TaccolaAltro che crescita, le previsioni del Fondo monetario per noi sono una condanna

Il calo delle materie prime è diventato un crollo. Con tutti i nostri mercati in difficoltà, c’è poco da festeggiare per uno zero virgola di crescita

Altro che fanfare, per l’aumento di un decimale sulle previsioni del Pil 2015: le previsioni del World Economic Outlook del Fondo Monetario internazionale dicono che il mondo sta diventando un posto cupo per le imprese italiane: azzoppamento dei mercati emergenti, rebus Cina e spada di Damocle dei tassi di interessi Usa sono nuvole nere che si sono avvicinate sempre di più. E sulle quali, spiega l’economista Paolo Manasse, professore del dipartimento di Scienze economiche, sono stati chiusi troppo gli occhi, nell’illusione che il peggio, per l’economia mondiale, fosse alle spalle.

Professore, ha fatto notizia il rallentamento dell’economia mondiale previsto dal Fondo Monetario Internazionale nei giorni scorsi. Ma non era una facile previsione, alla luce quello che si è visto negli scorsi mesi?

C’è stata un’evoluzione da una serie precedente di coincidenze positive, che poi non si sono dimostrate tali da rendere la crescita duratura. Il Quantitative easing e il calo delle materie prime sembrava avrebbero aiutato l’economia mondiale. Ma si è visto che quella delle materie prime è diventata una caduta e sta danneggiando più del previsto i Paesi esportatori. Si è visto che in Cina la crescita del credito era insostenibile. Era ragionevole pensare che questi sviluppi negativi avrebbero avuto effetti sulla crescita. Si era dipinto un quadro troppo ottimista, pensando che i problemi si sarebbero risolti, che non ci sarebbero più state nubi all’orizzonte. Le nubi c’erano , ma sono state trascurate. Ora si è preso atto che queste nuvole hanno prodotto conseguenze che erano abbastanza prevedibili.

Si era dipinto un quadro troppo ottimista, pensando che i problemi si sarebbero risolti, che non ci sarebbero più state nubi all’orizzonte


Palo Manasse

La prima fonte di preoccupazione del Fmi è il deprezzamento del costo delle materie prime. Il problema è che non c’è un calo, ma c’è un crollo, e l’Fmi dice che i prezzi possono continuare a scendere. C’è da aspettarsi un cambiamento di rotta?

Se uno guarda i dati di produzione delle materie prime e dei prodotti come l’acciaio, vede che c’è un eccesso di produzione che richiederà anni per essere smaltita. Dal lato dell’offerta c’è un eccesso destinato a rimanere nei prossimi anni. La cosa da sperare è che ci sia una ripresa della domanda globale. Prezzi così bassi operano un trasferimento di risorse dai Paesi esportati ai Paesi importatori. Questo a livello di crescita mondiale non ha effetti positivi perché i Paesi che crescono più velocemente sono i Paesi in via di sviluppo, quasi per definizione.

Poi c’è la Cina: finora il rallentamento rientra nelle previsioni dello stesso governo cinese, ed è dovuto al cambio di strategia nel passaggio da Paese fortemente esportatore ad economia di servizi. I Paesi confinanti stanno però rallentando più del previsto. La situazione è sotto controllo?

Bisogna partire dal confronto tra l’espansione del credito in Cina negli ultimi due anni e quelle che hanno preceduto la crisi dei subprime negli Usa e il crollo del mercato di Tokyo negli anni Novanta. In questo caso la crescita è stata molto superiore. Oggi la Cina sta vivendo le conseguenze di un boom del credito che inevitabilmente porta all’iperinflazione dei prezzi delle attività finanziarie, con bolle speculative che hanno ricadute molto pesanti. Quello che vediamo è causa di una condotta molto sbagliata della politica monetaria. L’iniezione di liquidità sembra oggi sotto controllo e quindi c’è da sperare che gran parte delle conseguenze dello scoppio della bolla sia alle spalle. Ma qualche punto interrogativo rimane. Non tanto sui fondamentali, ma sulla policy: i recenti tentativi maldestri di forzare le banche di Stato a sostenere in maniera artificiale i corsi delle azioni hanno dimostrato una certa ingenuità, anche dal punto di vista tecnico, nella gestione delle crisi da parte della Banca di Cina.

«Quello che vediamo oggi in Cina è causa di una condotta molto sbagliata della politica monetaria e per il futuro i dubbi, più che sui fondamentali, riguardano le prossime mosse della Banca centrale cinese»

L’altro timore riguarda il rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti, e in particolare gli effetti che un apprezzamento del dollaro avrebbe sui Paesi che hanno il proprio debito pubblico in dollari. È un problema inevitabile, visto che sembra certo un aumento dei tassi entro dicembre da parte della Fed?

