Papa la victoria siempre

Bergoglio e il capitalismo

Parlar male del “sistema” non è più un tabù. A poco più di un quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino, la critica al capitalismo – finanziario e globale in particolar modo – si è ripresa la sua parte di cittadinanza nel dibattito pubblico mondiale, anche grazie al dilagare della crisi economica. Scaricate le zavorre della Cortina di ferro, delle nomenklature comuniste del Cremlino e delle altre capitali dell’Europa dell’Est, fatto a pezzi il sistema di potere legato all’impero sovietico, uno strano e variegato insieme di forze ha potuto rilanciare l’analisi sui fondamentali del capitalismo globale con alcune novità significative rispetto al passato. A rompere gli indugi è stato Papa Francesco pochi mesi dopo la sua elezione quando ha scritto, nell’esortazione Evangelii Gaudium, che la teoria della “ricaduta favorevole”, era da considerarsi una bufala priva di valore scientifico. Non c’era nessuna prova che una crescita esponenziale della ricchezza del sistema finanziario prima o poi avrebbe diffuso i suoi benefici su tutta la società. Da quel momento i think-tank liberisti più sensibili d’Oltreoceano sono entrati in allarme, hanno capito che qualcosa stava per accadere.

Già pochi mesi dopo l’elezione, nell’esortazione Evangelii Gaudium il papa scrisse che la teoria della “ricaduta favorevole” era da considerarsi una bufala priva di valore scientifico

A dare respiro a questa nuova ondata di contestazioni al neoliberismo quale dottrina unificante sul piano politico ed economico, hanno contribuito diversi fattori. La crisi che ha investito gli Stati Uniti e l’Europa a cominciare dal 2008, il processo di globalizzazione finanziaria di cui si vedono ora anche i limiti, il susseguirsi di bolle speculative destabilizzanti da una parte all’altra del mondo, l’enormità della crisi in Medio Oriente, ma anche fatti positivi come l’inizio del disgelo fra Stati Uniti e Cuba – e la fine di uno scontro ideologico paralizzante – , l’evoluzione politica dell’America Latina attraverso diverse e complesse esperienze. È in questo frangente di eventi diversi e tumultuosi che Papa Francesco, i leader sudamericani di Ecuador e Bolivia, Correa e Morales, il greco Tsipras, economisti provenienti da varie scuole come Joseph Stiglitz, Jeffrey Sachs, Paul Krugman, Dani Rodrick, Thomas Piketty (l’autore del “Capitale nel XXI secolo”), alcune agenzie delle Nazioni Unite, movimenti ambientalisti e sociali, pur mantenendo fra di loro significative differenze, hanno finito col convergere su questioni importanti.

Ad accomunare il fronte che va da Papa Francesco a Morales è in primo luogo la critica al dominio della finanza sull’economia reale

Ad accomunarli in primo luogo la critica al dominio della finanza sull’economia reale, quindi all’eccessivo potere delle banche – dato al quale ha fatto riferimento lo stesso Tsipras nel discorso all’Europarlamento – poi la contestazione delle politiche di austerità intese come pensiero unico in economia. Da qui la richiesta di un cambio di priorità: le diseguaglianze salariali vengono denunciate come fattore sempre più ricorrente della globalizzazione, viene quindi rilanciata la difesa del welfare e messo sotto accusa, ancora, il potere delle corporation, cioè le multinazionali in grado di controllare i mercati mondiali. Se questi sono alcuni dei temi comuni, il Papa, una parte dei leader politici latinoamericani ma anche diversi economisti, sollevano ormai la questione dei beni che devono essere posti fuori dal mercato: l’acqua, l’aria, la biodiversità, la tutela del Pianeta.

