La guerra tra Georgia e Russia scoppiata in larga scala nell’agosto 2008, durata una decina di giorni e costata qualche migliaio di morti, è essenzialmente dimenticata. Almeno in Occidente. A ricordarcela sono oggi solo le due repubbliche che dal conflitto sono nate, l’Ossezia del Sud e l’Abcasia. Prima facevano parte della Georgia, ora sono invece indipendenti, sebbene riconosciute solo da un pugno di Paesi guidati ovviamente dalla Russia. Se de jure per la comunità internazionale dunque non ci sono nemmeno sulla cartina, de facto sia a Tbilisi che a Mosca, come altrove, si deve fare conti con questi due Paesi, piccoli e poveri, ma pur sempre esistenti.
La questione è analoga a quella ucraina, dove da un lato lo scorso anno la Crimea è stata direttamente annessa dopo quello che il Cremlino ha considerato un colpo di Stato sostenuto dall’Occidente a Kiev e dall’altro nel Donbass sono sorti due staterelli indipendenti. Le repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk, più o meno tre milioni di persone, dieci volte tanto le cugine del Caucaso, sono nate nel 2014 e la loro unilaterale proclamazione ha condotto al conflitto interno ucraino: il governo centrale ha lanciato quella che ancora oggi chiama Ato (Operazione antiterroristica) per portare sotto controllo i territori ribelli e gli indipendentisti hanno ingaggiato la lotta con il sostegno diretto e indiretto di Mosca.
È improbabile che lo scenario ucraino si sblocchi con celerità. Anzi, è sempre alto il rischio che la situazione precipiti
Il caso si è allargato sulla scacchiera internazionale e l’Ucraina è diventata il teatro di un braccio di ferro tra Russia da una parte e Stati Uniti e Unione Europea dall’altra. Sanzioni e controsanzioni hanno portato sino ad oggi in un vicolo cieco. E a differenza della guerra in Georgia, esauritasi in poco più di una settimana e conclusasi con la proclamazione dell’indipendenza delle due repubbliche alla fine di agosto del 2008, quella in Ucraina ha contorni e soprattutto tempi diversi. Il conflitto, cominciato nell’aprile del 2014, è stato solo congelato con gli accordi di Minsk I e II ed è in attesa di una risoluzione definitiva secondo una road map apparentemente condivisa da tutti gli attori in campo.
La realtà è però diversa ed è improbabile che lo scenario ucraino si sblocchi con celerità. Anzi, è sempre alto il rischio che la situazione precipiti, dato che su entrambi i fronti nessuno sembra intenzionato ad abbandonare le proprie trincee. Tutt’altro: i focolai del Donbass rimangono accesi, da Donetsk ai dintorni di Mariupol, il legame tra i separatisti e Mosca non si è certo indebolito nonostante le pressioni occidentali, il governo ucraino temporeggia nel processo di decentramento e gli Stati Uniti proseguono nel sostenere sempre più apertamente chi a Kiev e dintorni si erge ad alfiere antirusso. Ad esempio Mikhail Saakashvili, ex presidente della Georgia finito a fare il governatore di Odessa, cooptato dal presidente Petro Poroshenko. Saakasvili, la notte tra il 7 e l’8 agosto 2008 aveva ordinato l’attacco di Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del sud, dopo mesi di tensione tra Tbilisi e le repubbliche ribelli, mai sotto controllo dall’inizio degli anni Novanta e che il presidente aveva promesso di riportare all’ordine a tutti i costi non appena si era insediato dopo la Rivoluzione delle rose nel 2003.
Gli Usa sostengono sempre più apertamente Mikhail Saakashvili, ex presidente della Georgia finito a fare il governatore di Odessa, dopo essere stato uno dei responsabili dell’allargamento del conflitto georgiano
La commissione internazionale guidata dalla svizzera Heidi Tagliavini, pur incolpando dell’escalation sia Russia che Georgia, stabilì in seguito che il ruolo decisivo che aveva portato al conflitto su larga scala era stato giocato proprio dalle forze georgiane guidate da Saakashvili. Per aver trascinato il Paese in questa guerra e dopo le accuse di autoritarismo crescente, il presidente nel 2013 dovette fare le valige e sparire da Tbilisi, ricercato addirittura dalla giustizia georgiana.
Accolto a braccia aperte in Ucraina, Misha l’Americano, sempre e ovunque sostenuto dalle lobby d’Oltreoceano, è ora alla guida di una regione considerata anche da Kiev molto sensibile, per la sua vicinanza storica, culturale e linguistica alla Russia, e geograficamente strategica tra Crimea e Transnistria. Che il suo compito sia quello di placare i bollori o alzare la temperatura non è chiaro e i prossimi mesi lo chiariranno. In ogni caso è facile trovare anche i paralleli tra Georgia e Ucraina, visti i personaggi in azione, da Vladimir Putin a Mikhail Saakasvili, passando per la stessa Heidi Tagliavini che ha rappresentato l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo in Europa) negli accordi di Minsk I e II, e anche nella situazione che è scaturita ora: oggi come oggi il destino delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk pare quello di Ossezia del Sud e Abcasia, indipendenti e supportate da Mosca, con la scarsissima probabilità di ritornare sotto la sovranità del governo centrale.
Come Tskhinvali e Sukhumi hanno staccato con l’aiuto di Mosca il cordone ombelicale da Tbilisi, così Lugansk e Donetsk lo hanno fatto da Kiev. Dopo una settimana di guerra nel 2008 in Georgia l’allora presidente francese Nicholas Sarkozy volò a Mosca per negoziare con il Cremlino il piano di pace che mise fine alle ostilità, in Ucraina dopo oltre un anno di combattimenti e due tentativi di accordarsi per la pacificazione è ancora tutto in bilico e se entro la fine dell’anno i separatisti e il governo di Kiev non seguiranno concretamente il solco fissato con Minsk II non basterà probabilmente Minsk III per salvare l’Ucraina dal disastro totale.