chiarire. Un mistero nella storia politica del Paese. «Vorremmo capire fino in fondo quello che è successo in quel gennaio 2014. Vorremmo capire fino in fondo cosa portò alla destituzione di un presidente del Consiglio che fino al giorno prima aveva la fiducia di questo Parlamento, con un leader che non era stato eletto. Fu quel passaggio un momento oscuro, doloroso, che deve essere spiegato. E io non voglio fare nessuna offesa al presidente Letta, non chiedo a lui questa spiegazione. Questa spiegazione la chiedo al presidente Renzi». La richiesta è simile a quella del Cinque Stelle Di Battista. «Letta oggi aveva una grande occasione per dirci tutta la verità e invece non l’ha fatto». L’intervento è un duro attacco al premier Renzi. Ma non manca una frecciata finale al collega dimissionario. «Oggi lei lascia il Parlamento – si rivolge a Letta – Si vuole disintossicare e lo capiamo. Ma ci domandiamo se da buon democristiano non stia aspettando il giusto momento per tornare, se stia indietreggiando per poi tornare alla carica».
Alla fine, nonostante lo scrutinio segreto, il voto non riserva sorprese. La Camera approva le dimissioni di Enrico Letta. Con 287 sì, l’ex presidente del Consiglio è libero di lasciare il Parlamento. Ma l’addio a Montecitorio ha il sapore della beffa. Come da prassi, l’ex premier lascia il suo scranno al primo dei non eletti. La neo deputata si chiama Beatrice Brignone, ha trentasei anni, e ha già annunciato che non farà parte della maggioranza. Civatiana convinta, piuttosto che al Partito democratico si iscriverà al Gruppo il Misto.