Pizza ConnectionQuando è la mafia a volere la «secessione»

Dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi le mafie hanno sempre avuto un certo interesse per i partiti indipendentisti italiani

Una passione per la revisione dell’articolo 5 della Costituzione, nel senso che non si vorrebbe una Repubblica “una e indivisibile”, oltre ai partiti cosiddetti autonomisti, ce l’ha anche la mafia. Non è una novità, e la storia necessita di richiami, soprattutto perché a ogni scossa tellurica del potere nostrano corrispondono altrettante scosse del potere criminale, che ha sempre seguito con interesse le spinte autonomiste, e di certo non da oggi. Già nel corso della seconda guerra mondiale l’indipendentismo siciliano ha spostato l’ago della bilancia da una parte all’altra negli equilibri del conflitto. Lo ricorda bene Alfio Caruso nel suo libro edito da Longanesi “Quando la Sicilia fece guerra all’Italia”.

Centrale fu il ruolo del Mis di Andrea Finocchiaro Aprile, già sottosegretario alla guerra e alle finanze nei governi Nitti a cavallo tra il 1919 e il 1920. Nel ’43 il Mis però non ebbe più seguito alle elezioni non riuscendo a conquistare un seggio, e i mafiosi? «Quelli sono amici da tenersi cari», risponde Caruso, così la storia continua e la mafia siciliana, che solo vent’anni dopo il primo conflitto mondiale verrà ribattezzata dal primo pentito d’oltreoceano Joseph Valachi come “Cosa Nostra”, si muove per consolidare il potere criminale nella Sicilia della guerra tra la “mafia dei cantieri” e quella “dei giardini”.

Il cuore batte fortemente a destra, tanto che cosa nostra sarà uno dei soggetti interpellati daJunio Valerio Borgheseper il tentato golpe. Anche da questa parte dello stretto, in Calabria il cuore della ‘ndrangheta è nero: Paolo Romeo, personaggio che ci porterà dritti agli anni ’90, è l’intermediario tra Borghese e il clan dei De Stefano, proprio in vista del golpe. I De Stefano sono oggi nella “trimurti” che comanda Reggio Calabria insieme ai Tegano e ai Libri. Romeo, i De Stefano e cosa nostra non sono nomi banali nell’apprezzamento che le mafie hanno riguardo le spinte autonomiste, che permetterebbero alle stesse di mettere mano indisturbata su affari e appalti al sud. Non sorprende ritrovare i fili annodati di un movimento come la Lega Nord con quelli della‘ndrangheta quando prende il via l’inchiesta “Breakfast” della procura di Reggio Calabria e arriva all’arresto dell’ex tesoriere del partito Francesco Belsito, ricostruendo una vicenda di fondi neri e diamanti. I soldi non hanno colore, e le mafie difficilmente ne hanno uno, così quel Paolo Romeo lo ritroviamo in un’altra indagine archiviata nel 2001 dalla procura di Palermo: “Sistemi Criminali”.

Non sorprende ritrovare i fili annodati di un movimento come la Lega Nord con quelli della ‘ndrangheta

Tra gli indagati ci sono 14 personaggi di spessore: Licio Gelli, Stefano Menicacci, Stefano Delle Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Salvatore Riina, Giuseppe e Filippo Graviano Nitto Santapaola, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Paolo Romeo e Giuseppe Mandalari, tutti indagati, si legge nel capo di imputazione «per avere, con condotte causali diverse ma convergenti verso l’identico fine, promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione, promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di Cosa Nostra, ed avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare, mediante le predette attività, le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia, anche al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra e di altre associazioni di tipo mafioso ad essa collegate sui territori delle regioni meridionali del Paese». Un progetto che nella ricostruzione degli inquirenti tra il 1990 e il 1991 subì una accelerazione repentina in prossimità della decisione della Corte di cassazione sul maxipreocesso.

L’approdo naturale del progetto politico svelato dall’inchiesta “Sistemi Criminali” era «la trasformazione dello Stato unitario in una nuova “forma Stato” che contemplava la rottura dell’unità nazionale, la divisione dell’Italia in più stati o macroregioni e, comunque, la secessione della Sicilia»

L’approdo naturale del progetto politico era «latrasformazione dello Stato unitario in una nuova “forma Stato” che contemplava la rottura dell’unità nazionale, la divisione dell’Italia in più stati o macroregioni e, comunque, la secessione della Sicilia». Da qui il proposito di creare varie leghe meridionali che si sarebbero poi interfacciate con l’astro nascente della Lega Nord. Tutto archiviato, troppo pochi gli elementi raccolti dalla procura e fu lo stesso procurato Roberto Scarpinato (oggi procuratore generale a Palermo) a chiedere l’archiviazione nel 2001. Quella di sistemi criminali rimane per gli investigatori una «intuizione realistica» che mancava però di due punti fondamentali e oggi non trascurabili: i fatti attorno all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti (un favore della malavita calabrese a Cosa nostra, che contribuì a puntare tutta l’attenzione verso la criminalità siciliana) e la presa di coscienza della potenza e delle entrature della ‘ndrangheta nei gangli criminali e di tutto quel groviglio fatto di politica, imprenditoria, massoneria, servizi segreti che giocano per l’antistato e mafia.

Già nel 1993 un altro collaboratore di giustizia, Tullio Cannelladichiarava ai pubblici ministeri di aver saputo da Vito Ciancimino che la vera massoneria era in Calabria, perché i calabresi hanno appoggi dei servizi segreti. «A Lamezia Terme – raccontava Cannella – si tenne la riunione con esponenti di “Sicilia Libera”, altri movimenti separatisti meridionali, ed esponenti della Lega Nord». La stessa Sicilia Libera che si affacciò anche nelle indagini palermitane su Marcello Dell’Utri. Il progetto però abortì, il “compaesano”, aveva un altro partito da far nascere e votare, anche a chi progettava Sicilia Libera.