Con le spalle al muro, alla fine il sindaco di Roma Ignazio Marino si arrende. Attese da tutto il giorno, all’ora di cena arrivano le sue dimissioni. È l’ultima visita nel suo studio in Campidoglio a convincerlo che non ci sono più alternative. Quando il vicesindaco Marco Causi e l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella lo incontrano a Palazzo Senatorio il sindaco capisce che la sua esperienza nella Capitale è finita. I due ex esponenti della giunta sono reduci da un lungo faccia a faccia con il commissario del Pd romano Matteo Orfini. La strada scelta dal partito è segnata: il sindaco deve fare un passo indietro, altrimenti subirà l’onta della sfiducia in consiglio comunale. Oppure peggio, sarà costretto ad andarsene dopo le dimissioni in massa dei consiglieri di maggioranza.
La strada scelta dal Partito democratico era segnata: il sindaco doveva fare un passo indietro, altrimenti avrebbe subito l’onta della sfiducia in consiglio comunale
Marino lascia il Campidoglio con una lunga lettera aperta.
«Care romane e cari romani, ho molto riflettuto prima di assumere la mia decisione. L’ho fatto avendo come unica stella polare l’interesse della Capitale d’Italia, della mia città. Quando, poco più di due anni e mezzo fa mi sono candidato a sindaco di Roma l’ho fatto per cambiare Roma, strappando il Campidoglio alla destra che lo aveva preso e per cinque anni maltrattato, infangato sino a consentire l’ingresso di attività criminali anche di tipo mafioso. Quella sfida l’abbiamo vinta insieme».
Il sindaco dimissionario rivendica i risultati raggiunti dalla sua amministrazione. E non risparmia un’accusa al partito che avrebbe dovuto sostenerlo e invece l’ha abbandonato. Se la prende ancora una volta con i poteri forti che lo hanno aggredito per la sua voglia di cambiamento. Lui era pronto ad andare avanti, «ma esiste un problema di condizioni politiche per compiere questo percorso. Queste condizioni oggi mi paiono assottigliate, se non assenti».
Travolto dalle polemiche, il sindaco marziano saluta tutti e se ne va. Ma certo non lascia di buon grado: «Non nascondo di nutrire un serio timore – questo il velenoso commiato – che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio».
«Non nascondo di nutrire un serio timore che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd»
L’ultimo giorno di Marino in Campidoglio è anche il più lungo. Le indiscrezioni sulle sue dimissioni si inseguono per ore. Le pressioni del Partito democratico si fanno via via più insistenti fin dal mattino. Matteo Orfini e il segretario Matteo Renzi sono in contatto continuo, i vertici democrat hanno deciso di mettere fine all’esperienza di Marino in Campidoglio già da ieri sera. Troppo insistenti le polemiche degli ultimi giorni, il polverone sugli scontrini, i rimborsi per le cene istituzionali («Una squallida e manipolata polemica» scrive oggi il sindaco). Per non citare l’antipatico battibecco a distanza con Papa Francesco. Anche il disperato tentativo di risolvere l’ultimo caso non sortisce effetto. Marino si era detto disposto a restituire la carta di credito e rimborsare di tasca propria i ventimila euro delle spese di rappresentanza. Dalla Procura arriva a stretto giro la doccia fredda: ai fini del procedimento avviato per verificare eventuali illeciti non ci sarà comunque alcuna conseguenza.
All’ora di pranzo è chiaro a tutti che la vicenda è giunta al capolinea. A tutti tranne al sindaco. Marino resiste. Asserragliato in Campidoglio non accetta di farsi da parte. Alle 12 convoca a Palazzo Senatorio i suoi assessori: vuole capire se ha ancora la fiducia della giunta. Il vertice è un disastro. Gli ultimi arrivati provano a convincerlo: «Ormai non si può più andare avanti». Si sfila Marco Causi, il vicesindaco, inviato a luglio dal partito per sostenere la “fase due” dell’amministrazione Marino, mai realmente avviata. E con lui è pronto a lasciare l’assessore ai Trasporti Stefano Esposito, il vulcanico senatore inviato da Orfini per provare a risollevare la giunta. Ma sono pronti all’addio anche i responsabili di Scuola e Turismo Marco Rossi Doria e Luigina Di Liegro. Non basta neanche questo: ai presenti il sindaco lo dice chiaro: «Io non lascio».
I vertici democrat hanno deciso di mettere fine all’esperienza di Marino in Campidoglio già da ieri sera
Orfini convoca al Nazareno la squadra degli assessori. Al fianco del chirurgo dem restano i collaboratori più fedeli: l’assessore all’Ambiente Estella Marino e l’assessore al Patrimonio Alessandra Cattoi. L’immagine dell’assedio non è solo virtuale. A piazza del Campidoglio si riunisce una folla di manifestanti. Ci sono alcuni cittadini che sostengono Marino, ma la maggior parte ha raggiunto la statua di Marco Aurelio per contestarlo. La polizia è costretta a intervenire per separare le due fazioni.
L’epilogo inizia a sfiorare il grottesco. Uno dopo l’altro si sfilano tutti. A metà pomeriggio Marino è sempre più solo
Passano le ore, il pressing del Pd si fa sempre più asfissiante. Nei corridoi di Montecitorio la vicenda Marino è considerata già archiviata: le indiscrezioni di Palazzo ormai riguardano il futuro del Campidoglio. La nomina di un commissario, le elezioni nella prossima primavera insieme al voto di Milano, Napoli e Torino. Con un’ultima disperata mossa Marino prova a incontrare i consiglieri di maggioranza. Vuole capire se i numeri in Aula Giulio Cesare gli consentono di andare avanti. Ma i consiglieri sono al Nazareno, hanno risposto alla convocazione di Orfini. Il motivo è quasi subito chiaro: i vertici del Pd hanno già studiato l’exit strategy. Le strade per costringere il sindaco a farsi da parte sono due. Il percorso più semplice è quello della mozione di sfiducia. In mattinata Orfini ne ha già parlato con i dirigenti di Sinistra Ecologia e Libertà, pronti a presentare il documento durante il consiglio comunale di domani. Ma c’è un problema: la mozione di sfiducia non può essere discussa prima di dieci giorni dalla sua presentazione. Troppi. Ecco allora l’altra ipotesi: per chiudere velocemente la stagione del sindaco, il Pd gioca la carta delle dimissioni in massa. Come prevede il Testo Unico degli Enti Locali, per far decadere la giunta servono le dimissioni in blocco di metà più uno dei consiglieri comunali. Ne bastano 25 su 48.
Marino prova a incontrare i consiglieri di maggioranza. Ma i consiglieri sono al Nazareno, hanno risposto alla convocazione di Orfini
È a questo punto che Marino si arrende. Dopo aver ascoltato Causi e Sabella, il primo cittadino capisce che non ha alternative. Ma l’addio del sindaco marziano nasconde un giallo. Tra le righe del commiato si nasconde un brivido. Marino non è ancora del tutto convinto di lasciare il Campidoglio. Si prende venti giorni di tempo. «Non è un’astuzia la mia – scrive – è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire le condizioni politiche». Al momento lo scenario sembra difficile, per non dire impossibile.
Ma l’addio del sindaco marziano nasconde un giallo. Tra le righe del commiato si nasconde un brivido: si prende venti giorni di tempo
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