Lo dicono i numeri: Renzi alle ultime elezioni è stato il vero sconfitto

Lo dicono i numeri: Renzi alle ultime elezioni è stato il vero sconfitto

Spenti i riflettori dei media, si può ragionare con maggiore serenità e correttezza metodologica sull’andamento della recente tornata elettorale amministrativa 2015 che ha interessato sette regioni (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia), 18 capoluoghi di provincia (Lecco, Mantova, Rovigo, Venezia, Arezzo, Macerata, Fermo, Chieti, Andria, Trani, Matera, Vibo Valentia, Nuoro, Agrigento, Enna, Aosta, Bolzano, Trento) e 85 comuni sopra i 15mila abitanti. Il grande vincitore di questa consultazione è stata senza ombra di dubbio la protesta che si è manifestata in tre modi: una significativa crescita dell’astensione, una diffusa mancata riconferma dei sindaci uscenti che per la prima volta è stata superiore al 50 per cento e una netta crescita dei consensi alle cosiddette liste civiche. Inevitabilmente l’attenzione dei commentatori e degli analisti si è concentrata sulle regionali, con un immediato e politicamente corretto confronto con i risultati delle europee 2014, che avevano visto l’irrompere sulla scena politica il PD di Matteo Renzi con il 40.8 per cento, con il conseguente carico di aspettative e attese per un governo che aveva pochi mesi di vita. L’altro grande sconfitto di queste elezioni è certamente quello che Ilvo Diamanti ha ribattezzato il Pdr, il Partito di Renzi, o anche se preferite il progetto di costruzione del Partito della Nazione, come tappa conclusiva dell’evoluzione della vocazione maggioritaria del PD.

Il Pd è tornato un partito «normale» e soprattutto si è offuscata l’immagine dell’invincibilità di Renzi nel breve periodo

Il Pd è tornato un partito «normale» e soprattutto si è offuscata l’immagine dell’invincibilità di Renzi nel breve periodo. Se è innegabile, infatti, che il Pd conquisti cinque vittorie (Toscana, Marche, Umbria, Campania e Puglia) e perda in due regioni (Liguria e Veneto), il raffronto con le precedenti regionali e con le elezioni politiche ed europee è oggettivamente preoccupante, soprattutto se alle percentuali (spesso con effetto anestetizzante) si sostituisce un più efficace confronto basato sui voti validi, gli elettori in carne ed ossa. Nel 2015 l’affluenza alle urne nelle sette regioni è stata del 52.3 per cento, con un netto calo sia rispetto alle regionali 2010 (63,3 per cento), alle politiche 2013 (74,8 per cento) e anche alle Europee 2014 (58.8 per cento). In numero di votanti si passa dagli 11.938.000 del 2010 ai 9.855.000 del 2015, con un decremento di 2.083.000 persone che si sono recati alle urne (la popolazione di una regione medio-piccola!).

La crescita del non voto ha certamente penalizzato il PD che in cinque anni perde 551mila consensi e passa dal 25,9 al 25,2 per cento (-0,7 per cento). Ancor più disastroso sul centro-destra è il risultato di Forza Italia (958mila voti con l’11.3 per cento) che lascia nelle urne in cinque anni due elettori su tre. Infatti, nel 2010 il PDL era stato il primo partito in assoluto con 3.032.000 voti e il 29.2 per cento. È stato naturale per molti, poi, il confronto con le ultime consultazioni di carattere politico, le Europee 2014 anche per l’“anomala” performance del PD renziano in quella elezione. Premesso che le comparazioni non sono né facili né immediate in ragione della presenza nelle regionali delle liste del presidente e di appoggio del candidato della coalizione, oltre alla possibilità per l’elettore di non esprimere un voto ad una lista ma al solo candidato Presidente.

L’analisi dei flussi elettorali ci aiuta a comprendere dove siano andati a finire gli elettori in uscita dal Pd

Il raffronto “crudo” dei voti alla lista è oggettivamente impietoso: il Pd nel 2014 aveva ottenuto – sempre nelle sette regioni – 4.265.000 voti (41,5 per cento) mentre a distanza di un solo anno, scende a 2.134.000 (41,5 per cento) con un decremento di 2.131.000 consensi. Se per un corretto confronto aggiungiamo al voto alla lista PD anche i consensi ottenuti dalle liste del Presidente si arriva al 32.5 per cento, con un calo quindi del 9 per cento rispetto alle Europee 2014. L’analisi dei flussi elettorali ci aiuta a comprendere dove siano andati a finire gli elettori in uscita dal PD nell’ultimo anno.

