ConsumiLa biodiversità del vino italiano? Se non si sa raccontare ammazza le vendite

Abbiamo raggiunto il primato della produzione, ma i prezzi medi del vino italiano sono molto più bassi di quelli francesi o californiani

Il problema del vino italiano? Il marketing. Perché sulla parte agricola ed enologica siamo sempre più bravi, probabilmente i più bravi Niente di rivoluzionario, per carità, ma quando oltre alle sensazioni ci sono i numeri, è il momento di darsi da fare, seriamente. Le cifre sono quelle del Wine Management Lab della Sda Bocconi, illustrate nel corso di un convegno a Milano. Onore al team guidato del professor Andrea Rea, esperto di marketing del vino e docente alla Sapienza di Roma: da dieci anni raccoglie informazioni per esaminare ogni aspetto della filiera italiana del vino, mettendo alla luce quei punti deboli che ci impediscono di volare sui mercati. Più di quanto si faccia attualmente, nonostante la qualità generale del prodotto.

«Le imprese italiane del vino non riescono a esprimere in campo manageriale, e non solo nel marketing, lo stesso livello di competenza che hanno acquisito sui fronti agricolo ed enologico»


Andrea REa, Wine Lab Bocconi

In sostanza, il Paese mostra ancora gli stessi problemi rilevati nelle ricerche condotte sempre dal Wine lab Bocconi nel 2004 e nel 2010: debolezze dimensionali e di competenza. Lo spiega lo stesso Rea: «Le imprese italiane del vino non riescono a esprimere in campo manageriale, e non solo nel marketing, lo stesso livello di competenza che hanno acquisito sui fronti agricolo ed enologico». Ed ecco puntuali i numeri: con 48,9 milioni di ettolitri, l’annata 2015 dovrebbe dare all’Italia il primato mondiale nella produzione di vino. Le prime stime della Commissione europea segnalano un calo dei francesi pari all’1% a 46,5 milioni di ettolitri. Terza la Spagna con 36,6 milioni di ettolitri (-5%). Complessivamente in Europa si produrranno 163,8 milioni di ettolitri (+0,3% sul 2014): +0,9% per le produzioni Dop e Igp (pari a 106 milioni di hl), forte calo (-33%) per i vini senza Dop o Igp a 5,4 milioni di hl., mentre sale del +4,6% (a 52,5 milioni di hl) la voce altri vini e mosti.

Se l’Italia batte la Francia per quanto riguarda i volumi, la musica è completamente diversa se si parla di valori del vino

Ma se l’Italia batte la Francia per quanto riguarda i volumi, la musica è completamente diversa se si parla di valori del vino. Il Wine Lab della Sda Bocconi ha confrontato i prezzi medi dei vini tra i principali competitor sul mercato globale. Ebbene, sulla base dei dati del primo semestre 2015, il prezzo medio dei vini italiani è di 3,63 dollari, al di sotto della percezione di qualità, sia rispetto ai francesi (5,46 dollari) sia rispetto a californiani (5,42 dollari) e australiani (3,93 dollari). Dietro l’Italia ci sono Spagna e Cile con 2,22 dollari e 3,16 dollari per litro di vino. Perché? Per la varietà, anche se la cosa può sembrare paradossale. Se la buona qualità media, la facilità di beva e il fascino dell’italian style (sottolineato nell’indagine condotta con l’Ice sentendo gli operatori professionali) restano i punti di forza, l’eccessiva ricchezza della nostra enologia viene considerata un freno. «Lo so che per i nostri consumatori è un vantaggio, una cosa bellissima – spiega Rea – però quando la proponi all’estero è difficile da comprendere, da memorizzare e quindi da scegliere».

Il prezzo medio dei vini italiani è di 3,63 dollari, al di sotto della percezione di qualità, sia rispetto ai francesi (5,46 dollari) sia rispetto a californiani (5,42 dollari) e australiani (3,93 dollari)

Per la cronaca, fuori confine i vini più rappresentativi risultano nell’ordine Chianti, Barolo, Pinot grigio e Prosecco, poi Brunello e Lambrusco. «L’immagine del nostro vino all’estero è polarizzata tra due estremi – continua il professore – vedi Barolo e Prosecco. Una polarizzazione “mediatica” in contrasto con l’evoluzione dei mercati che sembra continuare a privilegiare, anche nel food and beverage, i prodotti di lusso o quelli di grande convenienza. Pensiamo ai concorrenti francesi, che hanno conquistato il mondo con due soli vini d’élite come Champagne e Bordeaux. Ora guidano la classifica dell’export a valore». Non bastasse, c’è la presenza sul mercato di troppe marche, che talvolta si sovrappongono l’una sull’altra con effetti cannibalizzanti.

I francesi hanno conquistato il mondo con due soli vini d’élite come Champagne e Bordeaux. Noi siamo penalizzati dall’eccessiva varietà

Per il Wine Lab della Sda Bocconi, in Italia si può parlare di una vera e propria “esplosione di marche”: il brand Italia (inteso come life style), i territori (Dop, Igp, vitigni, tipologie di vino come Brunello o Amarone), le marche aziendali e quelle relative al prodotto. Troppa carne al fuoco. «Per questo motivo è necessario – sostiene Rea – che il mondo del vino trovi una sintesi, un modello di marketing che faccia leva sull’italian style, ma senza perdere valore, riuscendo a coniugare marche aziendali e marche collettive, come ad esempio il brand Italia e i territori, rendendo queste complementari e non antagoniste». Il messaggio per le cantine è, quindi, quello di proporre i vini con più semplicità e più innovazione, cercando di uscire dall’aduso schema di comunicazione che privilegia elementi come il prestigio della famiglia o l’unicità del terroir. Difficile, ma fattibile.

Bisogna uscire dall’aduso schema di comunicazione che privilegia elementi come il prestigio della famiglia o l’unicità del terroir

In ballo c’è pure la conquista dei nuovi consumatori, i cosiddetti millennials (tra 18 e 29 anni di età), target fondamentale ma i cui gusti e interessi – secondo l’analisi – non sembrano essere considerati a dovere. «Ci vuole per loro un altro linguaggio, conoscono già il vino – conclude Rea – bisogna capire che esiste un tipo di consumatore che non ha voglia di interpretare il prodotto come una questione esclusivamente da sommelier». Morale dell’analisi: per un’Italia del vino che balbetta sul marketing e ha difficoltà a proporre un’immagine unitaria del prodotto all’estero, è necessario ragionare a fondo, in modo sensato. Da qui, la proposta appello del Wine Lab di Sda Bocconi per la creazione di un advisory board, un gruppo di esperti provenienti da istituzioni e rappresentanze dei produttori, che stili un’agenda sulle priorità del settore. In effetti, ci vorrebbe.

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