Nell’ultima puntata di Piazzapulita, Corrado Formigli ha mandato in onda un dibattito da addetti ai lavori, necessario per la tenuta democratica di questo Paese ma sostanzialmente, profondamente, irrimediabilmente noioso.
Partendo dal caso De Magistris, assolto in appello con extra ritardo rispetto all’avvio del procedimento giudiziario nei suoi confronti, conduttore e ospiti si sono lungamente interrogati sulla giustezza o meno della legge Severino che impone ai politici le dimissioni dopo la condanna in primo grado di giudizio.
Non soltanto. Formigli ha invitato gli ospiti a giudicare se occorra dimettersi sempre, mai o in quali casi, quando giunga un avviso di garanzia, o scoppi un caso di natura mediatica ma con ‘richiamo’ a un possibile fascicolo aperto da questa o quella procura.
Con una certa sfacciataggine – considerato il suo passato e le ragioni che diedero origine al procedimento giudiziario nei suoi confronti, ovvero un altro procedimento giudiziario da lui stesso avviato in qualità di pubblico ministero – l’attuale sindaco di Napoli gridava all’ingiustizia del sistema: «Se non mi fossi opposto all’attuazione della Severino e mi fossi dimesso, ora sarei decaduto da sindaco e fuori tempo massimo sarei stato ritenuto innocente. La conseguenza sarebbe stato un vulnus democratico di cui la mia città avrebbe pagato le conseguenze». Questo, per sommi capi, il ragionamento dell’uomo passato con grande disinvoltura dalle arringhe ai comizi.
L’elenco delle persone comuni processate in tv e sui giornali e assolte in tribunale è sterminato, ma nell’autoreferenziale mondo dell’informazione la misura non è ancora colma per fermarsi un momento e chiedere scusa
Il ragionamento di De Magistris non è naturalmente caduto nel vuoto. Un campione delle notizie di reato come il direttore del FattoQuotidiano.it, Peter Gomez, ha tentato un doppio passo giustizialista sui politici, mascherato da garantismo: «Si dovrebbero ipotizzare processi più rapidi per i politici, cosicché trascorra poco tempo tra gli avvisi di garanzia e l’accertamento delle responsabilità».
Come non convenire con Maria Teresa Meli che, all’istante, ha sottolineato la bizzarria di una simile proposta? «Facendo in questo modo, avremmo due ‘giustizie’, una lenta per le persone comuni e una iper veloce per i politici e invece la giustizia deve essere uguale per tutti». Tutto vero, tutto giusto, brava Meli.
A nessuno è tuttavia venuto in mente, a Piazzapulita, che per evitare il massacro massmediatico, le dimissioni ingiuste e ingiustificate, le crocifissioni anzitempo e quant’altro, basterebbe semplicemente un più corretto e rigoroso modo di fare informazione. Più rispettoso della verità, meno scandalistico, meno ossessivamente alla ricerca dello scoop, più equilibrato nel riferire le posizioni di accusa e difesa e meno interessato a indignare il proprio pubblico con accuse mirabolanti che quasi mai trovano riscontro in un sereno e approfondito accertamento dei fatti.
L’elenco delle persone comuni processate in tv e sui giornali e assolte in tribunale è sterminato, ma nell’autoreferenziale mondo dell’informazione la misura non è ancora colma per fermarsi un momento e chiedere scusa.
Andrea Camaiora Giornalista, esperto in litigation pr