La situazione del turismo in Tunisia non promette bene. Prima l’assalto al museo del Bardo del 18 marzo, poi la sparatoria nel resort a Sousse, hanno fatto precipitare le prenotazioni. Nessuno si sente più al sicuro, e non li si può biasimare per questo.
Anche se, in realtà, c’è chi ci prova, a biasimarli. Il direttore di una agenzia di comunicazione tunisina, Selim Ben Hadj Yahia, ha lanciato una campagna che cerca di ridare coraggio alla popolazione, ridimensionare i fatti e salvare il salvabile. Forse non avrà successo, ma almeno resterà nella storia per il coraggio.
Riflettendo su situazioni analoghe, è saltata fuori l’idea: «Voi smettereste di visitare Parigi, Londra o New York dopo gli attacchi che hanno subito?». Le immagini ritraggono gli eventi dell’11 settembre, le strade di Londra dopo l’attentato nel 2005 e un cartello di Charlie Hébdo, in ricordo della strage di gennaio a Parigi.
Il paragone è geniale, ma un po’ forzato. A differenza degli attacchi di Londra e New York, quello del Bardo e, soprattutto, quello a Sousse avevano come obiettivo principale proprio i turisti – che non erano, di conseguenza, delle vittime casuali di una situazione instabile. A Parigi, poi sono stati colpiti solo i residenti: la redazione di Charlie Hébdo e gli avventori del supermercato ebraico.
Critiche che non lo intimoriscono. Che importa, dice lui. Il meccanismo è lo stesso. E si tratta di fare sempre più pressioni sui governanti perché il terrorismo venga indebolito.
Al tempo stesso, si basa su un presupposto che è sbagliato: subito dopo gli attacchi terroristici, i flussi dei turisti nelle varie città europee sono calati. Per fare un esempio, a Parigi, dopo Charlie Hébdo, le prenotazioni agli hotel sono diminuite del 25%. Certo, non si smette di andare a Parigi perché ci sono stati attentati, così come si va sempre a New York. Lo stesso, è lecito pensare, succederà anche con la Tunisia – meno semplice per la Libia, ma lì i problemi sono un po’ più grandi.