Una firma di tutto riposoLibia e Fondo Monetario, quando Berlusconi aveva ragione

Dall'ultimo libro di Alan Friedman: quando Berlusconi si oppose allo scellerato asse francese Sarkozy-Lagarde. Contro la guerra in Libia del 2011 per coprire le malefatte del Presidente francese e il prestito del FMI all'Italia da 80 miliardi

Una preghiera: non fate leggere all’ex presidente francese Sarkozy e al direttore generale del FMI, Christine Lagarde, l’intervista di Alan Friedman a Silvio Berlusconi – perché potrebbero averne a male (eufemismo). Sarkozy fa una pessima figura sulla gestione della crisi in Libia nel 2011, ed entrambi non se la cavano molto meglio rispetto alla crisi dei debiti sovrani nel 2011.

Il libro di Alan Friedman My Way è una lunga intervista a Silvio Berlusconi, che parte dall’infanzia, si sofferma lungamente sui suoi successi imprenditoriali e politici, senza tralasciarne le vicende giudiziarie: secondo alcuni commentatori quest’ultima parte è eccessivamente benevola, forse a motivo di un qualche meccanismo simile alla Sindrome di Stoccolma, per cui l’intervistatore finisce per farsi catturare dall’eclatante mondo raccontato dall’intervistato. Tuttavia, la parte più interessante del libro riguarda non tanto le vicende domestiche del Berlusconi imprenditore e politico, ma il suo ruolo internazionale come longevo presidente del consiglio italiano.

Friedman mostra di apprezzare la posizione strutturalmente filo-statunitense mantenuta da Berlusconi, soprattutto negli anni della presidenza di George W. Bush: all’interno di questo contesto Berlusconi racconta dei suoi tentativi – peraltro non riusciti – di scongiurare un intervento militare in Iraq, spingendo per un esilio preventivo di Saddam Hussein. Negli anni successivi questa attitudine favorevole alla ricerca di un accordo emerge in modo particolare con riferimento ai rapporti tra la NATO e la Russia di Putin: secondo Friedman la formazione da imprenditore e da “venditore” spinge in maniera naturale Berlusconi alla ricerca di un legame di simpatia con i leader dei diversi paesi, che può essere sfruttato successivamente per rendere più semplice un accordo tra le parti. Sotto questo profilo, il punto più elevato raggiunto da Berlusconi consiste senz’altro nella “Dichiarazione di Roma”, cioè l’accordo tra NATO e Russia siglato a Pratica di Mare nel maggio del 2002.

Friedman tratta con benevolenza le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi e ne mette in luce il ruolo internazionale: dalle posizioni filo-Usa con George W. Bush fino ai rapporti privilegiati con la Russia di Putin. Semopre grazie a una costante: lo spirito del “venditore” che non scontenta nessuno

La tesi forte di Friedman è che le vicende storiche successive hanno mostrato che Berlusconi aveva ragione e Sarkozy torto sulla gestione della guerra civile in Libia nel 2011: mentre Berlusconi sosteneva la dottrina del male minore, cioè riteneva preferibile il mantenimento del regime di Gheddafi rispetto al caos successivo alla sua sconfitta, Sarkozy sostanzialmente forzò la mano degli alleati spingendo per un intervento aereo contro le forze leali a Gheddafi. A parte il trattamento favorevole a imprese inglesi e francesi rispetto a quelle italiane, il sospetto più volte avanzato nel libro è che Sarkozy abbia “fortemente gradito” l’eliminazione politica e fisica di Gheddafi in quanto quest’ultimo lo aveva finanziato in maniera segreta – e con larghezza di mezzi (50 milioni di euro?) – durante la precedente campagna elettorale presidenziale. Risultato finale delle scelte auspicate da Sarkozy: la Libia dopo Gheddafi è tuttora in una situazione instabile, è uno dei fronti più caldi per le partenze degli sbarchi di profughi e clandestini diretti verso l’Europa e l’Italia, e vede una presenza massiccia di fondamentalisti islamici legati all’IS (Stato Islamico).

Terza puntata della rivalutazione di Berlusconi: la crisi dei debiti sovrani nel 2011: se dal punto di vista della finanza pubblica Berlusconi è difficilmente difendibile (tagli di tassazione permanenti coperti da entrate una tantum, processo timido o nullo di taglio della spesa corrente, incapacità di riformare il sistema pensionistico a motivo dei veti dell’alleato leghista), una mossa internazionale intelligente fu quella di evitare a ogni costo l’elargizione di un prestito di 80 miliardi di euro all’Italia da parte del Fondo Monetario Internazionale, così come auspicato in maniera sospettosamente corale da parte di Sarkozy e del direttore generale del Fondo Lagarde (già ministro delle finanze del primo).

Berlusconi si oppose alla scellerata missione in Libia del 2011, sponsorizzata dai francesi per coprire le zone grigie dei rapporti fra Sarkozy e Gheddafi. Pochi mesi dopo è la “Francia in rosa” – Christine Lagarde – a spingere per il prestito del Fondo Monetario all’Italia da 80 milardi: avrebbe significato il “commissariamento” dell’Italia. E Berlusconi si oppose anche in questo caso

Nei drammatici Consigli Europei tenutisi nel 2011 Berlusconi si trovava certamente in una posizione pessima, stretto all’angolo da spread sui titoli e scandalo Rubygate, ma perlomeno – stando al racconto fatto da lui stesso e confermato da Barroso e Zapatero – egli riuscì a convincere prima Barroso stesso e poi Obama sull’inopportunità assoluta di uscire dalla crisi di fiducia sui titoli chiedendo e ottenendo un prestito da parte dell’FMI: un importo di 80 miliardi era insufficiente rispetto ai quasi 2000 miliardi di debito pubblico e avrebbe lanciato un segnale deflagrante sulla capacità dell’Italia di far fronte ai propri impegni con i creditori. Alla fine – grazie alla mediazione di Obama – il progetto di prestito FMI saltò. La storia racconta come questo ultimo guizzo strategico non salvò Berlusconi, che diede le dimissioni lasciando spazio al governo di emergenza nazionale guidato da Mario Monti. Tuttavia va sottolineato un forte elemento di continuità tra i due governi sotto il profilo internazionale: nessuno dei due accettò l’idea di richiedere un prestito di emergenza all’FMI. E così fu.

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