Niente panico: l’ondata di vendite in Cina è segno solo di una cosa, che gli investitori occidentali non stanno capendo quello che sta succedendo a Shanghai. Che, per Saro Capozzoli, da 25 anni tra Pechino e Shanghai con la sua Jesa Capital Limited (investimenti e fusioni e acquisizioni) è invece semplice: il governo ha deciso di non ordinare alle grandi aziende di comprare azioni e questo ha provocato un calo dei valori azionari. Una mossa che si spiega nel contesto di un governo, quello di Xi Jinping, che per la prima volta vuole fare uscire le aziende cinesi dalla “comfort zone” e incentiva solo quelle più dinamiche. E se oggi 90 milioni di piccoli risparmiatori – compresi i lavoratori più umili – si leccano le ferite per perdite ingenti, aggiunge, le grandi imprese ne sono appena scalfite e sono pronte a tornare a investire, anche all’estero. Non solo, per il general manager di Jesa, finite le pulizie a Shanghai, la borsa cinese si potrà finalmente aprire agli investitori stranieri. Eppure c’è un’enorme ombra che si staglia all’orizzonte. È la bolla immobiliare. Non riuscire a controllarla significherebbe esporre il mondo a uno tsunami che colpirebbe tutto il mondo. Un nuovo 2008, insomma.
A cosa si deve il -9% registrato lunedì dalla borsa di Shanghai?
Al fatto che tutti si aspettavano un intervento del governo per far comprare titoli alle aziende controllate dallo Stato, com’era accaduto nei giorni precedenti. Questo non è avvenuto e già ieri sera giravano voci sul fatto che il governo non avrebbe fatto nulla. L’ondata di vendite era nell’aria.
È stato un errore il mancato intervento da parte del governo?
Molti analisti, me compreso, condividono il non interventismo del governo cinese. È che meglio che le cose siano reali
No. Molti analisti, me compreso, condividono il non interventismo. È meglio che le cose siano reali. Lo vediamo come la volontà da parte del governo di andare a vedere dov’è il fondo.
E dov’è il fondo?
Secondo me l’indice della borsa di Shanghai arriverà a quota 3.000 e poi si riprenderà. Questo vuol dire che scenderà ancora un po’, poi, com’è avvenuto nel 2009, riprenderà a crescere.
Perché è così convinto che l’economia cinese si riprenderà?
Ci sono i precedenti: la Cina ha superato la terribile crisi del 1997 delle Tigri asiatiche. Nel 2003 c’è stata la crisi della Sars che ha bloccato la Cina per mesi. Nel 2009 hanno subito i contraccolpi della crisi finanziaria occidentale, e in seguito hanno deciso di concentrarsi sul mercato interno. In Cina ha fatto molto più scalpore il disastro di Tianjin della crisi in Borsa. Non capiscono perché gli occidentali abbiano reazioni così preoccupate.
Perché allora le Borse europee e quella americana stanno calando a picco?
Perché non comprendono quello che sta succedendo. Gli operatori occidentali pensano che la Cina crolli. Ma ho qui un libro del 1999 che prevedeva un prossimo crollo della Cina.
Non si capisce anche perché per Pechino è una novità il lasciar fare al mercato.
Sì, il governo di Xi Jinping è molto diverso da quelli precedenti. Nei 30 anni precedenti statisti e ministri erano soprattutto ingegneri. Questo è il primo governo fatto quasi solo di economisti. In Cina dopo 40 anni il governo non sta salvando le aziende e le banche sono costrette a fare una stretta sui debiti marci. Xi Jinping ha detto alle aziende: “se fallite fallite. Se invece maturate e cercate di prendere le competenze che vi mancano, anche manageriali, vi aiutiamo”. Lo scorso anno sono stati stanziati 300 miliardi di euro per aiutare le aziende che hanno bisogno di acquisire quote societarie in aziende internazionali.
Qualcuno però oggi si è fatto molto male.
Non certo i grandi capitali, i fondi, i veri investitori, che continuano ad avere liquidità. Questo calo colpisce soprattutto i piccoli risparmiatori. Questa però per me è una botta buona, perché fa selezione. Le faccio un esempio?
Prego.
