Gordon Ramsay: «Non ci sono solo i ristoranti, imparate a cucinare a casa»

L’intervista

Su Instangram si presenta così: “Chef di origine scozzese, ristoratore, personaggio e autore Tv. Da qualche parte intorno al cibo”. Gordon James Ramsay, nato a Johnstone nel 1966, è uno dei cuochi più famosi del mondo. Facilmente non entrerà tra i miti della cucina ma sicuramente è il numero uno nei reality show (Masterchef, Cucine da incubo, Hell’s Kitchen) e tra i più ricchi visto che mette la firma a 27 locali in tutto il mondo, per un fatturato – secondo Forbes – sui 47 milioni di dollari annui. Sognava di fare il calciatore nei Glasgow Rangers e complice un infortunio si è dedicato ai fornelli: tanta gavetta – prima a Londra e poi a Parigi – e il primo ristorante a Chelsea nel 1993. Avrà qui le tre stelle Michelin otto anni dopo, risultato che lo spinge a creare nuovi locali in patria ed esportare la sua cucina nel mondo: New York, Las Vegas, Versailles, Doha… Da noi gestisce un ristorante al Forte Village di Pula (Cagliari) e un altro a Castel Monastero di Castelnuovo Berardenga (Siena). Le frequentazioni Vip (storica la sua amicizia con David Beckham) e la fama non hanno moderato il suo caratteraccio: tra le durissime accuse di animalisti e vegetariani contro il suo credo carnivoro, le liti con la critica gastronomica (continua a perdere stelle Michelin qua e là), cause personali e di lavoro, Ramsay si è creato la nomea di uomo irascibile e pericoloso. In realtà, chi lo conosce sostiene sia solo lo stress a fargli perdere talvolta il filo. Sarà così? Vediamo.

Gordon, ma lei è veramente come si vede nei programmi tivù? Molti dicono che non finge come fanno molti suoi colleghi.
Non è cattiveria per essere cattivi ma il solo modo per far capire ai ragazzi l’importanza della professionalità e del perseguire un obiettivo. In tre minuti l’arrabbiatura passa. Comunque, ogni giorno in tutti i ristoranti dove si preparano centinaia di coperti devi fare così oppure chiudi.

Una ventina di anni fa spignattava al Gavroche di Londra con un ragazzo come lei, di nome Davide Oldani. Pare ci fosse competizione, non sempre sana…
Diciamo che le prendevamo e le davamo tutti e due: per arrivare devi cercare in ogni modo di superare chi ti sta davanti. Ora è uno dei grandi: ha il fisico e la testa del nuovo cuoco-imprenditore, ha creato una cucina con sapori netti, classici e attuali al tempo stesso, squisiti e leggeri. Mi piacciono i suoi piatti. Come quelli del mio amico Carlo Cracco ma lui segue una filosofia diversa.

«Il passaggio tra vecchio e nuovo mette fuori gioco solo i tromboni presuntuosi. La parola chiave non è innovare ma durare»

A proposito di filosofie, la nuova generazione di cuochi – molto glam e grintosa – non la mette in agitazione. Lei è un giovane vecchio per la cucina.
Il passaggio tra vecchio e nuovo mette fuori gioco solo i tromboni presuntuosi. La parola chiave non è innovare ma durare. Sono uscito dalla crisi della mia holding, nel 2008, semplificando i menu, utilizzando più materia prima del territorio e creando una lista di 100 vini al bicchiere per non far morire la cantina. Tutto qui.

Sa che in Italia si discute molto sul fatto che i miglior cuochi spesso non sono al ristorante a lavorare per i clienti. Per lei che ne ha ventisette ed è sempre in tivù, il problema manco si pone…
Esatto perché sto creando una nuova ondata di talenti. La verità? Sono lo chef più disinteressato nel mondo al culto di se stesso. Dico sempre che il nostro gruppo è un po’ il Manchester United della cucina…e io sono il suo giocatore-allenatore. E comunque, se io acquisto un abito di Giorgio Armani pretendo che l’abbia fatto lui con le sue mani o me lo venda direttamente? Deve essere perfetto e al prezzo corretto. Questo è il giusto ragionamento da trasmettere al cliente.

