Sinodo, la Chiesa riprende a discutere

Il semplice fatto che si sia ripreso a discutere su certi temi è già il primo risultato di un incontro che tocca i nervi scoperti della Chiesa

Litigi, lettere di protesta al Papa inviate da un gruppetto di vescovi e cardinali conservatori per un metodo che favorirebbe le riforme, scandali che scoppiano come bombe carta disturbanti, voci di complotti, discussioni accese, pressing di lobby e, infine, dibattito aperto e confronto: aperturisti contro rigoristi, riformisti versus tradizionalisti o più classicamente liberal e conservatori. Il secondo sinodo sulla famiglie indetto da papa Francesco sta forse ottenendo, in questa apparente confusione, il suo risultato più importante.

La Chiesa riprende a discutere, dopo qualche decennio di sordina e di clima da “union sacrée”: l’ondata di piena dell’identitarismo compatto (di wojtyliana memoria) non risponde più alle esigenze di una Chiesa che rischia di finire isolata e arroccata. Di fatto le truppe integraliste, abituate a obbedire senza discutere al Papa – e ancor prima ai canoni del codice di diritto canonico – temono questo clima di confronto più di qualsiasi decisione che derivi da discussioni tempestose fra padri sinodali, magari pesata col bilancino per raggiungere un accordo fra i padri sinodali sulla comunione ai divorziati risposati. Del resto discussioni intense c’erano state al Concilio Vaticano II e “disputationes” di vario genere hanno da sempre interessato la Chiesa, gli ordini religiosi, le scuole teologiche, il collegio cardinalizio. Qualche volta la faccenda si era conclusa con un’eresia, una condanna del Sant’Uffizio o un rogo, in tempi più recenti bastava una scomunica, ma in moltissimi casi, a dire il vero, la prassi è stata quella di un “animato” dibattito grazie al quale la Chiesa ha conosciuto cambiamenti e aggiornamenti.

Qualche giorno fa nella solenne commemorazione dell’istituzione del sinodo – la grande assemblea di delegazioni di vescovi provenienti da ogni parte del mondo nata col Concilio Vaticano II – l’autorevole arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schoenborn, ha ricordato che già nel modello originario, ovvero nel Concilio degli apostoli di Gerusalemme, cominciarono a darsele di santa ragione – dialetticamente parlando, s’intende – su un tema allora decisivo: se i pagani avessero o meno accesso alla salvezza pur non osservando la legge mosaica, a cominciare dalla circoncisione. È noto chi ebbe la meglio, e la Chiesa divenne universale. Schoenborn però così facendo, ha detto qualcosa anche nel merito del sinodo in corso: non solo non si devono temere le discussioni perché ci sono state fin dal principio e fanno parte delle storia del cristianesimo, altrettanto importante è ribadire che non si può precludere la salvezza a qualcuno solo in nome della legge; la misericordia è la parola di Dio che viene prima di tutto.

Discussioni intense c’erano state al Concilio Vaticano II e “disputationes” di vario genere hanno da sempre interessato la Chiesa. Qualche volta la faccenda si era conclusa con un’eresia. In tempi più recenti bastava una scomunica, ma in moltissimi casi la prassi è stata quella di un “animato” dibattito grazie al quale la Chiesa ha conosciuto cambiamenti e aggiornamenti

E qui è appunto il cuore della disputa in corso: una Chiesa aperta al mondo, ai suoi mutamenti anche in ambito familiare e sociale, in grado di accogliere la molteplicità della famiglia umana per come essa si presenta, nelle sue condizioni reali. Oppure, per altro verso, la rigidità dottrinale che diventa ideologia e, per questo, smette di essere lievito nel mondo per mettersi a servizio del potere di turno che magari asseconda la legge della Chiesa in base ai propri vantaggi e interessi.

Per questo papa Francesco invoca libertà di parola senza paura dei dissenzienti, e per questo pure il leader incerto che gli si contrappone e prova a guidare il fronte dei “tradizionalisti” è il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Muller. Se in futuro a decidere saranno sempre di più i sinodi, il potere centrale di Roma verrà inevitabilmente diminuito, la legge intesa come autorità indiscutibile in grado di impartire provvedimenti punitivi a ogni respiro difforme, sarà messa in discussione, e la collegialità, la discussione aperta anche con i laici credenti a livello di parrocchia, di diocesi, di conferenze episcopali e di sinodi, continentali o universali, saranno i luoghi nei quali la Chiesa costruirà la propria relazione col mondo.

L’obiettivo del Papa è anche quello di recuperare le radici dei primi secoli del cristianesimo rinunciando all’impostazione costantiniana del patto trono-altare sul quale si è articolata una parte non indifferente della storia della Chiesa. «In una Chiesa sinodale – a detto sabato scorso Francesco – il sinodo dei vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali», decisioni, appunto, e non chiacchiere. La posta in gioco come si vede è alta, e per questo il papa ha convocato il doppio sinodo su un tema nevralgico e divisivo come la famiglia dove da coppie di fatto ai divorziati risposati, dall’omosessualità alle famiglie monoparentali le opinioni in seno alla stessa Chiesa divergono da una diocesi all’altra.

Se in futuro a decidere saranno sempre di più i sinodi, il potere centrale di Roma verrà inevitabilmente diminuito

E allora dal caso del coming out omosessuale di monsignor Charamsa, in forza alla Congregazione per la dottrina della fede, alla lettera dei 13 padri sinodali che hanno criticato un’assise pilotata dal papa verso soluzioni giudicate troppo liberal, il pressing sul sinodo ha seguito diverse strade, molte delle quali tipiche della stagione ipermediatizzata nella quale siamo immersi. Fra l’altro secondo la testata africana Jeune Afrique, gruppi ultratraconservatori – diciamo pure di estrema destra – come Tradizione Famiglia Proprietà (di matrice latinoamericana) guidati dall’autodefinitosi fondamentalista cardinale americano Raymond Leo Burke, hanno fatto un lavoro di lobbying sui delegati-vescovi africani per orientarli su posizioni conservatrici.

La vicenda dei “13” dissidenti (che forse erano qualcuno di più o forse di meno) – molti dei “presunti” firmatari hanno negato di aver mai aderito a una lettera di protesta contro il Papa al principio del sinodo – è poi il sintomo di un movimento confuso e convulso che però testimonia quanto sia rilevante la discussione in corso. Tanto che, a dispetto di norme e regolamenti, non è ben chiaro come si concluderà il sinodo: stando ai padri sinodali, con ogni probabilità verrà votato un documento per paragrafi, e chissà se tutti i punti in discussione avranno quella maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione.

E tuttavia bisognerà vedere cosa farà il Papa subito dopo: se deciderà di mettere a punto un’enciclica sulla famiglia – come pure richiesto da alcuni padri sinodali che vogliono un pronunciamento del vescovo di Roma sui temi più controversi – o un documento post-sinodale nel quale assumere su di sé e insieme al sinodo determinate decisioni. Oppure se lascerà che il sinodo parli con i suoi testi.

D’altro canto, la strada iniziata non dovrebbe conoscere retromarce, visto che alle porte c’è il sinodo della misericordia, cioè un anno intero nel quale Bergoglio proseguirà il cammino intrapreso e darà anzi concretamente esempio e testimonianza di quella Chiesa dalle porte aperte, di quella Chiesa ospedale da campo che ha promosso fin dal primo giorno del suo insediamento.

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