(Parigi). Sono le 10 del mattino e a Parigi sembra l’alba. Sarà per colpa della luce, già spettrale in questo autunno freddo e umido, o forse è la calma che regna a Parigi dopo l’attentato a risultare quasi irreale. La città pian piano si sveglia dalla violenza e dal dolore del giorno prima. Un bilancio spaventoso, che pesa un macigno sulle poche persone che circolano per strada, infagottate e schive come non mai. Lo stato d’emergenza è stato decretato, le frontiere chiuse ma il metrò, a parte qualche piccolo ed insolito ritardo, funziona perfettamente. Il mercato di rue de la Glacière è lì regolarmente con qualche anziana che si avvicina per sapere se si può acquistare qualcosa. La polizia però è già sul posto e chiede ai commercianti di smontare tutto. Per oggi niente mercato.
Per giungere sui luoghi delle sparatorie si passa per Place de La Rèpublique dato che le stazioni di metrò più prossime al luogo degli attentati sono ancora chiuse al pubblico. Il metrò, solitamente pieno nel weekend, è semivuoto. Le persone evitano di incrociare gli sguardi e se qualche bambino lancia inspiegabilmente un grido, tutti si girano istantaneamente. Malgrado la calma, la tensione è ancora palpabile. Sotto la statua al centro di Place de la République diverse decine di persone, malgrado il divieto di assembramento decretato dalle autorità francesi, depongono fiori, candele, striscioni, collage fatti con cuori, disegni della Torre Eiffel in forma di simbolo della pace e scritte di cordoglio. Un grande striscione recita “J’être humain”.
Dall’altro lato della piazza, dei writers hanno disegnato con le bombolette spray una grande scritta bianca su fondo nero: “Fluctuat Nec Mergitur” (“Naviga ma non affonda”) recita. E’ il motto latino che contraddistingue lo stemma della città di Parigi. Il battello rappresentato sullo stemma di Parigi fa riferimento alla corporazione dei Nauti o Mercanti d’acqua, una delle più potenti del Medioevo ma forse deriva anche dal fatto che la città più antica, Lutetia, sorse su un isolotto, l’Ile-de-la-Cité. Oggi simbolizza lo spirito di Parigi che non s’arrende, che non muore, che non vuole affondare.
Dalla piazza al luogo delle prime sparatorie sono poche centinaia di metri. Le cronache hanno dato notizia di un ristorante italiano, Casa Nostra, coinvolto nelle prime sparatorie. Qui sono state abbattute ben cinque persone. Davanti all’ingresso del ristorante, ora circondato dai cordoni di sicurezza della polizia, lo spettacolo è ancora agghiacciante. Le vaste chiazze di sangue degli avventori abbattuti ai tavolini da raffiche di mitra sono state ricoperte di terriccio. Eppure il colore traspare. La terra è diventata rossa. Le grandi vetrate del ristorante sono crivellate di colpi. Frammenti di vetro sono sparsi un po’ ovunque. All’interno, un uomo alto con un cappotto blu ed una sciarpa bianca sistema con lentezza la posizione di tavoli e sedie. All’interno dicono che il ristorante sia cosparso di bossoli delle mitragliatrici e di buchi di pallottole nei muri. L’uomo esce e s’intrattiene con alcune persone che gli stringono la mano e che gli dicono di farsi coraggio. Mi avvicino, è il gestore del ristorante italiano. Non è italiano ma mezzo greco e mezzo algerino, si chiama Dimitri. Sua moglie era italiana, di Roma. Anche il cuoco del ristorante è italiano.
Lei era presente al momento degli attentati?
“Sono il gestore del locale – dice a Linkiesta – ed ero proprio lì vicino”. Con la mano e la voce bassa mi indica il punto dove la polizia ha versato terriccio sulle macchie di sangue. “Ero seduto proprio ai tavolini davanti all’entrata principale del mio ristorante – prosegue Dimitri – e bevevo un caffè con un mio amico. Stavamo chiacchierando tranquillamente. Dato che era sera, e cominciava a fare freddo, gli propongo di andarci a bere qualcosa proprio ad un bar qui a fianco”. Con la mano, mi indica l’altro lato della strada.
E dopo cosa è successo?
Mi alzo, faccio poche decine di metri e dopo poco vengo chiamato da un amico che mi grida “C’è una sparatoria nel tuo ristorante, corri”. Inizialmente non volevo crederci. Pensavo ad un cliente a cui non era piaciuta la nostra pizza o addirittura ad uno scherzo. Ci ho messo del tempo a realizzare quello che stava accadendo. Allora mi sono diretto verso il ristorante. Credo di aver visto delle persone sparare, ma da lontano e di sfuggita. Non capivo in realtà ciò che stava accadendo. Arrivato nel ristorante vedevo gente che piangeva, che urlava.