«La mia inserviente gioca ogni giorno in borsa con il telefonino. Oggi piangeva perché aveva perso molti soldi. Sono i piccoli investitori a essersi fatti male»
La mia inserviente gioca ogni giorno in borsa con il telefonino. Oggi piangeva perché aveva perso molti soldi. Lo stesso fanno gli addetti alle pulizie. Non c’è quasi intermediazione. È come un gambling: si fa tutto col telefonino, se un titolo sale del 30% sale una grande eccitazione e continuano a comprare. Ho visto aziende che erano praticamente fallite e che ancora avevano saliscendi in Borsa. Non dobbiamo dimenticare che la borsa di Shanghai esiste solo dal 1992, è un mercato molto immaturo.
Quali saranno le conseguenze del crollo di Shanghai sull’economia cinese?
La Borsa se si pulisce dalla Borsa avrà solo un beneficio. Si potrà aprire agli investitori stranieri più facilmente. È meglio entrare in un mercato depresso che in una bolla. I grandi compratori cinesi non sono stati colpiti duramente perché hanno grande liquidità. Vedo inoltre un’opportunità per gli investitori stranieri: da quando la Cina è entrata nel Wto, ha posto tra le condizioni quello di proteggere i mercati per 15 anni. Ebbene, questi 15 anni stanno per scadere e si stanno per aprire agli investimenti settori come le Tlc, l’automotive e il settore medicale.
Che Cina sta uscirà da questa crisi?
È una fase di transizione. Sono in Cina da 25 anni e sento che qualcosa sta cambiando. Il prossimo ottobre ci sarà il prossimo piano quinquennale, che sarà molto incentrato sull’automazione e sull’internet delle cose. L’economia dovrà essere più aperta, per avere investimenti internazionali. Vogliono togliere Mao dalle banconote, per renderlo più spendibile sui mercati internazionali.
Le statistiche ufficiali saranno più vere?
Sì, io e i colleghi investitori vediamo che c’è un processo in corso, ed è un processo positivo.
Cosa le fa invece paura?
La bolla immobiliare è la vera mina vagante della Cina. Se scoppia le conseguenza si sentiranno in tutto il mondo
Quello che mi fa davvero paura è la bolla immobiliare. I prezzi sono saliti troppo e oggi tutti hanno interesse che i prezzi non scendano troppo. Non vogliono far scoppiare una bolla come è accaduto negli Usa. Questa è la vera mina vagante della Cina. Se scoppia le conseguenza si sentiranno in tutto il mondo.
Ci può invece essere un contagio come quello del 2008 che dagli Usa investì il resto del mondo?
Dipende dai mercati. A parte la bolla immobiliare non ci sono investimenti grossi di banche europee o italiane in Cina. In generale nella Borsa di Shanghai ci sono pochi stranieri. La conseguenza di un reminbi svalutato è che si potrà investire in modo più economico. L’unico svantaggio sarà non esserci.
Qual è il fine ultimo del governo di Pechino?
È quello di comprare il petrolio in yuan e non in dollari. E questo agli americani fa saltare i nervi. Alcuni analisti prevedono perfino un conflitto armato tra Usa e Cina nei prossimi dieci anni. Ovviamente speriamo che non sia così. Ha i cowboy hanno bisogno sempre di crearsi un nemico.
Intanto è cominciata una guerra delle valute?
No, la lettura di una guerra delle valute è sbagliata. Negli ultimi cinque anni hanno rivalutato del 30% lo reminbi, una cosa che era stata richiesta anche dagli Usa. Ora hanno svalutato, ma si parla di meno del 10 per cento. Non a caso l’Fmi ha lodato l’intervento, dicendo che la Cina stava cominciando ad adeguare il valore della moneta al mercato. Il Fmi ha detto che si aspetta che in 2-3 anni la Cina entri in un regime di libera fluttuazione dei cambi.
Quali saranno le conseguenze per l’economia reale italiana?
Noi possiamo solo crescere in Cina. L’agroalimentare italiano è inferiore di quattro volte a quello della Germania. La presenza italiana in Cina è ridotta. Sta esplodendo l’e-commerce e questo è solo un’opportunità. L’economia italiana non può avere un tracollo a causa della Cina, perché l’esposizione è troppo piccola.
Continueranno anche gli investimenti cinesi in Italia?
Gli investimenti in Italia continueranno. Anzi, se le borse vanno giù saranno più appetibili gli obiettivi italiani. Molte aziende stanno programmando di fare visite in Germania e Italia nei prossimi mesi. Da questo punto di vista non cambia niente.