Mentre il governo Renzi prepara il piano di Stabilità da presentare in autunno – piano che prevede una non facile rinegoziazione dei termini di rientro del nostro debito pubblico concordati con Bruxelles, come scrive oggi Repubblica – ci si aspetterebbe dalle opposizioni un lavoro speculare e opposto, teso a mettere alle corde il governo, a rilanciare con proposte precise, in modo da avere almeno un controllo indiretto delle politiche economiche propugnate dalla maggioranza.
Renzi, e le sue manovre di politica economica attendiste e nuovamente pro-deficit, è l’unico interlocutore credibile delle istituzioni europee
La verità è che se fossimo nei panni dei politici di Bruxelles non saremmo molto ottimisti sulle prospettive politiche italiane. La negoziazione avverrà nella consapevolezza che le maggiori forze di opposizione italiane sono anti-sistema, anti-Europa, anti-moneta unica. Renzi, e le sue manovre di politica economica attendiste e nuovamente pro-deficit, è inevitabilmente l’unico interlocutore credibile delle istituzioni europee.
Ponendoci dalla loro parte, che strategia potremmo utilizzare per evitare che la nuova richiesta di clemenza non sfoci in nuovi disequilibri di lungo periodo nei nostri già traballanti conti pubblici? Vorremmo ricordare che lo stock di debito pubblico, una volta raggiunto un certo livello, impedisce di finanziare spese assicurative e assistenziali necessarie in caso di una recessione. Siamo appena usciti da una crisi prolungata, e le probabilità che via siano un’altra pesante contrazione entro poco tempo sono basse, ma non diverse da zero. L’occhio con cui l’Europa ci guarda è anche quello di chi, probabilmente, ha la mente non al domani, ma al futuro di venti-trent’anni.
Il governo è nella necessità di finanziare le nuove promesse di tagli di tasse all’Imu, disinnescare gli aumenti delle aliquote Iva, finanziare il bonus dell’anno scorso, finanziare nuovi prepensionamenti che tutti sanno avranno un impatto sui conti pubblici, per quanto penalizzante potrà essere il disincentivo proposto.
Le opposizioni, in questa situazione, stanno per caso mettendo a nudo le debolezze intrinseche di tale programma? Qualche esperto di politica economica della Lega, del Movimento 5 Stelle, sta per esempio sottoponendo alla opinione pubblica il fatto che il taglio di una tassa sulla proprietà ha notoriamente effetti minimi su investimenti, consumi e occupazione? Qualcuno sta, per caso, facendo notare che in un sistema come il nostro, a bassa mobilità lavorativa dopo una certa età, con salari che hanno una dinamica strettamente legata all’anzianità, la reintroduzione della possibilità di prepensionare indurrà molte imprese a licenziare o raggiungere accordi con il lavoratore, diminuendo il tasso di partecipazione al lavoro dei 55-64enni italiani, già basso sebbene in aumento grazie anche alla riforma Fornero? Il rischio di assistere agli esodati al rovescio, ovvero a coloro che non hanno altre alternative che la pensione, aumenterà nel caso si volesse introdurre tale nuova politica. In un Paese destinato a invecchiare ancora, siamo certi che sia una buona idea?
MESSAGGIO PROMOZIONALE
Nella realtà, assistiamo a dibattiti surreali, spesso utilizzando il mix esplosivo, e non è un complimento, di televisione estiva e Twitter. Claudio Borghi, uno dei responsabili economici della Lega Nord, si è lanciato in tv, e ha poi ribadito via Twitter, quella che, secondo lui, è un’idea rivoluzionaria: due monete in uno stato sovrano, dopo la scontata uscita dall’Euro, per risollevare le sorti disastrate del Sud. Ammettiamo di non avere mai studiato in alcun libro o in alcuna rivista scientifica di economia che le differenze di lungo periodo nei livelli di prodotto pro-capite siano causate da una sorta di cecità monetaria, che dura da 160 anni, ed impedisce ai cittadini del Sud di avere piena occupazione e sviluppo sostenuto.
L’affidabilità della politica di fronte ai partner europei non è mai stata più bassa
Anche tralasciando questa questione accademica, incalzato sulla problematica di gestire il “misero” debito pubblico con due monete dal differente valore nominale, con impatti certi sulla stabilità finanziaria del nostro Paese, Borghi ha leggermente svicolato ricordando che si tratta solo di “un contributo personale”. Di contributi personali in contributi personali, l’affidabilità della politica di fronte ai partner europei non è mai stata più bassa. Un tedesco in vacanza in Italia, con il gusto del trash e il calzino bianco, troverebbe di che divertirsi.
Dall’altra parte Grillo, in un’intervista spumeggiante, ha lanciato la poderosa idea di un supposto referendum No-Euro, senza alcun valore legale, al quale seguirebbe, in caso di vincita del partito Lirista, una nazionalizzazione delle banche e l’introduzione di una moneta parallela dal nome già ridicolo di suo, la “Lira Forte”. Ma non si svalutava per averla debole? Ormai, nella foga retorica di distruggere l’Euro, i motivi per cui la scelta lirista sarebbe un bene sono spesso “A” e “non A”, un chiaro esempio di pensiero magico che arriva addirittura a violare il principio d’identità. Dopo mesi di negoziazioni disastrose di Tsipras e Varoufakis, interrotte dalla dipartita dell’ultimo, ecco il M5S italiano che amoreggia con l’idea dell’avventurosa “Corsa agli Sportelli”, che tutti hanno visto in atto ad Atene, ma che già dopo poche settimane si tende a dimenticare, con buona pace dell’amore per la realtà fattuale.
A livello economico, Forza Italia ha perso qualsiasi forza progettuale
Ci sarebbe poi il caso Forza Italia, ma il partito berlusconiano tende a oscillare come un pendolo fra patti nascosti con Renzi, come nel caso della Rai, a tirate anti-caudillo. A livello economico il partito ha perso qualsiasi forza progettuale: insegue talvolta la triste retorica sovranista, in altre occasioni Brunetta suggerisce come Renzi ci stia sbattendo fuori dall’Euro, come se fosse un male auto-contraddicendosi nel tempo, si lascia andare ad attacchi all’odiata Germania, non disdegna di sorridere all’abolizione delle tasse sulla prima casa. Definire Forza Italia opposizione sarebbe come chiamare La Mecca Roma. È semplicemente un parcheggio vuoto, in attesa della demolizione.
Notoriamente, chi si lancia in proposte allegre paga un prezzo elettorale importante, in Paesi con sistemi democratici più funzionali. Da noi gli incentivi sono, invece, tali da prevedere, in equilibrio, delle supercazzole spaziali, proposte notoriamente fantascientifiche solo per non avere l’onore e l’onere di governare. Si preferisce il piccolo partito bandiera del 15-20%, senza alcuna prospettiva di vittoria, per estrarre le rendite politiche consistenti derivanti dal sistema partitico e istituzionale inefficiente.
Il modello di political economy che abbiamo in mente predice che, se nulla cambia, le nostre opposizioni, prese dalla foga della proposta esoterica e sconclusionata, puntano a restare tali per almeno trent’anni. Avranno forse successo localmente, laddove i venditori di miracoli possono sbizzarrirsi, giacché poi l’elettore sceglie con il criterio del suo interesse nelle politiche locali ed è anche disposto ad accettare un paio di padelle retoriche come cadeau. Ma a livello nazionale, Renzi potrà dormire sogni tranquillissimi, non avendo nemmeno il vincolo di dover governare bene per essere rieletto.