SpecialeLa Catalogna al voto, sognando di dire addio alla Spagna

Lo schieramento indipendentista sembra davanti. Madrid corre ai ripari: in caso di secessione il Barcellona e l’Espanyol dovranno lasciare la Liga

Si vota in Catalogna e fino all’ultimo istante di campagna elettorale tutti gli istituti di sondaggi hanno confermato il pronostico di qualche settimana fa: lo schieramento indipendentista, che comprende “Junts pel sì” (“Uniti per il sì”), il cartello del presidente uscente Artur Mas, e la formazione di sinistra CUP (Candidatura d’Unitat Popular), potrebbe avere la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento, ma non quella dei voti degli elettori. Sarà sufficiente per dire bye-bye a Madrid? Le opinioni al riguardo, anche nel fronte secessionista, non sono univoche.

Il presidente uscente Artur Mas è stato molto chiaro: «Chi vota Junts pel sì vota per l’indipendenza della Catalogna»

Com’è noto, dopo che la Corte costituzionale spagnola aveva dichiarato inammissibile un referendum per la secessione della regione, il 9 novembre del 2014 si era comunque svolta una consultazione “semi-ufficiale” per chiedere ai cittadini di pronunciarsi sull’ipotesi della costituzione di uno stato catalano indipendente. Si recò alle urne solo un terzo degli aventi diritto ed il risultato fu scontato: l’80 per cento dei votanti disse sì alla secessione. Per aggirare l’ostacolo rappresentato dal veto di Madrid, gli indipendentisti hanno pensato bene, perciò, di anticipare le elezioni per il rinnovo del Parlamento, in calendario per il 2016, trasformandole, di fatto, in un referendum in forma surrettizia. Artur Mas, al riguardo, è stato molto chiaro: «Chi votaJunts pel sì vota per l’indipendenza della Catalogna». E questo è stato il leitmotiv dell’intera campagna elettorale.

A dire il vero, negli ultimi giorni i toni si erano un po’ abbassati, con lo stesso leader dei separatisti che aveva escluso, in prima istanza, l’ipotesi di una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Comunità autonoma, dicendosi propenso, piuttosto, all’apertura di un «negoziato con Madrid». Ma nel finale di campagna elettorale, proprio dalla capitale, i toni si sono fatti più duri: «Il voto non avrà valore legale, andremo ovviamente davanti alla Corte Costituzionale. Cos’è la Spagna spetta deciderlo agli spagnoli, non solo ad alcuni», è stata l’ultima sortita del premier Mariano Rajoy, che, oltretutto, ha avvertito i catalani sui rischi che la comunità correrebbe nel caso di secessione: «Significherà l’uscita della Catalogna dall’Ue. Ma poi, cosa accadrà alle pensioni? Nella regione ci sono più pensionati che contribuenti, cosa succederà alle istituzioni finanziarie, ai depositi bancari, alla moneta?».

Il premier Mariano Rajoy avverte sui rischi della secessione: «Significherà l’uscita della Catalogna dall’Ue. E cosa accadrà alle pensioni?»

Per le formazioni contrarie all’indipendenza, tuttavia, il bottino elettorale, con qualche eccezione, non sarebbe affatto copioso, anzi. Il Partito popolare è dato sotto la soglia del 10 per cento, mentre i socialisti potrebbero toccare il loro minimo storico, fermandosi al 12 per cento. Più in forma sembrano i populisti di Ciudadans, dati intorno al 15 per cento, la cui candidata alla presidenza Inés Arrimadas, sulla questione secessione, è stata sempre molto chiara: «Domenica 27 i catalani dovranno scegliere tra un governo pulito e di tutti e quelli che vogliono proclamare l’indipendenza». Un aut aut che, ad ogni buon conto, rischia di fare il gioco dei separatisti, interessati a polarizzare il voto su indipendenza sì-indipendenza no.

Ha provato a sottrarsi a questo gioco, invece, la coalizione “Catalunya Sí que es Pot” (“Catalogna, si può fare”), di cui fa parte anche Podemos. Accreditati di un buon 12-13 per cento, il loro tentativo in questa campagna elettorale è stato quello di spostare l’attenzione dalla questione dell’indipendenza ai temi sociali ed economici, con un programma decisamente anti-austerity ed ecologista. Eppure, proprio nelle ultime battute della campagna elettorale, anche Luìs Rabell, che di “Catalunya Sí que es Pot” è il capolista, è stato trascinato nella mischia del dibattito sull’indipendenza. Accusato dagli esponenti di Ciudadans di essere, in fondo, favorevole alla secessione, ha dovuto ammettere che al referendum del 2014 aveva votato sì, sebbene preferisca una Catalogna «sovrana» in uno stato federale. In ogni caso, la lista di sinistra sarebbe favorevole alla celebrazione di un referendum per far decidere ai cittadini catalani il proprio futuro ed il futuro del loro rapporto con la Spagna. La pensa così anche Pablo Iglesias, che, in una recente intervista rilasciata a El Paìs, ha testualmente dichiarato: «Noi non vogliamo che la Catalogna vada via dalla Spagna. Tuttavia, pensiamo che i catalani abbiano il diritto di decidere autonomamente su quale dovrà essere la relazione giuridica tra Spagna e Catalogna». La sua convinzione, in ogni caso, è che i catalani, più che di Madrid vogliano sbarazzarsi di Rajoy e di tutto il ceto politico che ha finora ha governato la Spagna. «Se vinceremo noi le prossime elezioni saranno molti di più i catalani che vorranno rimanere in Spagna», è la sua conclusione.

Nelle ultime ore di campagna elettorale, come se non bastassero tutti gli argomenti pro o contro la secessione già sviscerati, ha fatto capolino nel dibattito pubblico anche il pallone. Cinque giorni or sono, infatti, il presidente della Liga Javier Tebas ha dichiarato: «Se si spacca la Spagna, si spacca la Liga. Speriamo di non giungere mai a questa assurdità». Cos’ha voluto dire? Che nel caso di indipendenza della Catalogna, il Barça e l’Espanyol, le due squadre di calcio di Barcellona, sarebbero fuori dal massimo campionato di calcio Spagnolo. Dopo la minaccia di espulsione dall’Unione Europea, è stata l’ultima arma utilizzata da Madrid per convincere i catalani a non seguire Artur Mas e gli indipendentisti nella loro avventura. Il calcio per gli spagnoli è una passione forte, si sa. Fuori dalla Liga, e magari anche dalla Champions league, del Barcellona rimarrebbe solo il ricordo dell’antico blasone. Qualche tifoso prima di recarsi al seggio, c’è da giurarci, ci penserà un po’ sopra.

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