PsicologiaLe emozioni dietro la viralità online

L’imitazione è la forma più primitiva della capacità empatica. Il contagio emotivo, purtroppo, non riguarda sempre le aree più positive della nostra psiche

Un video su YouTube, una fotografia su Instagram, una frase su Twitter e un po’ di tutto su Facebook possono essere virali. La rete propaga i suoi contenuti con la contagiosità dei virus, e la metafora funziona e cattura le menti. Non è un fenomeno nuovo, cambia solo il medium del contagio. Un tempo fu il passaparola, i sussurri e le grida della comunicazione orale. Poi si aggiunse la scrittura, i papiri, le pergamene, i libri e i giornali. Intanto il teatro, la pittura e la musica avevano tenuto alta la bandiera della comunicazione orale e visiva contro il potere del mezzo scritto.

In seguito i nuovi mezzi audiovisivi, la televisione, il cinema, la fotografia, la musica riprodotta favorirono un ribaltamento delle posizioni a scapito della scrittura. Infine la rete, dove tutti i mezzi di comunicazioni confluiscono e dove tutto è comunicazione, propagazione, virus, contagio.

Iniziamo fin da piccoli a convergere emotivamente con chi ci circonda, imitando. Il contagio virale in psicologia è imitazione emotiva e perfino motoria e contatto immediato e affettivo con gli altri in assenza di una mediazione cognitiva ponderata e riflessiva. È una convergenza emotiva, un’imitazione automatica e involontaria delle espressioni facciali, della voce e della postura di un’altra persona.

Allo stesso modo, nella viralità online, irresistibilmente cerchiamo, visualizziamo, ascoltiamo, clicchiamo e diffondiamo contenuti mediatici che ci appaiono già preda della popolarità. Imitiamo, tentiamo di accodarci a una massa che già gradisce un certo contenuto e, in tal modo, speriamo di poter partecipare a qualcosa di più grande che sia in grado di farci dimenticare la solitudine in cui siamo sprofondati dalla nascita. Come bambini, percepiamo quel che ci si attende da noi e aderiamo, felici e disperati.

L’imitazione è la forma più primitiva della capacità empatica, abilità superiore che presuppone non solo l’adesione o immedesimazione emotiva, la condivisione dell’emozione dell’altro, ma anche la capacità di discriminare e riconoscere le emozioni espresse dall’altro e la capacità di assumere la prospettiva e il ruolo dell’altro, di mettersi nei panni dell’altro.

Naturalmente, e purtroppo in alcuni casi, alcuni individui più di altri riescono a contagiare chi li circonda. Questi grandi comunicatori sono in possesso di almeno tre caratteristiche: sembrano provare forti emozioni, devono essere capaci di esprimerle e quando gli altri provano emozioni incompatibili con le loro, devono essere relativamente insensibili e indifferenti. Ci sono poi i loro complementari, le persone molto sensibili al contagio emotivo. Anche questi recettori di contagio presentano alcune caratteristiche ben precise: sono più concentrate sugli altri che su stessi, si comportano e pensano tenendo conto soprattutto delle opinioni degli altri e sono capaci di interpretare con sbalorditiva precisione le comunicazioni emotive degli altri, il tono di voce, gli atteggiamenti e le posture (Hatfield, Cacioppo e Rapson, 1997).

Il contagio emotivo è più frequente per alcune aree della vita umana, purtroppo non tra le più positive

Il contagio emotivo è più frequente per alcune aree della vita umana, purtroppo non tra le più positive: nei comportamenti trasgressivi, per esempio il fumo nei giovani, l’abuso di stupefacenti e la delinquenza; nei comportamenti autolesivi e suicidari; nelle abitudini di consumo e nei comportamenti finanziari. Insomma, nulla di rassicurante.

Non siamo però ancora al peggio. C’è un campo dove il contagio psicologico è ancor più inquietante. Ed è il contagio che ci induce a condannare sommariamente e a riprodurre forme di linciaggio sia pure solo mediatico. La modalità con cui si propagano e si commentano i casi giudiziari del momento, o anche casi totalmente online come quello di Justine Sacco che scrisse una goffa frase inappropriata su Twitter, ci fanno capire che la giustizia formale può essere sostituita da condanne e punizioni online in grado di stabilire una verità con velocità fulminea. E addio al giusto processo e alle garanzie dell’imputato.

È il meccanismo del capro espiatorio, di cui ho già scritto altrove. La teoria del capro espiatorio descrive come gli uomini riescano a gestire i conflitti emotivi incanalandoli in comportamenti d’imitazione e di contagio psicologico ritualizzati. Il meccanismo dell’imitazione virale in questa teoria è centrale. In questa teoria i conflitti generano contagio psicologico perché chi prevale diventa un modello di comportamento e di pensiero per gli altri.

Ovviamente oltre un certo limite i conflitti diventano intollerabili. Il web, come in generale ogni ambiente umano, è affetto da situazioni di rabbia rivalitaria e imitativa, la cui gestione non è semplice e che si propagano viralmente e imitativamente. Gli individui sono in agonismo perenne e competono per posizioni di rango in cui si sentano riconosciuti, ammirati, abbiano accesso alle risorse materiali e, soprattutto, destino ammirazione, seguito e imitazione virali. Nello gestire tutto questo ce la caviamo alternando continuamente scontri ritualizzati e riconciliazioni, provocazioni verbali e riconoscimenti reciproci, sfottò e offese e scuse.

Assistiamo a un rovesciamento della funzione positiva del contagio psicologico sul web e i comportamenti imitatori da emulatori e positivi diventano violenti e linciatori. Fenomeno osservabile anche nel contagio virale, in cui si passa dalla condivisione di un video musicale alla propagazione di un messaggio di odio. Odiando qualcuno in gruppo e viralmente nel web riusciamo a superare le antipatie e le incomprensioni reciproche, sia pure solo per un attimo nell’entusiasmo passeggero di un clic. Contagioso e virale.

Hatfield, E., Cacioppo, J., Rapson, R. (1997). Il contagio emotivo. Roma: San Paolo Edizioni.

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