Le figure di due leader spiccano e prendono forma nella crisi dei profughi che sta letteralmente attraversando l’Europa: la Cancelliera Angela Merkel e papa Francesco. Nessuno dei due, va detto, possiede la chiave per risolvere in modo taumaturgico il problema. Eppure, ripetono entrambi, non si può venir meno a un principio elementare di umanità di fronte alle ondate di gente in fuga. Siamo di fronte a un approccio realistico che descrive al contempo una scala di valori necessari; si tratta di una impostazione che restituisce al vecchio continente responsabilità e senso del diritto senza nascondere le difficoltà del momento. Il messaggio che arriva da Merkel e Bergoglio è insomma il contrario del populismo. Lo scompagina anzi, lo manda a gambe all’aria. I principi universali, dicono i due leader, si fondano su scelte a volte complicate, che richiedono un sforzo collettivo, tale da evitare guerre e conflitti e ricostruire ponti fra i popoli, aiutando chi soffre di più.
L’iniziativa tedesca mostra di conseguenza come la misura fosse davvero colma nei confronti di quei leader autoritari e nazionalisti che avevano preso in ostaggio il destino del vecchio continente
Così quando la Cancelliera rivendica la forza e la tranquillità della Germania, torna alle radici della costruzione europea del dopoguerra, riprende la guida politica del vecchio continente drammaticamente a corto di leadership, porta definitivamente il suo Paese fuori dalla marginalità politica cui era stato relegato, dalla fine del secondo conflitto mondiale in forza delle tremende colpe di cui si era macchiata la Germania nazista. L’iniziativa tedesca mostra di conseguenza come la misura fosse davvero colma nei confronti di quei leader autoritari e nazionalisti che avevano preso in ostaggio il destino del vecchio continente, nonché verso le manifestazioni xenofobe berlinesi.
In questo quadro non può essere dimenticato che l’Ungheria, lungo le cui frontiere dovrebbe sorgere il nuovo muro europeo (anti-immigrati stavolta) dopo quello di Berlino, è il Paese che guida la svolta nazionalista e autoritaria in Europa. L’Ue si è rivelata incapace di isolare il governo di Budapest. Quest’ultimo, senza badare minimamente alle lettere di biasimo provenienti della Commissione europea,ha varato una Costituzione che faceva a pezzi la tradizionale divisione liberale fra poteri alla base di ogni democrazia, che limitava le prerogative del Parlamento e della corte Costituzionale, che favoriva la concentrazione di potere nelle mani di un uomo solo, cioè del capo del governo e del partito nazionalista Fidesz Viktor Orban.
Le minoranze religiose ed etniche venivano guardate con sospetto, il partito di estrema destra Jobbik alimentava il razzismo contro ebrei e rom, la libertà d’informazione veniva attaccata. Nella nuova Carta fondamentale si richiamano inoltre le radici cristiane del Paese, la Sacra corona di Re Stefano, come fondamento dell’identità nazionale; infine si fa riferimento a una sorta di spazio vitale ungherese, in base all’esistenza di minoranze magiare nei Paesi confinanti. Così se gli indici della crescita economica continuano a soddisfare Orban, quelli democratici precipitano nella sostanziale inerzia dell’Europa. Fenomeni simili – anche se in misura non equivalente – si sono registrati in Slovacchia e in parte anche in Polonia e in Romania dove antigitanismo antisemitismo e xenofobia si sono di volta in volta saldati.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
È dunque pure guardando al processo che si era innescato nell’est europeo – un’area cui la Germania è legata economicamente – che Angela Merkel ha deciso di rompere gli indugi, prima cioè che «costruiamo il muro» diventasse la parola d’ordine di un’Europa travolta dai fenomeni populisti, dalla crisi economica e dall’incapacità di intervenire attivamente sui grandi scenari del mondo. C’è inoltre, in questa reazione tedesca, un sussulto non secondario di memoria storica, l’eco di un passato non tanto lontano la cui lezione non deve andare smarrita: l’Ungheria del maresciallo Horty, che governò il Paese dal 1920 al 1944, fu un regime nazionalista e antisemita alleato della Germania e dell’Italia fascista, dal 1944 alla fine della guerra infine, un esecutivo fantoccio sostenuto dai nazisti partecipò all’ultima fase delle deportazioni degli ebrei. Insomma la storia di quel pezzo di Europa aggrumata fra dittature, regimi e cambiamenti, era lì come un monito, e quel monito alla fine è stato ascoltato.