Perché i media britannici non la amano?
Buona domanda. Non lo so. In effetti, hanno scritto fiumi di critiche su ogni aspetto della mia vita e della mia cucina, spesso dicendo cose sbagliate. Ma li devo ringraziare per questo: ti rendono forte, diventi di Teflon. Comunque della critica culinaria non so che farmene: il giudizio che mi interessa è quello dei clienti che tirano fuori fior di soldi per un’esperienza firmata da me.

«Comunque della critica culinaria non so che farmene: il giudizio che mi interessa è quello dei clienti che tirano fuori fior di soldi per un’esperienza firmata da me»

Si diverte ancora o lavora per non perdere la ricchezza accumulata?
Sono ancora incredibilmente eccitato da quello che faccio, ho ancora molto da realizzare. Se prima stavo in miniera 20 ore al giorno, adesso ci resto 16 ore. Il futuro? Beh, diciamo che mi darò una calmata verso i 65 anni e mi dedicherò a insegnare, magari a Castel Monastero dove gestisco un ristorante. Amo i prodotti italiani e il vostro approccio corretto al cibo. E impazzisco da sempre per il tartufo bianco d’Alba. Ecco perché potrebbe essere il posto migliore per chiudere la carriera, no?

A proposito di Italia, sul Corriere della Sera abbiamo scoperto il suo culto per le Ferrari: ne possiede cinque e a breve arriverà la sesta
Vero. Sono le migliori auto del mondo, veloci e bellissime. Le sognavo già da piccolo e quindi non appena ho avuto la possibilità, ho iniziato ad acquistarle: la prima per le tre Stelle Michelin prese a Chelsea. Sono costruite con amore, attenzione al dettaglio, vera passione: lavorano proprio come me in cucina. Esprimono il meglio.

Parliamo un po’ di cucina britannica? Non sarà sicuramente d’accordo con chi la reputa inferiore a tante altre nel mondo.
Un sacco di persone la considerano fiacca, un po’ noiosa. Hanno ragione? Mah. Secondo me, dobbiamo fare meglio con alcuni ingredienti eccezionali come manzo e maiale: se preparati bene, sfido qualsiasi altra cucina a fare meglio di noi. Detto ciò, il nostro capolavoro resta il fish & chips. Presso The Narrow, il mio pub vista Tamigi, aggiungiamo la vodka alla pastella e ne viene fuori un rivestimento straordinario.

«Prima di morire chiederei un bel filetto di branzino in padella con salsa di acetosa o in alternativa lo vorrei arrosto, con carciofi e una creme fraiche di erba cipollina»

Anche in Inghilterra c’è un ritorno al pranzo in famiglia come da noi? È solo effetto della recessione?
Vado contro il mio lavoro di ristoratore e dico che sono felice. Tutti dovrebbero essere in grado di cucinare ogni tanto qualche buon piatto a casa. E il pranzo con la famiglia e gli amici non è solo una questione di cibo ma un evento sociale.

Ha avuto dei veri maestri?
Preferisco dire che ho incontrato tante persone che mi hanno ispirato lungo la strada, non è facile sceglierle. Sicuramente Tana (ndr, sua moglie) e mia madre oltre a due cuochi incredibili quali Joel Robuchon e Guy Savoy.

Un cliente che le manca nel curriculum e servirebbe con piacere?
Barack Obama. Mi sembra una persona semplice ed elegante, quindi gli consiglirei delle linguine con il granchio.

E il suo ultimo pasto, prima di morire?
Considero il branzino come il re dei pesci. Quindi chiederei un bel filetto di branzino in padella con salsa di acetosa o in alternativa lo vorrei arrosto, con carciofi e una creme fraiche di erba cipollina. Non escludo di cucinarmeli io, sia chiaro.  

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