TaccolaIl Sud del Mediterraneo è la grande sconfitta dell’Unione europea

Il Sud del Mediterraneo è la grande sconfitta dell’Unione europea

Per salvare l’Unione per il Mediterraneo ci vorrebbe un avvocato del diavolo di quelli di grido. Molti di voi non l’avranno neanche mai sentita nominare, quasi nessuno sa che il co-presidente è il Mrs. Pesc, Federica Mogherini, alto rappresentante della politica estera europea, e che il vice-segretario generale è un altro italiano, Claudio Cortese. Piccola, limitata nell’azione, senza alcun peso politico, usa a lanciare appelli pieni di buone intenzioni, l’Unione per il Mediterraneo (o UfM) è – indipendentemente dall’impegno dei suoi componenti – un simbolo del fallimento della politica europea verso il Mediterraneo. Quando il dramma dei profughi e dei migranti scombussola le coscienze e richiederebbe un’azione politica coordinata tra le due sponde del Mare Nostrum; quando lo stesso richiederebbero le minacce dell’Isis e le contraddizioni seguite alle Primavere Arabe, il rimpianto di quello che l’Unione per il Mediterraneo avrebbe potuto essere si fa più profondo.

Piccola, limitata nell’azione, senza alcun peso politico, usa a lanciare appelli pieni di buone intenzioni, l’Unione per il Mediterraneo (o UfM) è un simbolo del fallimento della politica europea verso il Mediterraneo

Per capire dove siamo arrivati bisogna fare qualche passo indietro. Il primo ci porta nel febbraio 2007. Il presidente francese Nicolas Sarkozy è in campagna elettorale e a Tolone parla per la prima volta di un progetto chiamto “Unione Mediterranea”, che avrebbe dovuto cambiare radicalmente l’approccio seguito fino ad allora nei rapporti tra l’Europa e la sponda Sud del Mare Nostrum: il dialogo Euro-Arabo dal 1972 al 1995; il Dialogo 5+5 lanciato nel 1990; il Processo di Barcellona lanciato nel 1995; la Politica europea di vicinato (Enp), creata nel 2004 e che ha un equivalente a Sud di quella creata a Est dopo l’allargamento dell’Unione europea ai dieci Paesi dell’ex Unione Sovietica.

Non ci fu in realtà nessun cambiamento radicale. Il progetto di Sarkozy prevedeva che questa Unione Mediterranea funzionasse come il Concilio d’Europa: quindi non una istituzione dell’Ue ma una riunione annunale di capi di Stato e di governo, che avrebbe dovuto avere abbastanza potere da gestire temi come l’immigrazione legale, l’ambiente, la cooperazione, la lotta al terrorismo. A questa visione mise il veto la Germania, la quale obiettò che non avrebbe finanziato un progetto che non coinvolgesse le istituzioni europee. Un altro motivo del freno a mano tedesco era la volontà, neanche troppo implicita, da parte di Sarkozy di usare questa Unione Mediterranea per rilanciare il ruolo della Francia nel Nord Africa e Medio Oriente. Una terza ragione era la diffidenza della Turchia, perché da molti la mossa del presidente francese era stata letta come un escamotage per evitare l’allargamento dell’Ue ad Ankara

L’Unione Mediterranea di Sarkozy non decollò per tre motivi: l’opposizione tedesca, il fatto che fosse uno strumento di visibilità francese, l’ostilità della Turchia, che veniva esclusa dall’Ue

Si arrivò quindi al coinvolgimento dell’Ue, al mettere in chiaro che la nuova istituzione sarebbe stata in continuità con il Processo di Barcellona e la politica di vicinato. Fu il primo di una serie infinita di compromessi al ribasso. Da subito si mise in chiaro che non sarebbero stati trattati né il tema dell’immigrazione, troppo controverso, né quello della lotta al terrorismo, né quello dei diritti umani. Come chiarisce un saggio apparso su Paix et Sécurité Internationales dell’Università di Cadice (The Union for the Mediterrean, Ufm: a critical approach, di Antonio Blanc Altermir ed Eimys Ortiz Hernandez), la Dichiarazione di Parigi – che diede il via all’Unione per il Mediterraneo – spiccava anche per «la carenza di riferimenti a questioni socio-economiche, commercio o energia, alcuni aspetti delle quali, come gli investimenti diretti esteri, l’occupazione, la riduzione della povertà e l’efficienza energetica costituiscono alcuni dei problemi strutturali» del Sud del Mediterraneo. 

A Parigi, nel 2008, Furono individuate sei aree di intervento: il disinquinamento delle coste del Mediterraneo; le infrastrutture marittime e stradali, tra cui porti; un programma di protezione civile unificata; un piano per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili; la creazione di un’università euro-mediterranea; e infine un’assistenza alle piccole e medie imprese, dopo aver individuato le loro esigenze specifiche.

