Tutti i dubbi sulla “rivoluzione fiscale” di Renzi

L’analisi

È stato un weekend denso di annunci quello del premier Matteo Renzi, che sabato ha proposto un patto agli italiani – e già la mente non può non soffermarsi alla similitudine con il primo Berlusconi – fatto di un sì convinto alle sue riforme economiche e politiche, con la contropartita di meno tasse sulla prima casa e sul lavoro.

I primi commenti a caldo hanno, inevitabilmente, puntato alla mancanza di progetti certi per coprire tali tagli da un punto di vista finanzario, ma è inutile girarsi attorno, l’idea di base è di finanziarle in parte in nuovo deficit, tenendolo al ridosso del 3%, fatidica soglia abbandonata anche dalla stessa Commissione come regola aurea (sotto pressioni anche italiane), e invece rispuntata tutto a un tratto quale ancora di salvataggio per qualsiasi idea di politica economica.

Chi crede alla magia del deficit, come pare sia disposto a fare il Governo, dovrebbe spiegare perché limitarsi al 3% e non usare la leva in modo più sostanzioso. Mistero, che noi tenderemmo a decriptare come un’implicita ammissione che il vicolo di bilancio, a un certo punto, impedisce a paesi indebitati come il nostro di essere troppo allegri con le politiche fiscali anti-cicliche. Su twitter il professor Fausto Panunzi ha oggi commentato l’affermazione di Gutgeld sulle coperture fantasiose da crescita implicite nella proposta governativa, ricordando che negli anni ’80 tali teorie, smentite dai fatti come mostrato dal primo grafico, prendevano il nome di “Vodoo Economics”.

Entrate fiscali in % del PIL durante la Reaganomics

Per non finire con la danza della pioggia o con le bamboline e gli spilloni, consiglieremmo un minimo di prudenza, anche alla luce di quanto mostrato nel grafico sottostante. Il grafico mostra i tassi di crescita annuali dei macro aggregati di spesa e entrate fiscali, depurati dal ciclo economico, durante gli ultimi 20 anni, in cui si sono alternati governi di centrosinistra, in rosso, e centrodestra, in blu. Si può notare come ogni calo delle tasse, promesse elettorali dei governi poi guidati da Berlusconi, è stato seguito, dopo un breve periodo, da un aumento delle stesse, normalmente sotto la responsabilità di governi di sinistra, ma nell’ultimo caso dovute alla cura da cavallo del governo tecnico di Mario Monti, dopo la crisi dell’area euro.

Ciclo politico fiscale italiano dalla metà degli anni 90, tassi di crescita annuali

Mancando ogni tentativo serio di arrestare la dinamica della spesa corrente, il centrodestra ha sempre preferito abbondare negli stipendi pubblici, mentre la sinistra ha sempre un debole per i trasferimenti, principalmente le pensioni

Il fatto si spiega con la mancanza di ogni tentativo serio di arrestare la dinamica della spesa corrente. Il centrodestra ha sempre preferito abbondare negli stipendi pubblici, mentre la sinistra ha sempre un debole per i trasferimenti, principalmente le pensioni. Risultato? Tagli di tasse non coperti si trasformano solo in tasse future, con lo spiacevole intermezzo di un aumento degli interessi reali pagati, i quali non sono altro che una sovra-tassa da reputazione di stato sovra-indebitato.

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Ha ragione da vendere Riccardo Puglisi a ricordare che chi promette tagli di tasse senza tagliare la spesa è come chi promette un rendimento altissimo senza rischio. Rischio, che in questo caso, hanno vissuto sulla loro pelle gli italiani nel corso dell’ultima grave crisi finanziaria: vogliamo rivender loro un titolo tossico per amore del ciclo politico della spesa italiana? Come pensa il Governo Renzi di assicurare i contribuenti dall’ennesimo azzardo, insito nel pendolo insensato nella politica fiscale, in assenza di ristrutturazioni della spesa?

In secondo luogo, appare piuttosto bizzarro cambiare nuovamente idea sulla tassazione della prima casa. Il Governo, agli albori del suo mandato, aveva validato una lettura dei suoi propositi, poi convertiti in legge, di uno shift del carico fiscale sul capitale finanziario, con la teoria che le rendite finanziarie avessero una funzione sociale non ben determinata, fossero quasi uno spreco, invece di un asset che finanzia progetti imprenditoriali. In un paese in cui la capitalizzazione borsistica è irrisoria, in cui le piccole e medie imprese sono ampiamente sotto capitalizzate, l’analisi potrebbe prestarsi alla critica di suonare piuttosto bizzarra.

Ma prendendola per buona, il Governo potrebbe spiegare in cosa una rendita immobiliare sia invece meritoria di tutela, per mezzo di una tassazione di favore? Contrordine compagni: le rendite immobiliari pure sono il futuro del paese, demograficamente morto tra l’altro!

Il Governo dovrà spiegare perché una rendita immobiliare dovrebbe godere di una tassazione favorevole

Le evidenze empiriche mostrano che i rendimenti ex post degli investimenti immobiliari sono spesso più bassi di quelli attesi. Molte famiglie sono “gentilmente pregate” di investire in mattone, sottovalutandone i rischi, dalla tassazione piuttosto favorevole rispetto ad altri asset finanziari. Perché il Governo si arroga il diritto di scegliere quale investimento è buono e quale no? Perché non usare la leva fiscale al contrario, incentivando il capitale di rischio invece di non tassare le case, cambiando i prezzi relativi già distorti dalle differenze nella tassazione? Possibile che non si riesca a sfuggire alla trappola per cui, regolarmente, eliminiamo la tassazione sulla prima casa con la motivazione che agli italiani non piace pagare tasse sul loro bene rifugio, senza rendersi conto che forse la ragione per la quale è un rifugio è la tassazione di favore?

I dati sottostanti mostrano come la tassazione sugli immobili sia assolutamente vicina alla media dei paesi Ocse, che di norma includono stati dalla tassazione già bassissima. In Regno Unito e Francia, come si può notare, le tasse sulla casa hanno un’incidenza sul PIL fino a due volte più alta di quella italiana. La casa non può scappare ed è, nella teoria economica, il bene che meglio si presta a finanziare le spese pubbliche locali, che spesso sono prezzate, sotto forma di esternalità positive implicite, nel valore delle stesse. Perché non tassarle in modo ragionevole? Perché deviare in modo così spettacolare da ciò che tutti gli economisti, una volta tanto, ritengono una politica economica ideale? Mistero.

Entrate fiscali riconducibili alla tassazione degli immobili in % del PIL, 1993-2013

Spesso si dice che la realtà si presenta la prima volta in tragedia, la seconda in farsa, ma alla terza iterazione arrivano solo i politici Italiani. Segnalando che la voglia di tassare le prime case è scarsa, il Governo – tra le altre cose – implicitamente incentiva chi già oggi le tasse sulle case non le paga. Non esiste un esempio verificabile di uno stato sviluppato che cambia idea su basi imponibili e aliquote in modo così erratico come il nostro. La tassazione, come ogni regolamentazione, ha bisogno di regole certe, affiancate a responsabilità fiscale di lungo periodo nell’amministrare le casse dello stato. L’ultimo week-end sembra invece promettere, nei nostri schermi futuri, lo stesso film farsesco degli ultimi anni.

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