Il collettivo di fotogiornalisti che fa informazione sui muri delle città

#Dysturb. Sono un centinaio, hanno invaso le strade di oltre 30 città con grandi foto in bianco e nero. Il loro unico intento: informare la gente

Impossibile fare finta di non sapere nulla sulla strage dei migranti: davanti all’ingresso di una casa a Perpignan campeggia la gigantografia di un profugo pakistano morto annegato sull’isola di Kos. O, ancora, di non ricordare che lo scorso giugno a Barpark, in Nepal, il terremoto ha ucciso oltre settemila persone: sulla parete di una strada di New York c’è il primo piano di una donna che piange la morte del figlio, seppellito dalle macerie. Non ci sono scuse: sono le 450 immagini che, corredate di una didascalia che ne spiega il contenuto, hanno invaso le strade di oltre 10 Paesi al mondo a partire dal marzo 2014. Da quando cioè i fotogiornalisti Pierre Terdjman e Benjamin Girette hanno fondato il collettivo #Dysturb con l’obiettivo di informare il maggior numero di persone possibili senza scendere a patti coi media tradizionali. Ma scendendo, più semplicemente, in strada.

«La reazione del pubblico fu da subito forte e noi capimmo al volo di avere per le mani qualcosa di molto interessante»

«Tutto iniziò – spiega Benjamine Girette, co-fondatore di #Dysturb – quando Pierre Terdjman tornò da un viaggio nella Repubblica Centrafricana con molto materiale fotografico. Optammo per non offrirlo nemmeno alle nostre testate, decidendo piuttosto di stampare l’ingrandimento di qualche foto significativa e di incollarla per le strade del quartiere. La reazione del pubblico fu da subito forte e noi capimmo al volo di avere per le mani qualcosa di molto interessante. Decidemmo così di estendere il progetto ad altri fotogiornalisti francesi e di dare vita al collettivo #Dysturb», che oggi conta 100 fotogiornalisti e molti volontari sparsi per tutto il mondo. Nonostante la loro età, la loro estrazione sociale e il colore della loro pelle siano assai diversi, il loro intento è uno solo: informare in modo diretto, quasi disturbante, la maggior parte delle persone possibili. «Siamo tutti tecnici innamorati del nostro lavoro, di ciò che significa essere fotogiornalisti oggi – continua Girette – e con #Dysturb abbiamo voluto impegnarci seriamente perché le storie che ogni giorno raccogliamo con la nostra macchina fotografica possano essere divulgate. Giornali e riviste non accettano i nostri scatti? Non mi interessa nemmeno sapere perché, il nostro compito è quello di farli conoscere a tutti, anche in autonomia».

Così le loro foto (di 2×3 metri le più piccole, di 3×4 metri le più grandi) vengono affisse nelle città con una triplice operazione: rigorosamente in bianco e nero, i cartelloni vengono appiccicati ai muri con colla a base di grano per un uso non vandalico degli spazi pubblici. Le opere così realizzate sono successivamente fotografate e condivise sui social: «Queste vere piazze digitali – afferma Girette – rappresentano circa il 50% del nostro lavoro. Se non ci fossero gli smartphone, e con loro piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest, saremmo fermi ancora a 20 anni fa, quando mancava ogni tipo di relazione tra il lettore e il fotogiornalista». E infine, anche grazie ai social media, il dialogo con un pubblico eterogeneo, composto tanto da anziani quanto da bambini.

Le foto sono rigorosamente in bianco e nero, i cartelloni vengono appiccicati ai muri con colla a base di grano per un uso non vandalico degli spazi pubblici

Soprattutto a questi ultimi il collettivo francese presta grande attenzione: a loro sono rivolte molte iniziative che il gruppo realizza in collaborazione con le scuole di primo e secondo grado. «Abbiamo notato – dice Girette con una punta di amarezza – che soprattutto tra i più giovani c’è una vera mancanza di fiducia nei confronti dei tradizionali mezzi di informazione. Questo sentimento li porta a leggere notizie, false o parziali, su riviste scadenti, su stupidi blog, su pagine on line prive di credibilità. E se chiedi loro cosa è successo nella redazione di Charlie Hebdo, a Fukushima, o cosa stia succedendo in Siria le risposte sono le più disparate. Per colmare queste mancanze abbiamo pensato di fare leva sulle scuole, con le quali abbiamo stretto diverse collaborazioni che prevedono che gli studenti possano accedere a una piattaforma di immagini selezionate di #Dysturb, le possano consultare ma anche scaricare e stampare gratuitamente, per poi renderle oggetto di discussione in classe. Noi stessi andiamo nelle scuole per affiggervi, assieme ai ragazzi, le nostre foto: anche così si potrà creare un pubblico consapevole e informato».

Ora il gruppo è rodato, e le collaborazioni con festival e riviste non mancano, ma all’inizio è stata dura pagare lo scotto della loro indipendenza: «Abbiamo passato dei momentacci – conclude Girette – a causa dell’iniziale mancanza di soldi: la stampa dei fogli era a carico nostro, gli sponsor erano inesistenti e il rischio di fare un’operazione che non piacesse a tutti c’era. Ma piano piano abbiamo acquisito credibilità e ora… beh, non posso certo dire di essere ricco, non sarebbe vero, ma posso affermare con orgoglio che amo il progetto di #Dysturb e come fotogiornalista freelance mi sento un 29enne fottutamente fortunato».

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