Legge di StabilitàPiù spendi, più cresci: la favola che nessuno ha il coraggio di smentire

Michele Salvati e gli altri economisti vicini a Renzi hanno fatto un’inversione a U e sostengono che il deficit aiuta la crescita. I casi di Francia e Spagna dovrebbero farli pensare, ma nessuno, neanche Padoan, vuole contraddire un presidente del Consiglio a caccia di consensi

L’Europa sembra essere divenuta un pungiball per l’Italia. A dire il vero, gli incubi più angosciosi li soffrono i nostri partner, indecisi su come gestire il rischio implicito del nostro debito pubblico, che veleggia attorno al 130% del Pil. La Germania di Wolfgang Schäuble, come ricordato da Michele Salvati il 29 ottobre sul Corriere, vorrebbe formalizzare un nuovo Eurogruppo, legittimato da un’Eurocamera formata da parlamentari degli Stati membri e diretto da un presidente dotato di poteri di indirizzo e di veto sui bilanci nazionali. Come contropartita, la Germania offrirebbe ai governi riluttanti, fra i quali il nostro, una garanzia bancaria unica sui conti correnti, e un piccolo budget “federale” che gestisca un sussidio di disoccupazione europeo. L’intellighenzia tedesca, cui non sfugge il rischio di trovarsi a pagare per debiti altrui, cercherebbe così uno schema incentivante, per piegare le resistenze, e cercare di salvare la capra del debito e il cavolo dell’unione monetaria.

Per Salvati i sostenitori dell’ideologia tedesca non badano che alle riforme strutturali mentre per i Paesi più deboli – e per “buona parte” degli economisti – questa ricetta somma insieme cattiva economia e cattiva politica

Salvati lascia intendere che questo approccio minimalista farebbe parte di una ben collaudata “ideologia tedesca”, ciò che lui definisce un’ortodossia “ordoliberista”, che permea le regole attuali del sistema monetario europeo. Per Salvati i sostenitori dell’ideologia tedesca non badano che alle riforme strutturali mentre per i Paesi più deboli – e per buona parte degli economisti – questa ricetta somma insieme cattiva economia e cattiva politica. «Le riforme strutturali sono necessarie per il lungo periodo, danno scarsi impulsi alla domanda, alla crescita e all’occupazione nel breve» per citare alla lettera l’editoriale del Corriere.

Gran parte degli economisti vicini al Presidente del Consiglio nell’ultimo anno ha fatto un’inversione a U sull’analisi della situazione di politica economica. A partire da Padoan

Tralasciando il marchio di fabbrica ordoliberista, che in Paesi con una spesa pubblica vicina, nella gran parte dei casi al 50%, è piuttosto ridicola, siamo stupiti che Salvati sostenga che una buona parte degli economisti concorda che le riforme strutturali sono un insieme di cattiva politica e cattiva economia. Vorremo quantificare questa “buona parte”, ma capiamo che in un Paese allergico ai numeri scrivere “una buona parte” possa sembrare sufficiente per convincere le schiere di lettori sulle proprie verità. Vorremmo semplicemente far notare a Salvati che egli, come gran parte degli economisti vicini al Presidente del Consiglio, abbia, nell’ultimo anno, fatto un’inversione a U sull’analisi della situazione di politica economica che meriterebbe qualche spiegazione in più.

Certamente, anche noi crediamo che le ragioni alla base di questa nuova dottrina ermeneutica, il deficit spending come premio per le riforme, siano da ricercarsi più nella politica che nell’economia. Verrebbe da chiedersi come mai quando il capo detta la nuova linea, tutti si allineino nei dintorni del Pd, senza alcuna voce critica se non quella della sinistra interna, che solitamente chiede addirittura più deficit e più tasse. Possibile che nei paraggi del Pd esista un consenso tale attorno al leader, che nessuna scelta di politica economica è soggetta a critiche motivate, a discussione pubblica? Abbiamo appena assistito allo spettacolo di un ministro dell’Economia che deve, probabilmente controvoglia, accorrere in soccorso di misure come il taglio delle tasse sulla casa e la nuova soglia d’uso del contante, misure che si scontrano con sue antiche convinzioni, più e più volte ribadite come capo economista dell’Ocse. La discussione pubblica è quasi inesistente, così che si può passare impunemente dalla richiesta di un deficit strutturale azzerato a più deficit senza che nessuno motivi in modo convincente il cambio di strategia.

Possibile che nei paraggi del Pd esista un consenso tale attorno al leader, che nessuna scelta di politica economica è soggetta a critiche motivate, a discussione pubblica?

Certamente il fatto di dover vedersela con avversari politici anti-sistema incoraggia Renzi e il Governo a usare toni duri con la Commissione, in modo da rintuzzare gli attacchi al fianco politico scoperto. Se la Lega non è poi così aliena dal chiedere l’uscita dalla Ue, non ci sorprende che Renzi a confronto paia un padre della patria europea. Eppure, ci piacerebbe sapere cosa pensano gli economisti vicini al presidente del Consiglio, che negli anni scorsi sono sempre detti contrari al deficit spending in un Paese che lo perpetua con risultati disastrosi dagli anni 70, di una tabella come quella sotto.

Sostenere che aumentare il deficit serva alla crescita fa a pugni con i dati di Francia e Spagna

La tabella mostra i principali aggregati programmatici di finanza pubblica, così come presentati nella nota di aggiornamento al Def. Salvati ha, giustamente, fatto notare che il governo ha chiesto alla Commissione un rientro del debito più dolce, con l’intenzione di non affossare la crescita. La Francia, il cui deficit è ancora attorno al 4%, e la cui strategia di rientro è talmente dolce da sembrare un barbapapà, si sta per caso distinguendo per una crescita impetuosa? Noi vediamo un prodotto lordo francese che arranca, come in buona parte degli Stati europei più indebitati. Così come vediamo una Spagna che dopo una cura da cavallo di riforme strutturali che “danno scarsi impulsi alla domanda”, fra cui una riforma del lavoro più incisiva del Jobs Act, quest’anno veleggia verso un buon 3% di crescita del prodotto lordo. Forse non facciamo parte di quella “buona parte” di cui Salvati parla, sebbene citiamo dati e non impressioni.

Il saldo primario secondo il Def sarà vicino al 4% nel 2018. Questo significa che o saranno applicate le “clausole di salvaguardia” o c’è un percorso dichiarato di riduzione del debito irrealistico

Focalizzandosi sul programma di politica economica implicito nei numeri della tabella presentata, è facile notare come il saldo primario dal 2018 schizzi a livelli vicini al 4% del Pil, in maniera quasi magica. La ragione di tale salto miracoloso sta nelle parole di Padoan, che ha ammesso che per il 2017, 2018 e 2019 sono ancora attive le clausole di salvaguardia (gli aumenti automatici delle accise e dell’Iva, ndr), in ultima istanza più tasse attese, che evidentemente farebbero schizzare il saldo primario ai livelli presentati in tabella. Delle due l’una: o le clausole non verranno “sterilizzate”, e dunque la teoria magica del deficit spending non è che una storiella, con un saldo primario pari a quattro volte quello richiesto alla disastrata Grecia, oppure il percorso di diminuzione del debito, che dipende fra le altre cose dall’entità del saldo primario, è totalmente irrealistico. Ricordiamo che conti in ordine permettono, in caso di recessione, politiche di bilancio che tutelino i più deboli ed esclusi dal mercato del lavoro, soprattutto giovani e anziani.

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