La riaffermazione del principio del diritto d’asilo – sia pure ancora parziale e in fieri da parte della Germania – la presa in carico di un problema gigantesco da parte di alcuni dei Paesi chiave nella storia dell’Unione, rappresentano un primo passo per uscire da una crisi drammatica e rimettere mano a quel processo di costruzione di un’Unione politica di cui così gravemente si sente la mancanza. Infine la posizione assunta della Germania è diventata un riferimento per tutti quegli europei, ungheresi compresi, che chiedevano altre scelte e altri comportamenti ai propri governi rispetto ai muri, alle braccia marchiate a pennarello, ai morti per mare. Il passo successivo – e non da poco – sarebbe quello di un rilancio diplomatico e umanitario verso l’altra sponda del Mediterraneo, ma forse questo è chiedere già troppo.
L’altro grande protagonista di questi mesi è certamente papa Francesco. È stato infatti Bergoglio l’argentino, il figlio di immigrati italiani, a dire fin dall’inizio del suo pontificato che qualsiasi problema economico o sociale, pure comprensibile, non poteva costituire una scusa valida per lasciare morire in mare chi fuggiva da guerre, persecuzioni, torture. Non era dunque per mancanza di realismo che bisognava “accogliere”, ma per non venire meno a quei diritti umani fondamentali che sono alla base della convivenza fra popoli.
«Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia di profughi, incominciando dalla mia diocesi di Roma»
Una scelta decisiva quella di Bergoglio, ripetuta incessantemente in questi due anni e mezzo di pontificato, ignorando anche i mugugni interni, fino all’angelus di ieri quando un appello eccezionale è partito da Piazza San Pietro: «Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita – ha affermato Francesco – il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere ‘prossimi’, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta». «Pertanto – aggiungeva – in prossimità del Giubileo della misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma». Uno sforzo particolare Francesco chiedeva ai vescovi europei. Già molti di essi si sono infatti mobilitati, diverse diocesi hanno trovato posti, stanno accogliendo i profughi all’interno di strutture ecclesiali; un movimento di solidarietà è così iniziato nel vecchio continente, ai tanti cittadini già disposti a dare una mano, si affiancano sempre di più le chiese, le associazioni, la Caritas.
Anche in questo caso però c’è una lettura politica e sociale delle indicazioni date dal papa. La mobilitazione in atto nel mondo cattolico, ha di fatto cancellato un lungo, sterile e ideologico dibattito sulle radici cristiane dell’Europa; il cristianesimo è invece ridiventato “naturalmente” parte attiva di questa storia collettiva a partire da quel messaggio di fratellanza rilanciata da papa Francesco a partire dalla visita Lampedusa in poi. E anche in questo caso l’Ungheria della Costituzione cristiana, un Paese a maggioranza cattolico, che nella propria Carta ha inserito pure la difesa della vita a partire dal suo concepimento, quell’Ungheria che in virtù di tali scelte era tanto piaciuta a molti cattolici integralisti di casa nostra, si colloca all’antitesi rispetto al magistero del Pontefice.
Berlino e la Santa Sede dicono, in modi diversi, che i fenomeni migratori in atto non si governano con la xenofobia, il razzismo, la paura, le scelte autoritarie
È in questo incredibile e tumultuoso passaggio storico, allora, che il cattolicesimo del Vaticano II, dei fondatori cristiani della comunità europea, ritrovano grazie anche a papa Francesco, un posto nel non facile cammino dell’Europa contemporanea. Berlino e la Santa Sede dicono, in modi diversi, che i fenomeni migratori in atto non si governano con la xenofobia, il razzismo, la paura, le scelte autoritarie. Al contrario una solidarietà ragionata, la capacità di gestire processi imponenti come quello in corso, la costruzione di ponti, il rispetto della condizione umana più disperata, disarmano i fondamentalisti e sono il primo antidoto ai conflitti e ai populismi che sfociano nella reazione. Resta da vedere poi, fino dove arriverà la svolta, ancora molto fragile, appena iniziata in questi giorni, un cammino nuovo è forse iniziato.