Uscito dalla ridotta ecologista, il tema ambientale diventa allo stesso tempo priorità sociale ed economica. In questo senso il contributo di Papa Francesco con la sua enciclica “Laudato sì’” è stato decisivo. Con il Papa è schierato Jeffrey Sachs, esperto di “sviluppo sostenibile”, consigliere del Segretario dell’Onu Ban Ki Moon. Sempre lungo tale percorso emergono nodi come quelli legati alla difesa dell’agricoltura tradizionale contro gli eccessi di un’agricoltura intensiva su larga scala di cui alcuni Paesi, come il Brasile, cominciano a pagare un prezzo alto in termini di inaridimento e consumo dei suoli. Da qui anche la difesa delle comunità contadine e indigene, queste ultime in America Latina trovano una rappresentanza politica in Paesi appunto come l’Ecuador e la Bolivia visitati dal Papa.

Pope-star: immagini di fedeli durante la visita in Bolivia (VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)

«I beni – ha detto Bergoglio – sono destinati a tutti, e per quanto uno ostenti la sua proprietà – che è legittimo – pesa su di essi un’ipoteca sociale. Sempre»

È in un simile contesto che Papa Francesco in Bolivia ha nuovamente dialogato con i “movimenti popolari” riuniti a congresso. Un primo incontro di questo tipo si era già svolto in Vaticano nel novembre scorso, segno di una strategia di lungo periodo. E d’altro canto nel corso della trasferta sudamericana Bergoglio ha già rafforzato i principi espressi nell’enciclica. In Ecuador ha parlato del concetto stesso di proprietà. «I beni – ha detto – sono destinati a tutti, e per quanto uno ostenti la sua proprietà – che è legittimo – pesa su di essi un’ipoteca sociale. Sempre. Così si supera il concetto economico di giustizia, basato sul principio di compravendita, con il concetto di giustizia sociale, che difende il diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna».

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

E se non fosse abbastanza chiaro il suo pensiero sul sistema economico dominante, appena arrivato in Bolivia il Pontefice aveva chiarito: «Se la politica è dominata dalla speculazione finanziaria o l’economia si regge solo sul paradigma tecnocratico e utilitaristico della massima produzione, non si potranno neppure comprendere, né tanto meno risolvere i grandi problemi che affliggono l’umanità». Qualche osservatore in questo passaggio ha visto pure un riferimento alla crisi grecaQuindi parlando di fronte ai movimenti popolari Bergoglio ha tenuto un discorso particolarmente forte, ha denunciato ogni forma di colonialismo economico e l’imposizione di politiche di austerità, infine ha detto: «Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali. La globalizzazione della speranza, che nasce dai popoli e cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza!». 

«La globalizzazione della speranza, che nasce dai popoli e cresce tra i poveri, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza»

In effetti il dibattito si è inasprito in queste settimane proprio in ragione della situazione di tensione venutasi a creare nell’Ue, così è accaduto che un economista liberal come Paul Krugman, critico delle politiche di esclusivo rigore finanziario della Trojka ma certamente non un anticapitalista, abbia rilevato come l’Europa in realtà volesse disfarsi del governo di sinistra di Syriza in Grecia, per questo era stato adottato con il premier Tsipras una sorta di metodo Corleone alla rovescia (con riferimento al Padrino di Coppola), in sostanza gli era stata fatta una proposta che non poteva accettare. Altri, fra i quali Rodrick, Piketty e Sachs, hanno scritto una lettera aperta alla Cancelliera Merkel per indurla a cambiare strada, dal momento che l’austerità aveva fallito schiacciando l’economia greca e producendo una disoccupazione di massa.

Infine va considerato il ruolo svolto dal presidente americano Barack Obama, trovatosi a dover gestire la crisi del 2008 negli States. Obama prima ha vinto la seconda campagna elettorale per la Casa Bianca difendendo il ceto medio – inteso in un senso ampio – contro la minoranza dei super ricchi del Paese (categoria che coincideva nell’opinione pubblica con quella dei grandi manovratori della finanza internazionale). Quindi ha ingaggiato una battaglia politica e culturale per introdurre in America il principio dell’assistenza sanitaria universale, mutuando il principio dal welfare europeo e provando a importare un approccio al diritto alla salute estraneo alla tradizione americana. Come dire che la globalizzazione non è solo finanziaria, è anche quella delle idee.

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