Giuseppe Liuzzo è designer, art director e docente di Branding all’Istituto Europeo di Design a Milano. Spesso a contatto con la pubblicità e la promozione, ha saputo fare del self branding uno dei suoi cavalli di battaglia, tanto che gli utenti della rete lo conosco più come BOB, lo youtuber con barba e occhiali da sole che sbugiarda i luoghi comuni sui loghi, che racconta i retroscena della comunicazione visiva e che ama gli States.
Nonostante abbia aperto il suo canale Youtube (o forse proprio per quello), BOB ammette che il web è una giungla di violenza, odio e istinti umani che lasciano poco spazio alla cultura: il terreno ideale per dare vita alla viralità di click e share.
È giusto parlare di viralità sul web?
“Viral” è un termine nuovo ma generico, che può essere scomposto nelle definizioni di guerrilla marketing e virale senza finalità commerciale. Entrambi agiscono in un momento ben definito, quando cioè le difese immunitarie umane alla comunicazione e alla pubblicità sono basse: ma mentre il primo lo fa per venderti qualcosa, il secondo lo fa senza alcun tipo di scopo di lucro. Nel primo caso intervengono agenzie e network che, anche attraverso attività di product placement, costruiscono un personaggio: l’esempio più lampante è quello di “Gangnam Style”, la canzone che nel 2012 ha avuto 2 miliardi di visualizzazioni distruggendo gli algoritmi di YouTube e mandandolo in crash. Nel secondo caso, invece, rientra l’esempio del meme di grumpy cat, il gatto con il muso “arrabbiato”: nato come scherzo, come gioco tra ragazzi, ha iniziato ad acquisire il messaggio dell’hater per eccellenza e, complice il messaggio di odio, si è diffuso in rete fino a farla impazzire.
«“Viral” è un termine nuovo ma generico, che può essere scomposto nelle definizioni di guerrilla marketing e virale senza finalità commerciale»
Quale ruolo gioca YouTube?
YouTube è un social network (nonché il secondo sito più visitato al mondo dopo Google) e come tutti i social può essere usato in due maniere differenti. La prima è da utenti passivi: rivedere lo spezzone di Aldo, Giovanni e Giacomo, ascoltare il brano di Max Pezzali. La seconda è da utenti attivi: aprire un proprio canale, creare una community, tenere alta l’attenzione dei viewers. Per fare questo è necessario decidere che tipo di contenuti dare: ecco perché anche sulla rete si può parlare della programmazione di un vero e proprio palinsesto, ben definito per ogni youtuber.
Il bello del web è che questo palinsesto è modellabile su un target di spettatori molto preciso: Favij, per esempio, punta sugli amanti dei game player tra i 13 e i 18 anni, io sugli appassionati di comunicazione visiva più grandi. Purtroppo queste fasce non sono intercambiabili: recentemente con l’amico youtuber Dellimellow e una grande agenzia di assicurazioni abbiamo realizzato una grande operazione commerciale che permette agli utenti di usufruire di un servizio turistico che affitta l’Apecar a tre ruote per viaggiare in tutta Italia. Naturalmente l’azienda si è rivolta e noi e non a Favij perché, per prima cosa, il nostro pubblico ha un’età da patente, e poi i contenuti dei nostri video sono più vicini all’offerta del servizio. Tuttavia, vero è anche che se l’agenzia avesse puntato su Favij avrebbe avuto 2 milioni di potenziali clienti…Come si arriva a numeri di questo tipo?
Ci sono alcune regole per rendere un video così virale. Prima di tutto bisogna partire dal presupposto che la viralità gioca sugli istinti umani. Non a caso qui nasce il fenomeno del clickbaiting, l’acchiappo di click attraverso titoli bassi e tendenziosi, che erano costati a Fanpage.it non pochi cazziatoni perché si trattava di vera contro-informazione. Ecco dunque che la viralità passa già per il titolo: “Vecchietta schiacciata da un trattore in autostrada” diventa virale a prescindere. In secondo luogo bisogna pensare a un contenuto.
Purtroppo, e questo discorso l’ho fatto anche al Web Marketing Festival di Rimini dove sono stato relatore, l’utente medio pensa che il web sia fatto dalle persone per le persone. Non è così. Il web è fatto per le persone ma è popolato da personaggi, estremizzazioni di sé stessi pensati e architettati per rivolgersi a un certo pubblico.
Quest’ultimo è composto tanto dai fan quanto dagli haters: tuttavia i fan non aiutano a diventare virali, mentre chi porta davvero alla viralità del personaggio sono gli haters, tanto che Dellimellow è giunto a teorizzare la formula “un hater vale tre fan”. Come ci si guadagna degli haters? Su YouTube è facilissimo: agli youtubers è concesso fare tutto. La forza della rete, e di YouTube in particolare, è che non esiste (o meglio c’è, ma solo sulla carta) un codice etico. Se la tv vende qualcosa, soprattutto ai più piccoli, deve dichiararlo, e se quel qualcosa non è a norma stai tranquilla che la tv non lo venderà.
Su YouTube invece non è raro imbattersi in ragazzini che vendono ad altri ragazzini i crediti del videogioco di Fifa, o in youtuber che usano Patreon, piattaforma per la raccolta fondi a donazione mensile, che si fanno pagare per elargire menzioni o gadget. Ora, io non voglio fare il Robin Hood del cazzo ma qualche regola imposta dallo Stato ci vuole.«L’utente medio pensa che il web sia fatto dalle persone per le persone. Non è così.»
Ma se ci fosse etica, e quindi qualità, non ci sarebbe viralità.
La viralità si scatena dagli istinti umani più bassi e purtroppo la qualità non è un istinto umano basso. Ma dipende a che pubblico ti stai riferendo: pensa che quando si parla di cultura su YouTube io sono spesso citato (e questo ti fa capire dove stiamo andando…): personalmente sono “virale” tra il mio pubblico, composto da circa di 11mila iscritti. Sono pochi ma selezionati in un raggio di persone interessate al design, alla comunicazione, al branding.
Per loro io sono BOB, un faccione senza tratti somatici che è stato progettato appositamente perché chiunque possa esserlo. È la raffigurazione del semplice, dell’anti-hipster da vernissage milanese, tanto che sta nascendo questo nuovo claim che metterò nel nuovo sito: “Il mondo è già un posto complicato, se poi te lo spiegano in maniera complicata è la fine. Segui BOB che ti spiega come funziona il mondo in maniera semplice”. Sfrutto diversi simboli, gli occhiali da sole, l’outfit street, il gesticolare delle mani per farmi sempre riconoscere. Tutto, però, è costruito senza malizia per vendermi in maniera “etica”. E forse sta proprio qui la soluzione per noi youtubers: riuscire a conciliare self branding e trasparenza.