Isis, Vaticano nel mirino

Nonostante alcuni abbiano avanzato dei dubbi, il Giubileo a Roma si farà. L’apparato di sicurezza ha già sventato un attacco durante la visita del Papa nelle Filippine, e dovrà fronteggiare più rischi, dagli uomini bomba ai droni. A difendere il papa, tecnologie all’avanguardia e reparti speciali

Il Vaticano è un obiettivo sensibile e ad alto rischio per eventuali attacchi terroristici di matrice fondamentalista. È questo un dato di fatto noto da tempo sia alle forze di intelligence del nostro Paese che agli uomini addetti alla sicurezza del Papa. Da quando l’Isis – più di un anno fa – ha cominciato a minacciare apertamente Roma e San Pietro, il monitoraggio sulla portata reale del pericolo è iniziata. Per la verità in una prima fase fa i proclami contro la Santa Sede, la diffusione di fotomontaggi via Internet – le bandiere nere che sventolavano sul cupolone – erano più il frutto di un’abile strategia mediatica che non di una reale pianificazione di attentati. E tuttavia dal settembre del 2014, discretamente, la soglia di vigilanza ha cominciato ad innalzarsi anche intorno al Vaticano.

A gennaio, dopo gli attentati di “Charlie Hebdo” a Parigi, la Digos della Capitale spiegò che non vi erano minacce specifiche contro il Vaticano (come era emerso invece da fonti di intelligence israeliane e statunitensi). Gli eventi di Parigi del 13 novembre scorso, hanno innescato un’escalation sul fronte della sicurezza, tanto più che il prossimo 8 dicembre prende il via il Giubileo straordinario della misericordia e Roma sarà, a tutti gli effetti, capitale mondiale della cristianità, dunque, almeno ipoteticamente, nel centro del mirino.

Quando Francesco si recò nelle Filippine nel gennaio del 2015 infatti, un attentato contro di lui progettato da estremisti della “Jemaah Islamiyah” appartenente al network di al Qaeda, è stato sventato dalle forze di sicurezza di Manila

L’attentato sventato nelle Filippine

In questa vicenda, però, ci sono un paio di precedenti non del tutto rassicuranti. Se lo scenario di base è quello di una mobilitazione dei servizi di sicurezza e d’informazione, nei mesi scorsi è accaduto qualcosa che ha fatto suonare un campanello d’allarme. Quando Francesco si recò nelle Filippine nel gennaio del 2015 infatti, un attentato contro di lui progettato da estremisti della “Jemaah Islamiyah” appartenente al network di al Qaeda, è stato sventato dalle forze di sicurezza di Manila. Il 18 gennaio, mentre il papa stava raggiungendo il parco Rizal per celebrare la messa di fronte a una moltitudine di fedeli, un ordigno sarebbe dovuto esplodere al suo passaggio facendo strage di Bergoglio, del seguito e di molti fedeli. L’episodio è descritto e ben documentato – a parlarne ufficialmente fu l’allora capo delle forze speciali filippine, Getulio Napenas – nel recentissimo volume “I nemici di Francesco” (edito da Piemme), del giornalista Nello Scavo.

Insomma il radicalismo islamico globale ha già tentato di colpire Francesco prima del Giubileo per altro con un colpo drammatico e, sanguinoso e spettacolare. A questo si aggiunga l’episodio, in parte rimasto oscuro, legato all’ingresso, il 27 dicembre 2014, di Alì Agca nella basilica vaticana per deporre dei fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II. L’ex lupo grigio che attentò alla vita di Karol Wojtyla, arrivò quel giorno fino a piazza San Pietro dove fu riconosciuto da polizia italiana e Gendarmeria vaticana, ma non aveva fatto nulla per nascondersi e anzi si sottopose ai controlli. L’aspetto poco chiaro è invece relativo al lungo viaggio in auto compiuto da Agca attraverso mezza Europa, partendo dalla Turchia e passando per l’Austria – aveva un visto d’ingresso per quel Paese ma come entrò in Italia? – senza che vi fosse alcuna segnalazione dei suoi spostamenti lungo il tragitto, nonostante non possa dirsi un personaggio al di fuori di ogni sospetto. Questi i precedenti, e non sono del tutto rassicuranti.

«Essere deboli di fronte a questo attacco di violenza che si chiama terrorismo – ha spiegato Lombardi – proprio perché vuole diffondere il terrore, vuol dire cedere e dare ragione a coloro che utilizzano questa strategia orribile e inumana»

Cancellare il Giubileo?

In ogni caso fondate o meno che siano le minacce provenienti dalla galassia dell’estremismo islamista, il problema a questo punto esiste. Si parla di possibili attacchi a San Pietro con droni, intanto il governo intende utilizzare l’esercito, il quadro insomma si è complicato. Al punto che qualcuno, magari con finalità politiche evidenti, ha chiesto al papa di sospendere il Giubileo, di annullare cioè l’Anno santo per ridurre il rischio come ha fatto l’esponente leghista Roberto Calderoli. D’altro canto chi soffia sul fuoco della contrapposizione ideologica e religiosa con l’Islam tout-court, ha buon gioco nell’utilizzare l’argomento “sicurezza” che comunque è sul tappeto.

