Cari quarantenni, trentenni, ventenni e via di seguito ringiovanendo, oggi è il giorno giusto per essere lieti, se il governo Renzi davvero ha rinunciato a inserire i prepensionamenti nella prossima Legge di Stabilità. Resta il piccolo, e preoccupante, spiraglio lasciato aperto dal presidente del Consiglio durante la trasmissione “Porta a Porta”, secondo cui è auspicabile trovare un meccanismo che renda possibile l’uscita anticipata dal mercato del lavoro, ma lo spiraglio è per l’appunto strettissimo, in quanto lo stesso Renzi ha rimarcato che tale intervento «[…] per lo Stato deve essere a costo zero, altrimenti è un problema per i più giovani».
Il modo più sensato per sistemare una spesa pensionistica che pesa troppo sulle spalle dei lavoratori attuali è aumentare l’età pensionabile. I prepensionamenti vanno nella direzione opposta
Per capire la logica economica dei prepensionamenti si deve innanzi tutto capire il funzionamento generale del nostro sistema pensionistico, che è a ripartizione, cioè “senza tesoretto”. In parole semplici, i contributi previdenziali pagati dai lavoratori attualmente occupati servono per finanziare le pensioni ricevute dai pensionati attuali. Se i contributi previdenziali non sono sufficienti, interviene lo Stato che ripiana le perdite potenziali dell’Inps con fondi ulteriori provenienti dalle tasse dai cittadini. Il punto cruciale è che non esiste nessun tesoretto di contributi previdenziali pagati nel passato dai pensionati attuali: questi contributi sono finiti nelle tasche dei pensionati di allora. La maniera più sensata per sistemare una situazione in cui la spesa pensionistica pesa troppo sulle spalle dei lavoratori attuali consiste nell’aumentare l’età pensionabile: ciò comporta automaticamente maggiori entrate in termini di contributi e minori spese in termini di pensione pagata, per ogni anno di spostamento in avanti dell’età pensionabile stessa.
I prepensionamenti vanno esattamente nella direzione opposta: nel medio termine potrebbero essere a costo nullo per lo Stato se – e soltanto se – il trattamento pagato a chi va in pensione in anticipo è decurtato nella misura esatta capace di compensare l’aumento medio del numero di anni passati in pensione.
Nel medio termine i prepensionamenti potrebbero essere a costo nullo per lo Stato, ma nel breve termine impongono un costo ai contribuenti presenti e futuri
Tutt’altra storia nel breve termine: chi va in pensione anticipatamente – pur con un trattamento ridotto – smette prima di pagare i contributi e riceve prima la pensione stessa, e dunque impone un costo al bilancio dello Stato, cioè ai contribuenti presenti e futuri. Ecco perché l’esigenza di un “costo zero” per lo Stato, così come enunciata da Renzi di fronte a Bruno Vespa, chiude quasi ogni spiraglio all’idea di inserire i prepensionamenti nella Legge di Stabilità.
Dove potrebbe trovare il governo Renzi le risorse per finanziare questo intervento? Inizialmente sembrava che il governo volesse finanziare la cosa in deficit, insistendo con la Commissione europea perché una convergenza più lenta al pareggio di bilancio fosse giustificata sulla base della cosiddetta “clausola delle riforme”. Sotto questo profilo – anche se in maniera non esattamente elegante – indiscrezioni provenienti dalla Commissione stessa hanno fatto capire che né i prepensionamenti né l’abolizione della Tasi possono essere legittimamente presentate come “riforme” che stimolano la crescita.
Secondo l’idea della staffetta generazionale i giovani si accomodano sulle sedie lasciate da chi va in pensione in anticipo. Questa teoria è largamente smentita dai dati
Il ragionamento economico sottostante all’idea dei prepensionamenti – eufemisticamente presentati sotto la denominazione di “uscite flessibili” dal mercato del lavoro – è di mettere in moto una staffetta generazionale, cioè di dare lavoro ai giovani grazie al fatto che i “prepensionati” lasciano libero il loro posto. Secondo questo ragionamento esisterebbe dunque un numero fisso di posti di lavoro, per cui i giovani si accomodano sulle sedie lasciate anzitempo da chi va in pensione in anticipo. Questa teoria è largamente smentita dai dati: nei Paesi in cui aumenta l’occupazione dei giovani aumenta anche l’occupazione degli anziani, ovvero aumenta il numero totale dei posti di lavoro.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
E – tornando al punto iniziale – questa presunta staffetta generazionale non è a costo zero, in quanto i prepensionamenti sono cari, sicuramente nel breve termine. E che dire del medio termine? Le recenti e ripetute dichiarazioni dell’ala sinistra del Pd, da Damiano a Poletti e Baretta, si sono sempre incentrate sulla necessità di non penalizzare “troppo” i trattamenti ricevuti da chi va in pensione in anticipo, cioè di scontarli di meno rispetto a quanto sarebbe equo dal punto di vista finanziario: ciò si traduce in un costo dei prepensionamenti anche nel medio termine.
Chi scrive non risparmia critiche alla politica economica del presidente del Consiglio, per il suo carattere ondivago e scarsamente liberale: questa volta bisogna invece apprezzare il suo passo indietro. E un vivo ringraziamento al ministro Padoan, se c’è lui dietro a questo (salutare) passo indietro.