Credo che il problema delle conseguenze sui Paesi emergenti dipenda molto da quegli stessi Paesi. Il rialzo dei tassi sarà verosimilmente molto lento e non mi aspetto che il costo del debito cresca in modo tale da aggravare da un giorno all’altro la loro situazione. Però ci sono dei problemi psicologici: se il Brasile ha una serie di difficoltà di carattere politico e fiscale ed è esportatore di materie prime, se si somma anche l’aumento del costo del debito si potrebbe creare una sfiducia e una fuga da questi Paesi, con aumenti importanti del costo del debito. Le conseguenze indirette di un piccolo innesco potrebbero essere molto gravi.

«L’aumento dei tassi americani avrebbe piccole conseguenze dirette per i Paesi indebitati in dollari. Ma le conseguenze indirette potrebbero essere molto gravi»

Quello che viene dal Fondo monetario sembra un invito implicito agli Stati Uniti a non alzare i tassi. Un altro messaggio, piuttosto esplicito, è quello che chiede ai Paesi emergenti di non dare vita a una guerra monetaria. L’Fmi è preoccupato anche perché svalutare potrebbe essere una soluzione logica per i Paesi emergenti in difficoltà.

Questo appello del Fondo è un suggerimento alla Fed di tenere conto non solo della situazione americana ma anche di quella globale, perché le conseguenze si sentirebbero in tutto il mondo. Questo vale anche per i possibili rischi di svalutazioni competitive che si verrebbero a creare quando il dollaro si dovesse apprezzare e molti Paesi cercassero una strada veloce per reagire, attraverso svalutazioni.

I trattati di libero scambio tra gli Usa e l’Asia e tra gli Usa e l’Europa sono un terreno di scontro sotto traccia molto forte, di cui è difficile prevedere l’esito

Le previsioni rimangono di maggiore ottimismo per gli Stati Uniti e l’Europa. Non c’è però il rischio che sia minato da una guerra commerciale tra gli Usa e l’Europa,? Quella “trade war” di cui potrebbero essere segnali sia il caso Dieselgate – tirato fuori dall’ente per la protezione ambiente americano – sia la sentenza della Corte europea sulla privacy, che colpisce soprattutto i big di Internet americani.

Non credo che ci sia una guerra commerciale. Sono fatti che sono avvenuti a poche settimane uno dall’altro, quindi si prestano a questa interpretazione. Non so però se sia quella giusta, perché presuppone che l’ente di protezione ambientale americano sia sotto controllo del governo in maniera stretta e che agisca di conseguenza. Oppure che la Corte di giustizia europea esegua delle direttive politiche molto precise. Io su questo ho molti dubbi: sono più propenso a pensare che sia una serie di fatti abbastanza casuali. La Corte di giustizia europea riflette più una mentalità burocratica e una difficoltà all’adeguarsi agli sviluppi della tecnologia che un’azione teleguidata dalla politica.

Il Ttp e il Ttip aumentano le tensioni e l’instabilità delle economie mondiali? La presa di posizione di Hillary Clinton contro il Ttp può essere il primo di una serie di battaglie che nei vari Stati si scateneranno contro i trattati.

Sì, perché in questi trattati c’è un numero di attori difficile da conoscere e queste trattative riflettono le pressioni di lobby di diversi settori nei diversi Paesi. Intese ragionevoli vengono distorte per favorire alcuni settori o per porli al riparo dalla concorrenza internazionale. Credo che sia un terreno di scontro sotto traccia molto forte, di cui è difficile prevedere l’esito. In questi trattati il diavolo si annida nei dettagli, difficili da cogliere anche dagli specialisti. Sicuramente è una fonte molto grossa di scontro tra molti attori.

Sull’Italia i giornali hanno sottolineato soprattutto l’aumento del Pil nelle previsioni dell’Fmi, di uno zero virgola uno rispetto alle stime precedenti. Però i problemi all’orizzonte sono giganteschi. Lo stesso Renzi ha detto: un calo del petrolio è una buona notizia, un crollo è un disastro.

Sono d’accordo. Sembra che molti giornali sposando questi toni entusiastici abbiano confuso il fatto che c’è una revisione verso l’alto, anche se piccola, con la crescita stessa. È vero che le nostre sono state riviste al rialzo e che quelle di Germania e Spagna sono state riviste al ribasso. Ma ciò non toglie che dal 2008 l’Italia cresce molto meno degli altri Paesi, e anche oggi questo continua. Io lo trovo un eccesso di ottimismo. I consumi hanno dato i primi segnali positivi, ma sono i primi che si registrano dal 2008. Questa crescita inoltre è fortemente trainata dalle esportazioni e questo ci rende più esposti al rallentamento dell’economia mondiale.

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