E cosa ha fatto?
Sono entrato nel ristorante per capire cosa stesse accadendo e ho visto gente che fuggiva nelle cantine e nei bagni del ristorante. Altri clienti erano nascosti sotto i tavoli. Sono sceso per capire cosa accadeva. Ho cominciato a realizzare che era successo qualcosa di grave. Quando sono ritornato sopra una donna è venuta verso di me gridando: “Aiutatemi, aiutatemi”. S’è accovacciata. Pensavo fosse lievemente ferita ma in realtà aveva il polso perforato da una pallottola. Dentro il ristorante era sottosopra, si sentiva puzza di bruciato. Le vetrate de locale erano crivellate dai colpi di armi da fuoco, i tavolini e le sedie gettate per terra, c’era vetro e sangue ovunque. Una scena apocalittica.
Quando sono ritornato sopra una donna è venuta verso di me gridando: “Aiutatemi, aiutatemi”. S’è accovacciata. Pensavo fosse lievemente ferita ma in realtà aveva il polso perforato da una pallottola.
C’era molta gente nel ristorante?
Fortunatamente in quel momento no, non avevamo tantissimi clienti. C’è stata una grande ondata di clienti una mezz’oretta prima, ma il grosso si è mosso qualche minuto prima per andare a teatro. Il ristorante dunque si è svuotato giusto un momento prima che i terroristi attaccassero. Altrimenti, sarebbe stata una carneficina. Quando ho visto le pallottole per terra mi sono reso conto che erano enormi. La cosa però che mi ha colpito di più è stato un distinto signore, nostro cliente abituale. Veniva a mangiare spesso qui da noi. Stava cenando ed è stato investito dalla prima raffica di mitra. E’ riuscito ad alzarsi e ad allontanarsi subito dopo la sparatoria. Ha attraversato la strada, poi si è accovacciato ed è morto.
Da dove sparavano gli attentatori?
Dal supermercato di fronte, il Franprix. Hanno sparato prima in direzione di quel bar, sui tavolini esterni, uccidendo due persone. Poi hanno iniziato a sparare sui tavolini del mio ristorante e sui vetri per uccidere anche le persone all’interno. Tutto è durato pochissimi minuti. Gli assassini sparavano senza sosta, con freddezza.
Cosa è successo dopo?
Quando è arrivata la polizia s’è sparsa la voce che uno dei terroristi fosse al primo piano dell’edificio dove c’è il mio ristorante, alla rue de la Fontaine-au-Roi, al numero due. Lì ho il mio ufficio. La polizia ha fatto irruzione, ha distrutto tutto, tutti gli appartamenti del piano, alla ricerca dell’attentatore. Ma il terrorista ovviamente lì non c’era. Era già in marcia verso il Bataclan.
Riaprirà il suo ristorante al pubblico?
Non lo so sinceramente. Per ora non mi sento pronto dopo tutto quello che ho vissuto. Anche i miei camerieri, che hanno visto tutto e sono salvi per miracolo, sono sotto shock e non credo riuscirebbero ad iniziare a lavorare, almeno nell’immediato. Erano spaventati, tremavano. Io stesso tremo a pensare quello che è accaduto. Infatti giusto pochi secondi prima ero seduto in prima fila ai tavolini. Ero seduto davanti a tutti. Cioè se non avessi avuto freddo e non avessi chiesto al mio amico di andarci a bere una cosa qui a fianco io ora sarei morto”.
Il menù era piazzato proprio davanti ad una serie di tavolini qui fuori. Quel ferro ha bloccato diverse pallottole proprio all’altezza della testa dei clienti che cenavano dietro. Quel menù, ha salvato delle vite
Il viso di Dimitri s’oscura, eppure nei suo occhi s’intravede ancora una luce di speranza. “Vieni – mi dice improvvisamente – voglio farti vedere un’ultima cosa”. Ci avviciniamo al ristorante. “Lo vedi quel menù lì?” mi fa “bene, è un menù di ferro. Guarda, è crivellato di colpi. Il menù era piazzato proprio davanti ad una serie di tavolini qui fuori. Quel ferro ha bloccato diverse pallottole proprio all’altezza della testa dei clienti che cenavano dietro. Quel menù, ha salvato delle vite”. D’un tratto ho capito perché ci fosse quella tenue luce negli occhi di Dimitri. Il caffè, il freddo improvviso, il menù di ferro. Piccoli dettagli che salvano una vita, che ci difendono dall’abisso. Ed è forse per questi piccoli dettagli che vale la pena di vivere.
@marco_cesario