Clima, geopolitica e diritti: cosa va a fare il Papa a Cuba e negli Usa

Il viaggio

Il Papa va in America (dal 19 al 28 settembre) passando però prima da Cuba, l’isola della revoluciòn che si vuole aprire al mondo anche perché non ce la fa più a “resistere”. E Raul, il fratello poco carismatico ma molto pragmatico di Fidel, l’ha capito da tempo. Anche il lider maximo per la verità sapeva che non poteva durare in eterno la favola del Davide caribico contro il Golia yankee. E anche per questo il regime castrista ha accolto negli ultimi decenni due pontefici – Giovanni Paolo II nel 1998 e Benedetto XVI nel 2012 – mentre sull’isola ne sta per sbarcare un terzo, Francesco, già riconosciuto come grande mediatore nella distensione fra Washington e l’Avana dai presidenti Obama e Raul Castro.

A spiegare bene i presupposti di un lungo e proficuo dialogo fra Vaticano e regime, è stato in questi giorni uno dei principali collaboratori del papa, Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, che ha osservato come sia necessario «affermare, prima di tutto, che Cuba a differenza dei regimi sovietici dell’Europa orientale non ha mai rotto i rapporti diplomatici con la Santa Sede, anzi, questi sono migliorati negli ultimi anni, così come sono migliorati i rapporti di dialogo tra le autorità cubane e quelle ecclesiastiche. Questo è importante, però è ancora più importante sottolineare questa rinnovata vitalità della Chiesa di Cuba». Dunque la Chiesa, con sapienza, non ha mollato Cuba. Non solo: il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, è stato uno dei protagonisti dei negoziati fra governo e dissidenti, ha difeso le ragioni dell’isola contro l’embargo economico americano, si è posto come interlocutore per il regime e ha reso possibile, così facendo, l’apertura di spazi progressivi per le attività sociali della Chiesa in diverse località. Del resto Cuba ha dentro di sé i segni di una vitalità spirituale dai molti volti, fatta di sincretismo, di culti locali, così come di cattolicesimo.

In occasione dell’arrivo del papa, il regime cubano ha promosso un indulto che consentirà a 3522 detenuti di uscire di prigione

Di certo l’inesauribile Bergoglio non si è tirato indietro di fronte alla sfida rappresentata dalla isla grande, tanto più che aveva come possibile partner un’amministrazione americana intenzionata a risolvere la crisi cubana. Obama e Raul, con il papa in regia a far da mediatore, hanno riaperto le relazioni diplomatiche e le rispetti e ambasciate nelle due capitali, le frontiere fra i due Paesi si stanno riaprendo, i rapporti sono buoni anche se manca il superamento dell’ultimo e serio ostacolo, ossia la revoca dell’embargo economico, una misura che ha ridotto allo stremo l’isola in oltre cinquant’anni di guerra fredda ed economica. Nel frattempo, in occasione dell’arrivo del papa, il regime – la cui guida è passata ormai saldamente nelle mani di Raul Castro – ha promosso una misura eccezionale destinata ad aumentare il consenso di cui gode il governo: è stato infatti concesso un indulto che consentirà a 3522 detenuti di uscire di prigione. Certo, i “graziati” sono stati scelti con cura. Fra di loro figurano infatti persone di oltre sessant’anni e minori di vent’anni senza precedenti penali, i malati cronici, le donne, quanti lavorano in condizioni di semi-libertà e gli stranieri, a condizione che i Paesi d’origine ne garantiscano il rimpatrio. Allo stesso tempo, tranne poche eccezioni dovute a motivi umanitari, sono stati esclusi dall’indulto i colpevoli di omicidio, stupro, abuso di minori e traffico di droga. Restano in carcere anche quanti sono accusati di delitti contro la sicurezza dello Stato.

Nella seconda tappa del suo viaggio, negli States, Bergoglio avrà modo di fare due discorsi importanti e molto attesi: uno al Congresso di Washington – sarà il primo papa nella storia a parlare in quella sede – e il secondo alle Nazioni Unite. Inevitabilmente, gran parte del magistero sociale ed ecologico del papa farà parte dei messaggi indirizzati alla prima potenza del mondo e ai 170 leader del Pianeta che si ritroveranno al Palazzo di Vetro per i settant’anni della nascita dell’organizzazione. Il riequilibrio sociale a favore dei più poveri, il problema delle ingiustizie derivanti da un’economia di esclusione, il tema del disarmo, le migrazioni, l’accoglienza dei profughi, la tutela del Creato, saranno certamente fa le questioni al centro dei discorsi pronunciati da Francesco. Tuttavia, su un piano più diplomatico, il papa avrà modo anche di parlare con l’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin – incerto invece un incontro con Putin -, con Obama e con il Segretario delle Nazioni Unite Ban KI Moon. Insieme a quest’ultimo, parlerà fra l’altro del prossimo vertice mondiale sul clima che si terrà a Parigi a dicembre, in materia di riscaldamento globale e delle conseguenti catastrofi climatiche. Su questi temi, difatti, Bergoglio è diventato una sorta di punto di riferimento planetario e in molti sperano nel ruolo positivo che potrà giocare il Vaticano nella capitale francese, in vista di un accordo complessivo sul clima.

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Sul tema del riscaldamento globale Bergoglio è diventato un punto di riferimento planetario e in molti sperano nel ruolo positivo che potrà giocare il Vaticano in vista di un accordo complessivo sul clima

Di certo, poi, sullo sfondo dei vari incontri previsti a margine dell’assembla generale dell’Onu, saranno ben presenti i diversi dossier più scottanti e critici delle crisi internazionali, dalla Siria all’Ucraina. In entrambi gli scenari la Santa Sede ha delle urgenze ben precise: quella più drammatica è relativa alla sopravvivenza delle comunità cristiane in un Medio Oriente devastato da conflitti, fondamentalismi e dittature. Qui il Vaticano cercherà di fare sponda con storiche, grandi potenze come Usa e Russia, tanto più ora che la Casa Bianca ha firmato con Teheran un importante accordo sul nucleare. Nell’Ucraina indipendente, invece, la Chiesa di Roma ha una propaggine importante, i geco-cattolici, fortemente nazionalisti, legati al papa. Alo stesso tempo, però, la Santa Sede non vuole interrompere il dialogo con il patriarcato ortodosso di Mosca guidato da Kirill, fedele a Putin. In questo senso non va dimenticato che Vaticano e Patriarcato lavorano a un possibile e storico incontro fra papa Francesco e Kirill.

Infine, ma non certo per ultimo, come si dice, c’è la visita del papa a Filadelfia in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie. Qui Bergoglio, alla vigilia dell’importante sinodo mondiale sulla famiglia che si terrà a ottobre in Vaticano, affronterà temi delicati per la Chiesa. Non è un segreto che una parte significativa dell’episcopato a stelle e strisce guardi con sospetto ai tentativi di riforma portati avanti in quest’ambito dal pontefice (comunione ai divorziati risposati, apertura a coppie di fatto, attenzione alle unioni omosessuali). Se poi a questo si sommano le forti polemiche anticapitaliste contenute nei discorsi del papa, si capirà che le cose non sono semplice all’interno del mondo cattolico statunitense. D’altro canto se la Chiesa americana resta una delle più ricche e influenti del mondo – e uno dei principali finanziatori del Vaticano – è anche vero che dal punto di vista sociale il corpo dei fedeli negli Usa si è sempre più latinizzato a causa dell’immigrazione proveniente da centro e sud America. Anche in America, insomma, il popolo di Dio sta con Bergoglio, insomma, mentre le gerarchie sono più tiepide. Una storia già vista.

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