A Ferrara, all’incontro annuale della Società Italiana di Economia Pubblica (SIEP), si è tenuto un dibattito sulla spending review, a cui hanno partecipato quelli che l’hanno fatta – o provato a farla – nel nostro più recente passato: da Carlo Cottarelli, commissario nominato da Enrico Letta, a Piero Giarda, ministro del governo Monti e incaricato di occuparsene insieme con Enrico Bondi, fino a Domenico Siniscalco, ministro dell’economia nel governo Berlusconi tra il 2004 e il 2005. Il dibattito è stato moderato – ma anche sollecitato nei suoi aspetti tecnici e politici da Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera.
Molti temi sono stati affrontati, sempre nell’ottica di un processo – quello della revisione della spesa pubblica – che tipicamente parte da esigenze di equilibrio macroeconomico ma non può che riguardare le scelte microeconomiche all’interno della pubblica amministrazione: si tratta infatti di ricercare le soluzioni più efficienti, capaci di tagliare “i rami secchi” ed eliminare gli sprechi badando a toccare nella maniera minore possibile il cosiddetto “stato sociale”, cioè le spese per istruzione, sanità, pensioni e lotta alla disoccupazione.
Come ben sottolineato da Cottarelli, gli avversari potenziali della spending review sono tutti coloro che beneficiano della spesa stessa, per cui è eroico immaginarsi che i fornitori di beni allo Stato a un prezzo eccessivo decidano di festeggiare i tagli al prezzo stesso. Secondo Cottarelli, il modo più sensato per attuare unarevisione della spesa consiste nel “fare confronti”, cioè evidenziare aree geografiche, settori dell’amministrazione in cui si spende più che in aree e settori comparabili.
Nel definire che cosa deve entrare nel processo di revisione della spesa si sono contrapposte a Ferrara la visione “massimalista” di Cottarelli, a parere del quale tutte le spese di welfare – e in particolare sanità e pensioni – debbano entrare nel perimetro della “spending”, e dall’altro la visione minimalista di Piero Giarda, secondo cui bisogna soprattutto occuparsi di ciò che non è spesa di welfare e dunque sanità e pensioni non sono parte delle aree da analizzare e su cui intervenire. Dal momento che alcuni beni e trasferimenti non possono che provenire dallo Stato, secondoGiarda è buona cosa provare affetto per la spesa pubblica, in quanto fornisce risposte ai bisogni fondamentali dei cittadini.
Un aspetto paradossale – sottolineato dallo stesso Polito – è che la revisione della spesa attuata dal governo Monti con Giarda e Bondi è ad oggi la più incisiva per il nostro paese (quasi 14 miliardi di risparmi realizzati), senza contare l’intervento epocale e necessario sulla spesa pensionistica. Ciò è stato rimarcato dal massimalista Cottarelli, il quale ha anche ricordato come dei suoi 12 miliardi di risparmi preventivati ne siano stati realizzati soltanto 8, a motivo di 4 miliardi di spesa aggiuntiva avvenuta nel frattempo. Dunque, secondo Cottarelli, il teoricamente minimalista Giarda costituisce l’esempio di una spending review decisa, mentre – a una domanda un po’ maliziosa di Polito – i risultati ottenuti dai suoi immediati successori Gutgeld e Perotti non sono ancora visibili, ma saranno giudicati sulla base di ciò che sarà incluso nella prossima Legge di Stabilità.
Domenico Siniscalco ha enfatizzato con forza la spinta macroeconomica a rivedere la spesa, a motivo del livello elevato di debito pubblico per il nostro paese, creatosi negli anni a motivo di una sequenza prolungata di deficit, cioè di spese superiori alle entrate, e didisavanzi primari, cioè di spese diverse dalla spesa per interessi superiori alle entrate. Nel momento in cui lo spread dei nostri titoli di stato evidenziava il rischio di bancarotta per il paese, cioè di impossibilità di trovare acquirenti per i titoli di stato stessi da rinnovare, secondo Siniscalco, l’intervento estremo da parte del governo Monti è stato del tutto giustificabile. Un tema interessante sollevato da Siniscalco è quello dei tanto vituperati tagli lineari: a suo parere i tagli lineari hanno il vantaggio di essereimplementabili più velocemente in un momento di emergenza e – in fin dei conti – sono più digeribili dal punto di vista politico, perché espongono a un minor rischio di sollevazioni e veti da parte del singolo ministro, che “alzerebbe le barricate” qualora tagli non lineari lo vedessero più sacrificato di altri ministeri con capacità di spesa.
Siniscalco ha direttamente invitato i giovani economisti pubblici italiani a studiare la cosiddetta political economy della spending review, cioè i meccanismi più efficaci nel renderla politicamente possibile. A lui ha fatto eco Giarda, che ha ricordato come – nel suo avamposto di ministro per i rapporti con il Parlamento – nel difendere il decreto SalvaItalia da emendamenti che lo snaturassero egli abbia accettato più volte altri emendamenti che rendevano più facile la conversione finale in legge del decreto stesso. Con una piccola dose di compiacimento Giarda ha menzionato il fatto che Monti fosse contrario a quegli emendamenti poi fatti passare.
A voler essere filosofici si tratta di distinguere la sostanza di una manovra di riduzione della spesa dagli accidenti politici che la circondano. A volte la sostanza della manovra è stata fortemente snaturata da interventi politici successivi. Il caso più eclatante rammentato da Giarda è quello della riforma Dini delle pensioni del 1995, a cui aveva partecipato come sottosegretario al Tesoro ed estensore della parte economica: in una notte l’applicazione del metodo di calcolo contributivo a tutti i lavoratori per i periodi futuri fu pesantemente ridimensionato a motivo di pressioni sindacali, con il risultato finale di un’applicazione del principio solo per chi avesse meno di 18 anni di contributi pagati, e il mantenimento del più generoso calcolo retributivo per chi avevapiù di 18 anni di contribuzione. Poche scelte di finanza pubblica sono state più costose per i nostri conti.
L’attuale governo e gli attuali commissari per la spending review hanno naturalmente avuto numerosi motivi per sentire le orecchie fischiare durante questa corposa tavola rotonda: l’ultimo fischio lo hanno ricevuto sempre da Giarda, che ricordava l’eterno ritorno dell’idea costosa dei prepensionamenti. Ma avremo presto una verifica sulle intenzioni del governo: se – come amano dire gli inglesi – la prova del pudding sta nel mangiarlo, nel nostro caso la prova della spending sta nel metterla in pratica con la Legge di Stabilità.