Secondo le elaborazioni di SWG con dati elettorali e sondaggi, invece, il Pd (compreso le liste del Presidente) perde nel confronto regionali 2015 – Europee 2014 l’11,5 per cento, che vanno in queste direzioni: 7,5 per cento non ha votato, 2,5 per cento al Movimento 5 Stelle, 1,5 al Sinistra, 1 alla Lega, con un modesto recupero dell’1 per cento dagli astenuti del 2014. Anche il risultato della coalizione a sostegno dei candidati Presidenti della regione di centro-sinistra è preoccupante con un arretramento in tutte e sette le regioni: il 27.8 per cento in Liguria contro il 52,1 del 2010; Veneto 22,7 per cento contro 29,1 per cento; Toscana 48,0 per cento contro 59,7 per cento; Marche 41,1 contro il 53,2 per cento; Umbria 42,8 contro il 57,4; Campania 41 contro 43 e Puglia 47,3 per cent contro il 48,7 per ento. In valore assoluto, in Liguria si passa da 424mila a 183mila, in Veneto da 739mila a 503mila, in Toscana da 1.056.000 a 657mila, in Umbria da 257mila a 160mila, nelle Marche da 410mila a 251mila, in Campania da 1.259.000 a 988mila e in Puglia da 1.037.000 a 773mila.

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

In altri termini, anche dove vince, il centrosinistra cala sia in percentuale sia in voti. Il campione delle comunali è assai meno rappresentativo dell’Italia intera, ma anche qui si sono manifestati gli stessi fenomeni emersi nelle regionali: crescita generalizzata dell’astensione, perdita di sindaci e di consensi per il PD e il centro-sinistra, in particolare nei capoluoghi di provincia, crollo di Forza Italia, buon affermazione della Lega, conquista di 5 comuni per il Movimento 5 Stelle. Nei 18 comuni capoluogo il centro-sinistra scende da 10 sindaci a 8, il centro-destra ne conferma 7, le liste civiche ne conquistano per la prima volta 2 e il centro perde l’unico sindaco che aveva. Particolarmente brucianti per il Pd le sconfitte di Venezia, dove il centro sinistra governava da 20 anni e di Arezzo. In prospettiva dell’introduzione del ballottaggio nella legge elettorale della Camera dei Deputati (Italicum), particolarmente interessante è stato l’osservazione dei risultati del secondo turno nei 12 comuni capoluogo che nel primo turno del 31 maggio-1 giugno non avevano eletto il Sindaco (Lecco, Mantova, Rovigo, Venezia, Arezzo, Macerata, Fermo, Chieti, Trani, Matera, Nuoto ed Enna).

Anche dove vince il centrosinistra cala sia in percentuale sia in voti

Il candidato del centro-sinistra partiva in vantaggio in 11 comuni (unica eccezione in negativo Chieti) e ne ha vinto solamente 4 (Lecco, Mantova, Macerata contro il centro destra  e Trani contro una lista civica), mentre perde con il centrodestra a Rovigo, Venezia, Arezzo, Chieti, Matera; e con le liste civiche a Enna, Nuoro e Fermo. In valore assoluto al ballottaggio i candidati Pd mantengono a fatica i loro voti (più 872 rispetto a 151mila del primo turno), mentre sia il centro destra (più 37mila rispetto a 93mila voti) sia le civiche (12mila rispetto a 13mila voti di partenza) accrescono significativamente i loro consensi. Andando nel particolare, in 6 ballottaggi il centrosinistra vede scendere i consensi del primo turno, mentre il centro destra cresce in tutti e 8 quelli in cui è presente e le liste civiche in 3 su 4 aumentano i consensi.

Abbiamo lasciato per l’ultimo il Movimento 5 Stelle apparso come uno dei vincitori delle comunali 2015 per la conquista al ballottaggio di 5 sindaci (Venaria, Quarto, Porto Torres, Gela e Augusta). I risultati, in realtà, anche in questo caso sono da interpretare perché alle regionali il M5S ottiene 1.326.000 voti (15.7 per cento), in calo sia rispetto alle Europee 2014 (2.211.000 voti pari al 21,5 per cento) e le Politiche 2013 (3.273.416 voti – 25,7 per cento). Una diminuzione di consensi assai significativa, oscurata, però, dalle vittorie nei ballottaggi e la riconfermata capacità di attrazione del voto anti PD nel secondo turno. Infine, nel centro destra queste elezioni regionali segnano una per alcuni versi clamorosa inversione nei rapporti di forza all’interno della coalizione con la Lega che aumenta in percentuale e in valore assoluto (anche se non sfonda al Sud con liste “Noi con Salvini”) e ottiene il 67,5 per cento della somma dei voti Forza Italia+Lega: era il 36,4 per cento soltanto un anno fa nelle europee 2014, il 15,1 per cento nelle politiche del 2013 e il 39,9 per cento nelle regionali 2010.

Federico Fornaro è senatore del Partito Democratico

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