Lo strano caso delle bombe prodotte in Sardegna per l’Arabia Saudita

Gli ordigni, fabbricati nel Sulcis da un’azienda tedesca, sarebbero stati usati contro la popolazione civile in Yemen. Il ministro Pinotti: «Tutto regolare». Amnesty International:«Quella guerra non è autorizzata dall’Onu». I politici sardi: «Quella fabbrica è garanzia di posti di lavoro»

Nonostante decenni di pace, l’Italia ha sempre avuto un fruttuoso legame con l’economia di guerra. Così come dimostrato dai report e dagli studi dell’Aiad, la Federazione delle aziende italiane dell’aerospazio, la difesa e la sicurezza aderente a Confindustria. L’associazione raggruppa oltre 100 imprese di tutte le dimensioni che vantano un patrimonio occupazionale complessivo di oltre 50.100 addetti e sviluppano un fatturato annuo di 15,3 miliardi di euro. Questi numeri sono garantiti da Finmeccanica e dalle società del suo Gruppo che coprono circa l’80%. Tuttavia, se si considerano i quadri associativi in termini unitari di impresa ben il 75% delle aziende federate sono da considerarsi piccole e medie imprese e oltre il 50% occupano unitariamente meno di 100 addetti.

Il grosso della produzione è infatti concentrato nelle province di Bergamo e Brescia, ma in questi giorni la Sardegna sembra improvvisamente diventata uno dei principali produttori di armi in Italia. O, se preferite, l’unica fornitrice dell’esercito dell’Arabia Saudita. Merito – o colpa – delle bombe prodotte sull’Isola da una delle sedi italiane della Rheinmetall Defence (Rmw), multinazionale tedesca che rifornisce gli eserciti di mezzo mondo, ordigni sganciati in questi giorni su obiettivi militari e civili dello Yemen.

La fabbrica delle bombe si trova nel Sulcis, a Domusnovas. Un territorio con indicatori macroeconomici da area più che depressa e testimone di una lunghissima moria di posti di lavoro.

La fabbrica delle bombe si trova nel Sulcis, a Domusnovas. Un territorio con indicatori macroeconomici da area più che depressa e testimone di una lunghissima moria di posti di lavoro. A pochi passi dai capannoni dove si realizzano ogive e testate ci sono le ciminiere spente dell’Alcoa, multinazionale dell’alluminio che ha deciso di abbandonare l’Isola lasciando dietro di se un pesantissimo fardello. Ci sono poi le alterne fortune di Euralluminia e di Portovesme Srl, centri siderurgici la cui sorte è legata al prezzo dell’energia elettrica e alle fluttuazioni delle quotazioni della materia prima. Simboli di un passato industriale consacrato dall’epopea mineraria e dall’edificazione di Carbonia da parte del regime fascista. Decenni gloriosi che oggi hanno lasciato solo gallerie vuote e un parco geominerario che stenta a decollare. Una riconversione non concretizzata che deve fare i conti, come se non bastasse, con la presenza di zone fortemente inquinate dai metalli pesanti.

La linea di montaggio che produce ordigni da caricare sotto le ali dei caccia è lì dall’inizio degli anni duemila. Scorrendo le informazioni sul sito dell’azienda si intuisce come i suoi prodotti abbiano lasciato l’Isola diverse centinaia di volte. Lontano dai riflettori, sono stati riforniti gli arsenali di Paesi europei e di tante realtà non ostili alla Nato. Due settimane fa, tuttavia, i riflettori si sono accesi. È stato quando il deputato Mauro Pili, ex presidente della Giunta regionale, ha fotografato il carico di bombe sistemato lungo la pista dell’aeroporto civile di Cagliari-Elmas. Una condizione normale se non fosse per l’eccezionalità del prodotto:

Le polemiche non si sono fatte attendere. Si sono subito rincorsi comunicati stampa carichi di sdegno e interrogazioni parlamentari: «Tutto questo è inaccettabile e gravissimo. – ha denunciato lo stesso Pili – Stanno trasformando la Sardegna in un bersaglio terroristico. Tutto questo dimostra che il governo è complice del governo saudita e del criminale utilizzo di quelle bombe prodotte da una fabbrica tedesca in Sardegna». Il caso è diventato argomento di discussione alla Camera persino durante la conversione del decreto-legge sul finanziamento delle missioni internazionali delle Forze armate. Il Movimento 5 stelle ha denunciato infatti la presunta illegalità delle operazioni messe in atto dalla società tedesca. Una legge italiana del 1990 vieterebbe infatti di vendere armi ai Paesi in guerra. Argomentazioni fatte proprie anche dai parlamentari di Sinistra italiana.

Tali accuse sono state subito ridimensionate dal ministero della Difesa e dall’Enac. La ministra Roberta Pinotti ha chiarito la totale legittimità del commercio e l’Ente di controllo dell’aviazione civile ha rimarcato che tutti i cargo partiti dal capoluogo sardo verso l’Arabia erano regolarmente autorizzati. Chiarimenti che non sono stati ritenuti sufficienti. Anche Amnesty International ha chiesto al governo di fare chiarezza ricordando che le operazioni militari dei sauditi non hanno ricevuto nessun via libera dalle Nazioni Unite.

Amnesty International ha chiesto al governo di fare chiarezza ricordando che le operazioni militari dei sauditi non hanno ricevuto nessun via libera dalle Nazioni Unite.

In realtà le proteste sono iniziate qualche settimana fa, prima della grande esercitazione della Nato “Trident juncture”. Lo stabilimento di Domusnovas era infatti diventato bersaglio di una manifestazione organizzata da antimilitaristi e partiti indipendentisti: formazioni che non hanno avuto esitazioni nel chiedere l’immediata chiusura dello stabilimento. Ignazio Locci, consigliere regionale di Forza Italia eletto nel collegio del Sulcis, suggerisce a chi protesta di utilizzare il suo tempo diversamente: «Chiedere la chiusura di questa fabbrica è totalmente illogico. Mi sembra addirittura superfluo ricordare l’importanza dei posti di lavoro garantiti a Domusnovas. Stiamo poi parlando di un comparto strategico. A chi si straccia le vesti parlando di eventuali pericoli rispondo dicendo che il commercio delle armi è un settore ipercontrollato. Tutto viene fatto nel pieno rispetto delle leggi nazionali e delle convenzioni internazionali. Non esistono né scandali né complotti».

Sul versante opposto, Giovannino Deriu, segretario regionale di Rifondazione comunista non ha preconcetti in merito alla produzione di armamenti, ma è comunque molto critico: «Fosse per me questa fabbrica andrebbe nazionalizzata – spiega -. Sono un suo avversario perché produce bombe per gli eserciti della Nato. Preferivo quando gli esplosivi erano destinati alle miniere della zona». Sul tema, il presidente della Giunta regionale, Francesco Pigliaru, ha preferito non prendere una posizione ufficiale.

Nel frattempo, il caso è uscito dai confini dell’Isola. L’Egitto ha vietato il passaggio del Boeing 747 carico di bombe sarde sui propri cieli. E in poco meno di un mese sono sfumate tre spedizioni. È la terza spedizione in meno di un mese che salta per problemi analoghi, tanto da indurre la Rmw a provare a trasportare le bombe via nave. Sempre secondo l’onorevole Mauro Pili, un carico sarebbe partito domenica 22 novembre da Olbia verso Piombino. Gli operai e le famiglie del Sulcis trattengono il respiro: piaccia o meno, qui il lavoro è un’emergenza più grave della guerra.

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