«Quando abbiamo deciso di investire per provare a fare il salto di qualità erano gli anni in cui cominciava la crisi. Eravamo in tre, di cui due — io e un mio socio — direttamente coinvolti nell’impresa, e uno solo era un dipendente. Abbiamo cavalcato il momento di crisi, l’abbiamo sfruttato come un’opportunità e credo che in parte ci siamo riusciti, visto che ora siamo saliti a 8 dipendenti». A parlare è Roberto Verga, CEO e Business Development Manager di BiCT, un’azienda che si occupa della produzione di enzimi liberi e immobilizzati e dell’implementazione, dello sviluppo di processi industriali convenienti e sostenibili, volti alla loro produzione.
Malgrado nel progetto Alimenta sia in buona compagnia con altre decine di startup, a BiCT fanno fatica a definirsi tali. «È una microimpresa privata, non è nata da spin off accademici e, in fondo, non è neanche così tanto definibile come una startup».
Bict non è basata su una singola idea, è nata come una società, una classica Srl tra privati che fuoriuscivano dalla grande impresa e che hanno deciso di fondare una piccola società di natura biotecnologica. «L’expertise della società», ci spiega il dottor Verga, «è abbastanza particolare ed è il frutto di anni di investimento nel settore della ricerca e dello sviluppo. Non siamo specializzati in una singola tecnica o in un singolo prodotto, ma abbiamo messo insieme un team di persone che può coprire tutta la filiera del processo produttivo di natura biologica o chimicobiologica, dalla biologia molecolare alla trasformazione dei prodotti».
BiCt produce proteine, enzimi e peptidi, in particolare enzimi con attività catalitica, sia in forma libera che immobilizzata
Dopo anni di applicazione nel campo dei servizi per terzi, da qualche tempo a Bict si sono messi a lavorare per creare una vera e propria produzione e andare sul mercato. Ma che cosa produce un’azienda come Bict? La risposta non è esattamente semplice: BiCt produce proteine, enzimi e peptidi, in particolare enzimi con attività catalitica, sia in forma libera che immobilizzata, ovvero sia in soluzione liquida e in polvere, oppure legata a un particolare supporto solido che ne permette il riutilizzo nei processi.
«I peptidi sono molecole di natura pseudo proteica, ma più piccoli di taglia», continua Verga, «ed è proprio su questo tipo di molecola che ultimamente abbiamo puntato di più. Nel settembre 2014 abbiamo infatti depositato domanda di brevetto per un idrolizzato proteico, ovvero una proteina del tutto naturale, che deriva dal siero del latte, e che abbiamo idrolizzato, ovvero tagliato, mediante un enzima immobilizzato e ha dato una miscela che ha dimostrato un’attività antimicrobica molto evidente».
Ma che applicazioni hanno queste molecole? «Il prodotto è dedicato al trattamento di patologie dermatologiche e stomatologiche per animali da compagnia, soprattutto cani», continua il dottor Verga. «Quindi possiamo dire di essere già sul mercato con un prodotto, visto che siamo i produttori del principio attivo, mentre il nostro partner, Candioli, si occupa della commercializzazione».
Il trucco per superare la crisi, anzi no, per affrontarla e sfruttarla, il dottor Verga l’ha capito da anni: lavorare insieme agli altri, collaborare, fare rete tra imprese che si completano e possono vivere in simbiosi, come spesso succede in natura
Il trucco per superare la crisi, anzi no, per affrontarla e sfruttarla, il dottor Verga l’ha capito da anni: lavorare insieme agli altri, collaborare, fare rete tra imprese che si completano e possono vivere in simbiosi, come spesso succede in natura. «Anche a questo prodotto abbiamo lavorato in partnership con un’altra società, la Candioli Farmaceutici, una piccola media impresa del torinese, una realtà esperta di prodotti veterinari per animali da compagnia».
Ma non è l’unico esempio di partnership messo in piedi da Verga e soci. Anche la stessa inclusione nel Parco Tecnologico Padano e nel progetto Alimenta ha in parte il sapore della partnership e della collaborazione. «Siamo entrati nel Parco Tecnologico nel 2010, ma solo con una parte della società. E in questi anni sono nate con il Parco Tecnologico delle sinergie di business su aspetti comuni, diciamo che ci siamo aiutati a vicenda, compensando le debolezze di uno con i punti di forza dell’altro, e viceversa».
E l’Italia? Cosa significa fare impresa e fare innovazione per una piccola impresa in questo paese? «Non sono né particolarmente nazionalista, né particolarmente cittadino del mondo, sono un po’ nella via di mezzo», dice il dottor Verga, ma non può fare a meno di puntualizzare: «Però noi lavoriamo anche all’estero — sia con partner europei che extra europei, indiani, iraniani e molti altri — insomma, è molto difficile non fare confronti con la realtà italiana. E una volta che ci si mette a confronto emergono differenze molto grosse. Diciamo che in Italia se si vuole fare una cosa la si riesce a fare, ma tra tasse e burocrazia effettivamente è molto pesante lanciare la propria idea. Resta il fatto che la strategia più performante è quella di unirsi, di fare rete, di collaborare, di creare grande impresa partendo dalla piccola impresa. Non dimentichiamoci che la piccola impresa l’abbiamo inventata noi, anche se adesso sembra che sia un’invenzione americana che si chiama startup».