Da subito si mise in chiaro che non sarebbero stati trattati né il tema dell’immigrazione, troppo controverso, né quello della lotta al terrorismo, né quello dei diritti umani

Cosa è stato fatto di questo? Rispondere “nulla” sarebbe molto ingeneroso. Per esempio, a Fez, in Marocco, esiste effettivamente una Università Euro-Mediterranea e in Giordania il progetto di rete ferroviaria è sotto il cappello UfM. Gli ultimi dati dell’Unione stessa parlano di 33 progetti con etichetta UfM e altri 80 in fase di studio. Tra questi c’è il programma di integrazione della città egiziana di Imbaba, 700mila abitanti, con la capitale Il Cairo, attraverso infrastrutture e servizi. C’è poi il programma di de-tossicazione della costa della città di industriale di Sfax, in Tunisia; e il progetto di sviluppo della valle di Bouregreg, in Marocco. Anche se alcuni di questi progetti hanno una loro importanza, la consapevolezza del ruolo dell’UfM è quasi nulla tra le popolazioni beneficiate. «Lost in trasmitting» è la lapidaria definizione del paper di  Altermir ed Hernandez. 

A Fez, in Marocco, esiste effettivamente una Università Euro-Mediterranea

Il ruolo reale dell’UfM è in effetti non di immediata comprensione. Se ci cercano dettagli su questo aspetto e sui finanziamenti che passano da questa istituzione si resta molto delusi. Il report annunale dell’istituzione, che ha sede a Barcellona e impiega 60 persone, dice che i 33 progetti sostenuti hanno un valore di 5 miliardi di euro. Ma sui finanziamenti nulla, se non un riferimento a 5 milioni di euro dall’Ue. Nel gergo burocratico di Bruxelles, sono soldi per il Programma di assistenza tecnica nel quadro dell’Inziativa di finanza dei progetti urbani (Upfi). Un’altra chicca: il report annuale dell’UfM, che dovrebbe essere una sorta di bilancio, in 88 pagine parla di euro (€) quattro volte, mentre la parola “miliardi” compare solo una volta, riferita al valore già citato dei progetti in questione. Né si parla di altri progetti, questi invece importanti, nei quali la Banca europea degli investimenti ha avuto un ruolo: il raddoppio del porto di Tangeri, in Marocco, e il raddoppio del Canale di Suez, inaugurato in agosto; evidentemente sono sotto altri programmi.  

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MESSAGGIO PROMOZIONALE

Tre mine hanno svuotato subito l’UfM: la crisi economica del 2008, la guerra a Gaza e il vuoto politico in Europa dopo il Trattato di Lisbona

La questione degli scarsi finanziamenti è ritornata più volte nella tormentata storia dell’Ufm e il saggio di Altermir ed Hernandez li elenca in dettaglio. I problemi maggiori sono stati però politici. I principali sono stati tre, fin dall’inizio. Primo: la partenza dell’UfM è coincisa con la Grande Crisi del 2008-2009 e quindi con la poca disponibilità dell’Ue a mettere soldi nell’iniziativa. Secondo: nel dicembre 2008 c’è stata l’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza da parte di Israele (membro dell”UfM), cosa che provocò le dimissioni del primo Segretario Generale dell’UfM; terzo, dopo il Trattato di Lisbona si crearono i ruoli del presidente del Consiglio dell’Ue e dell’Alto rappresentante della politica estera e non si capì subito come integrarli nei meccanismi dell’UfM. Per la cronaca, oggi uno dei due co-presidenti dell’Unione per il Mediterraneo è l’attuale Mrs. Pesc Federica Mogherini. Nel frattempo, mentre si continuavano a rinviare le riunioni dei capi di Stato e governo, si dimetteva anche il secondo Segretario Generale, che ha lasciato spazio all’attuale segretario, il diplomatico marocchino Fathallah Sijilmasi. Un quadro che rende bene l’idea del peso politico nullo di queste figure, così come quello dell’Assemblea parlamentare euro-mediterranea e della più recente Assemblea regionale e locale euro-mediterranea.  

Nel marzo 2015 l’Unione europea ha lanciato una revisione della sua politica europea di vicinato. Questo processo dovrebbe arrivare alla fine dell’anno

Poi arrivarono le Primavere Arabe, che complicarono tutto il quadro. In breve, fu sempre più difficile trovare una politica unica e l’intervento divenne sempre più a “geometria variabile”. «Ci sono state delle grandi ambizioni a fase alterne – commenta a Linkiesta Valeria Talbot, ricercatrice senior e a capo del programma per il Mediterraneo e Medio Medio Oriente dell’Ispi -. Oggi è una politica che punta soprattutto sulle relazioni bilaterali, perché i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo hanno processi individuali: il Marocco è tra i più avanzati, mentre la Siria, ben prima della guerra e della Primavera Araba, aveva avuto una relazione difficile». Nel marzo 2015, aggiunge, l’Unione europea ha lanciato una revisione della sua politica europea di vicinato. Questo processo dovrebbe arrivare alla fine del 2015

Di certo c’è necessità di ripensare tutti i rapporti. «Inizialmente l’Unione europea aveva applicato alle sue politiche per il Mediterraneo il processo di costituzione dell’Ue, cioè favorire lo sviluppo economico con l’obiettivo che questo portasse a riforme politiche. Questo processo, che ha funzionato prima con Paesi come la Spagna e il Portogallo e poi, almeno in parte, con i Paesi dell’Europa dell’Est, non ha funzionato con i partner del Mediterraneo. Non c’era l’obiettivo dell’entrata nella Ue ed è quindi mancato un incentivo». Il progetto di Unione per il Mediterraneo, conclude la ricercatrice dell’Ispi, non è naufragato. Ma ha un urgente bisogno di cambiare totalmente. 

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