A questi allarmi ha risposto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, per il quale a maggior ragione il Giubileo va mantenuto in una simile situazione: «Essere deboli di fronte a questo attacco di violenza che si chiama terrorismo – ha spiegato Lombardi – proprio perché vuole diffondere il terrore, vuol dire cedere e dare ragione a coloro che utilizzano questa strategia orribile e inumana».

Squadre antisabotaggio e teste di cuoio

Se dunque la questione ha anche un profilo politico ben preciso – e il Giubileo non è stato cancellato – resta da vedere come si difenderà il Vaticano. Entro certo limiti, va detto subito, una sicurezza assoluta di fronte a flussi di fedeli, turisti e pellegrini che si annunciano imponenti, nel contesto di grandi eventi di massa, è impossibile. Così come non è facile tutelare un papa che ha scelto, per vocazione, di stare in mezzo alla gente senza tanti schermi protettivi, o vetri antiproiettili a dividerlo dal mondo. Si giocheranno allora soprattutto le carte della vigilanza quotidiana e quella del lavoro di intelligence, ovvero si lavorerà sulla prevenzione e sul coordinamento delle forze; su questo fronte il rapporto con la polizia italiana risulta decisivo. I circa 130 uomini della gendarmeria vaticana, posti sotto il comando di Domenico Giani, coadiuvati dalle 120 guardie svizzere – che al di là dei colori sgargianti delle divise svolgono un lavoro di sorveglianza del Papa e degli ambienti nei quali vive – non possono infatti bastare a proteggere tutto il Vaticano.

Tuttavia la Gendarmeria è un corpo di polizia moderno, fra l’altro ha rapporti regolari con l’Interpol, attività decisiva nel caso in cui si cerchino tracce relative a cellule terroristiche transnazionali; ci sono poi agenti, una ventina, che hanno ricevuto un addestramento sul modello delle “teste di cuoio” (alcuni di loro seguono il papa durante i viaggi). Ma in una realtà relativamente piccola come il Vaticano e i suoi dintorni, l’aspetto tecnologico risulta decisivo, per questo è stata costruita da tempo una centrale operativa all’avanguardia, migliaia di telecamere sono state installate in Vaticano e anche all’esterno, dove si trovano altri edifici extraterritoriali della Santa Sede. C’è poi, naturalmente, la collaborazione costante con l’ispettorato di polizia italiana denominato “Vaticano” che di fatto è responsabile della sicurezza tutto intorno ai confini della piccola città Stato. All’interno della Gendarmeria, esiste inoltre un Gruppo antisabotaggio, pure in questo caso la specializzazione tecnologica è decisiva, si tratta infatti degli uomini che devono intervenire quando si tratta di neutralizzare pachi o plichi sospetti.

Va anche detto infine che il Vaticano può contare su una rete di ‘intelligence’ propria, di cui fa parte anche, in modo naturale, il sistema di sedi diplomatiche, missioni, diocesi, sedi religiose, congregazioni, associazioni, presenti in ogni angolo del mondo

La rete informativa della Santa Sede

A questo vanno aggiunti i controlli rafforzati cui saranno sottoposti i turisti che entrano in piazza San Pietro, tuttavia già dopo l’11 settembre del 2001 vennero installati metal detector agli ingressi della piazza. Forme di vigilanza rafforzata sono diventate immediatamente operative, invece, fra via della Conciliazione i Musei vaticani – altro obiettivo sensibile visitato da milioni di turisti ogni anno – e il perimetro delle mura leonine interrotto dai vari ingressi che introducono alla Città del Vaticano.

Il Giubileo non si ferma insomma, e il problema è ben presente al prefetto Franco Gabrielli e alle altre autorità locali e nazionali a cominciare dal ministro degli Interni Angelino Alfano che collaborano con il Vaticano a pieno regime, anche perché ne va della credibilità del Paese.

L’obiettivo è quello di garantire la sicurezza senza “blindare” la città, questo a parole, poi bisognerà vedere come proteggere non solo San Pietro ma anche, per esempio, le altre basiliche maggiori in cui sarà possibile passare per la porta santa (San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo Fuori le Mura). Va anche detto infine che il Vaticano può contare su una rete di ‘intelligence’ propria, di cui fa parte anche, in modo naturale, il sistema di sedi diplomatiche, missioni, diocesi, sedi religiose, congregazioni, associazioni, presenti in ogni angolo del mondo; da questi terminali arriva in Vaticano un flusso continuo di informazioni e segnalazioni. Infine, ma non certo per ultimo in quanto a rilevanza, si ricordi quanto disse Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, il quale evocò i rischi che poteva correre papa Francesco in forza dell’azione di riforma portata avanti anche in campo finanziario. Insomma, i pericoli – almeno sulla carta – vengono da più parti.

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